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Il Diritto all’Acqua: appena proclamato, già svilito?

Questa settimana verificheremo, in due circostanze, se i gruppi dominanti degli Stati, che si sono opposti alla risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite (Riag) del 28 luglio scorso - che ha riconosciuto l’accesso all’acqua potabile ed ai servizi igienici come un diritto umano fondamentale - saranno riusciti a sminuirne la portata e ad annacquarne il contenuto. La prima circostanza, la più importante ai nostri fini, è l’approvazione giovedì 23 settembre a Ginevra da parte del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite del rapporto dell’esperto indipendente sul «diritto umano all’acqua e ai servizi igienici» (Recdu). La seconda circostanza è rappresentata dalla conferenza di valutazione dello stato di realizzazione degli «Obiettivi del millennio per lo sviluppo» che si terrà da lunedì a mercoledì 22 settembre a New York nella sede dell’Onu. Come è noto, l’obiettivo della riduzione al 2015 della metà delle persone che nel 2000 non avevano accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici figura fra gli obiettivi retoricamente più enfatizzati in questi ultimi anni. Se il rapporto dell’esperto indipendente al Consiglio dei diritti umani dell’Onu è approvato nella sua stesura attuale esso rappresenterà un passo indietro notevole rispetto alla risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 28 luglio. Per tre motivi. Anzitutto perché il Recdu non riconosce il diritto umano fondamentale all’acqua in quanto tale ma si limita a considerare che «i diritti umani all’acqua e ai servizi igienici sono diritti componenti del diritto a uno standard di vita adeguato e quindi dei diritti contenuti all’art. 11 dell’International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights (Icescr)». Il che significa, contrariamente a quanto riconosciuto dalla Riag, che per il Consiglio dei diritti umani dell’Onu il diritto all’acqua non esiste in se stesso, ma è di natura strumentale alla realizzazione del diritto ad uno standard di vita decente. Questo e inaccettabile e sminuisce il valore della Riag. Secondo motivo: legando il diritto all’acqua alla Convenzione Icescr e non all’International Covenant on Civil and Political Rights (Iccpr) secondo la quale i diritti da essa coperta sono giustiziabili, l’approvazione del Recdu mantiene la tesi (difesa dagli Stati contrari alla Riag) che il diritto umano all’acqua non può e non deve far parte dei diritti umani giustiziabili, cioè a dire per i quali è possibile portare davanti alla giustizia gli Stati e altri soggetti pubblici e privati in caso di non rispetto del diritto. Anche in questo caso si tratta di un «declassamento» della natura e dell’importanza del diritto all’acqua, inaccettabile e infondato. Terzo motivo, ancora più forte e preoccupante dei precedenti: il Recdu «riconosce che gli Stati sono liberi di optare per l’implicazione di soggetti non-statali nella gestione dei servizi idrici». Questo significa in maniera chiara e categorica: a) la piena legittimazione data da parte dell’organismo dei diritti umani dell’Onu alla privatizzazione dei servizi idrici e alla loro inclusione nella sfera mercantile. Le grandi imprese multinazionali private dell’acqua, così come la Banca Mondiale e tutti gli altri organismi internazionali «pubblici» implicati nella politica dello «sviluppo», in particolare la Commissione dell’Unione europea, non mancheranno di utilizzare questa decisione per spingere in favore dell’ulteriore privatizzazione e finanziarizzazione borsistica dei servizi idrici. Non solo, anche il governo Berlusconi non mancherà l’occasione per cercare di legittimare il decreto Ronchi e sostenere che questo è conforme ai principi del diritto all’acqua riconosciuto dall’Onu! b) l’affermazione che secondo il Cdu non v’è incompatibilità tra diritto umano fondamentale all’acqua e privatizzazione dei servizi idrici, il che è assolutamente mistificatorio perché, per definizione, nel mercato non vi sono diritti né obblighi riguardo eventuali diritti (il mercato può addirittura togliere la proprietà di un bene e, grazie ai meccanismi di dominio oligopolistico, ridurre in polvere la cosiddetta libertà d’investimento). L’approvazione del Redcu rinforzerebbe l’egemonia ideologica culturale in materia di diritti umani e sociali e dei beni comuni della teologia capitalista universale. Occorre reagire, specie in Italia e dall’Italia dove più di un milione e quattrocentomila cittadini hanno firmato in favore di tre referendum miranti, per dirla in breve, all’abrogazione delle disposizioni legislative approvate dal governo Berlusconi allo scopo di privatizzare i servizi idrici (e l’acqua). Un mail-bombing gigantesco lunedì e martedì prossimi al Consiglio dei diritti umani dell’Onu e al Segretario generale delle Nazioni Unite sarebbe un’azione molto efficace. Per quanto riguarda la conferenza delle Nazioni Unite sugli «Obiettivi del millennio per lo sviluppo», tutto indica che i gruppi dominanti degli Stati del «Nord» cercheranno, con l’aiuto e la complicità dei loro simili dei paesi del «Sud» e delle agenzie dell’Onu, di dimostrare - e fare approvare nella risoluzione finale della conferenza - che se l’obiettivo della riduzione di metà delle persone senza accesso ai servizi igienici non sarà raggiunto, l’obiettivo relativo al dimezzamento della popolazione senza accesso all’acqua potabile sarebbe stato di già realizzato. Una grande conquista, proclameranno, che confermerebbe, diranno, la giustezza delle scelte e delle politiche operate in questo campo dai dirigenti mondiali (compresa quindi la privatizzazione dei servizi idrici e la mercificazione dell’acqua, dichiarata bene economico dall’Onu nel 1992). I dati ufficiali confermano i progressi realizzati a proposito dell’acqua potabile, soprattutto in Cina e in Brasile (e in quest’ultimo paese grazie alla campagna «un milione di cisterne»). Si tratta però, in generale, di dati risultanti da mistificazioni statistiche. Al di là delle cifre, gli affamati, gli assetati, gli abitanti delle baraccopoli, i poveri assoluti, i senza lavoro si conteranno ancora al 2015 in miliardi. I dominanti sono incapaci - non è una sorpresa - di far cambiare rotta al mondo. Il fallimento della società mondiale fondata sui principi della sovranità e della sicurezza «nazionali», cioè dei più forti, e sulla ri-universalizzazione del capitalismo è totale. Occorrerà nei mesi che verranno attaccarsi a tale fallimento e inventare, a partire dai beni comuni e dalle città, una nuova mobilitazione altermondialista. Ricordo che l’Icescr è stato ratificato da 160 Stati ma non ancora (a dicembre 2008) dagli Stati Uniti

Fonte: Il Manifesto del 19.09.10