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Essere maschi tra potere e libertà (introduzione)

Mi piace suggerire la lettura del libro “Essere maschi tra potere e libertà”, di Stefano Ciccone, edito da Rosemberg & Sellier (18 euro), perché il tema della questione di genere e della violenza alle donne interroga profondamente il nostro essere maschi, i nostri modelli, la nostra incapacità a vivere noi stessi e la nostra sfera emozionale fuori dagli stereotipi sui quali siamo cresciuti.

Ciccone, insieme all'Associazione e rete nazionale Maschile Plurale, propone, partendo dalla sua condizione di uomo, un percorso di riflessione critica sui ruoli sessuali, sulle relazioni e le disparità tra donne e uomini che coinvolga e destrutturi modelli tipici del maschio.

Nell'invitarvi a leggere il libro, vi propongo l'introduzione del libro, nella quale possiamo trovare già molti spunti di ricerca e di riflessione.

Gino Buratti


ESSERE MASCHI


TRA POTERE E LIBERTA'

Stefano Ciccone

INTRODUZIONE

Questo non è un libro sul mondo (la guerra, la violenza, i saperi, la politica), ma sul mio essere uomo nel mondo e su come, dalla mia personale esperienza, cerco di leggere i saperi, di praticare la politica, di pormi di fronte alla violenza.

La riflessione critica sui ruoli sessuali, sulle relazioni e le disparità tra donne e uomini appare ancora oggi un campo di ricerca e di impegno soprattutto femminile. Nei libri - e ancor più nella pratica di associazioni, collettivi e movimenti - questa dimensione della storia e delle relazioni tra le persone, dei linguaggi e delle forme di costruzione della realtà, non vede una specifica parola maschile. Per gli uomini uno sguardo sul mondo e su se stessi che tenga conto del fatto che gli esseri umani sono sessuati, appare superfluo. Essere uomini è ancora una condizione naturale che non richiede ulteriori aggettivazioni. Sono un uomo: cos'altro c'è da dire?

Negli ultimi decenni, tuttavia, le nostre vite concrete di uomini e di donne, e così pure il pensiero politico, i differenti saperi costruiti intorno alle relazioni umane, hanno dovuto misurarsi con un cambiamento radicale nella rappresentazione della realtà: con la scoperta cioè che il mondo è abitato da individui la cui sessuazione non è né un dato accessorio né la declinazione di un neutro da ordinare gerarchicamente, ma è condizione costitutiva dell'esperienza umana.

Dagli anni Settanta del Novecento, con la comparsa di una nuova soggettività femminile che ha disvelato 1'apparente naturalità delle relazioni di potere, dei ruoli sessuali e delle loro rappresentazioni, è divenuta visibile la realtà di due irriducibili forme dell'esistenza e della soggettività che, seppure continuamente ridisegnate storicamente e socialmente e plurali al proprio interno, si fondano sull'ineludibile materialità dei corpi. Oggi è dunque diventato impossibile pensare alla politica, alla scienza, alle relazioni sociali e alle rappresentazioni del corpo senza fare i conti con il pensiero politico delle donne e con la sua critica di un sapere che si è presunto neutro ordinatore dei corpi e delle parole.

In realtà ciò che è divenuto visibile, che si è espresso, è stata la differenza pensata dalle donne; 1'esperienza maschile è rimasta non detta, confusa con il sistema normativo patriarcale e con la sua rappresentazione storica che ne nega (e ne occulta) la parzialità. Vi è dunque un sapere maschile che ha ordinato la nostra realtà e la nostra identità, e vi sono oggi parole e sguardi femminili sul mondo che questo ordine hanno messo a critica. Oggi percepisco che quel sapere proprio del mio genere non mi permette di vedermi, di dare voce a domande che percorrono la mia vita e quella di altri uomini, di leggere cambiamenti che attraversano la nostra realtà.

È possibile una parola di uomini che esprima 1'esperienza maschile nella sua parzialità, la sua aspirazione a differire rispetto a modelli, forme di relazione, percezioni di sé costruiti storicamente? E possibile una critica di questo ordine oppressivo pensata ed espressa da uomini che rompa con la storia del maschile?

Per decenni le nostre società hanno tematizzato una "questione femminile" intesa come necessità di includere le donne nel sistema politico o di rimuovere i ritardi nel loro accesso a diritti sociali e civili. Ancora oggi, paradossalmente, molti dei libri in cui trovo strumenti per la mia riflessione sono collocati nelle scaffalature delle librerie sotto 1'etichetta "questione femminile". La soggettività femminile ha smesso di essere questione quando ha assunto 1'autonomia per dirsi e per affermare la propria critica a un ordine che relegava le donne alla minorità. Il maschile emerge invece inaspettatamente come un nodo irrisolto e spesso invisibile: come se le costruzioni linguistiche, simboliche e istituzionali prodotte dal maschile avessero reso gli uomini invisibili a se stessi nella loro esperienza di vita, dissimulando la materialità della loro realtà. L' onnipresenza di parola maschile sulla morale, la scienza, la politica, la cultura si accompagna infatti paradossalmente a un diffuso silenzio degli uomini su se stessi.

Questo fa della mascolinità un potere invisibile, perché la regola che vale per gli uomini è considerata semplicemente 1'espressione della ragione e della "normalità". Ciò rappresenta, nel contempo, una fonte di subordinazione per le donne e una perdita di qualità dell'esperienza vissuta per gli uomini. Così gli uomini diventano stranamente invisibili a se stessi [ ... ]. Il carattere universale della ragione ha dato agli uomini 1'apparente diritto di parlare per tutti gli altri, ma spesso essi non hanno un linguaggio per parlare per se stessi[1].

Quella parola pubblica appare intimamente legata alla dissimulazione di questo silenzio. E', in parte, la stessa cosa. Non sarebbe possibile quel discorso neutro sul mondo senza un silenzio su di sé; quella ostentazione di parola su tutto è condizione per non vedere e non mostrare la propria parzialità. Il ruolo astratto e neutro di "esperto" (psicologo, sociologo, medico, quando non criminologo) è la maschera dietro cui molti uomini si celano per pontificare sulle "tematiche" che riguardano la sessualità e le "patologie" nelle relazioni, come la violenza. Altro esercizio di parola maschile riguarda la morale, il pensiero filosofico, il discorso religioso sulle relazioni tra i sessi, le scelte etiche relative al vivere e al morire, le "qualità" maschili e femminili e i conseguenti ruoli nel mondo dei due sessi. Ognuno di questi discorsi è, al tempo stesso, affermazione di un sapere e di un potere maschile e via di fuga e di nascondimento.

Anche la politica è stata (e per molti versi ancora è) linguaggio e pratica eminentemente maschile. Pur esprimendo tensioni oppressive e distruttive essa conteneva però la spinta a costruire collettivamente una risposta a domande di libertà e di senso e di farlo senza affidarsi a istituzioni o a saperi accademici. La politica è la pratica che ha tematizzato il conflitto e la costruzione di soggettività. La sua caratteristica di non essere una competenza o un'area di attività tra le altre, ma di trasformare 1'espressione dei conflitti e delle relazioni tra le persone, ne fa il luogo dove le diverse domande e i diversi saperi sul mondo di cui ognuno e ognuna è portatore e portatrice sono costretti a uscire dalla propria autoreferenzialità e a mettersi in relazione con altre storie, linguaggi e domande. Per questa sua natura la politica è stato il luogo in cui io e altri abbiamo trovato la possibilità di aprire una riflessione su noi stessi e sulle nostre relazioni con le donne e con gli altri uomini.

Lo sguardo che abbiamo prodotto sulle nostre vite, sulle istituzioni e sulle relazioni non ambisce a una nuova sistematizzazione di pensiero, una nuova teoria generale, una nuova norma ma, al contrario, è sguardo che si riconosce parziale e che fa della sua parzialità una chiave per vedere e capire. Come uomini siamo stati abituati a parlare e ad agire pensandoci investiti di una responsabilità e di un' autorevolezza generale. E una propensione che non intendo disconoscere perché mi ha insegnato a interrogarmi sul mondo e a essere nel mondo sentendo che ciò che riguardava la libertà altrui riguardava la mia. Contiene dunque una potenzialità di libertà e di trasformazione. Proprio a partire da questa tensione sono giunto a sentire che essa era insufficiente e rischiava di negarsi, contenendo al proprio interno un perenne rischio di inautenticità. Ho sentito che per essere effettivamente eversiva di un ordine doveva interrogarne le radici e riconoscerne la parzialità.

Al tempo stesso lo spazio politico è quello che più esplicitamente mostra la possibile ambiguità, per noi uomini, di una presa di parola volontaristica, ma forse anche quello dove abbiamo potuto sperimentare nuovi spazi e nuove forme per dirci.

Quando si fa riferimento alla riflessione e pratica politica che assume la sessuazione dei soggetti per la costruzione di un nuovo pensiero politico si pensa ovviamente alla presenza del femminismo nelle nostre società, agli "studi di genere" e allo sviluppo dei women's studies nelle nostre università. In realtà, soprattutto nel mondo anglosassone, sono cresciute negli ultimi dieci anni anche ricerche accademiche ed esperienze associative che pongono al centro l'identità maschile[2]. Gli ambiti disciplinari sono soprattutto la storia, la sociologia, la psicologia e l'antropologia. Nel nostro paese la ricerca attorno al maschile si è sviluppata con grande ritardo e stenta ad assumere visibilità sociale e a stabilizzare un ambito scientifico riconosciuto[3]. . Negli ultimi anni si è però sviluppata anche in Italia una rete maschile di riflessione critica sui modelli dominanti di mascolinità, aperta all'iniziativa di uomini che scelgono di prendere parola sulla violenza, sui rapporti tra i sessi, su culture e linguaggi generati dal patriarcato a partire dalla loro identità e dalla loro esperienza sessuata. Già a partire dagli anni Ottanta ha preso avvio una corrente di ricerca che ha coinvolto uomini impegnati in politica, in gruppi religiosi o in ambiti accademici[4], e si è sviluppata una rete maschile di riflessione critica e un'iniziativa sui modelli dominanti di mascolinità, di uomini che hanno deciso di porre a critica modelli, comportamenti e ruoli maschili. In questi luoghi abbiamo scoperto negli altri uomini non solo cameratismo o competizione, ma anche una forma di solidarietà e comunicazione che non diventa complicità e, al contrario, dà reciprocamente libertà di ricercare e costruire la propria identità.

Questo libro fa riferimento a un'esperienza collettiva vissuta nel gruppo maschileplurale di Roma e in una rete informale composta da piccoli gruppi con storie e pratiche diverse che ha dato origine all'associazione nazionale Maschile Plurale[5]. In questo percorso di riattraversamento critico dell'esperienza storica e dei modelli identitari del maschile che ho condiviso con altri uomini differenti per età, orientamento sessuale, storia politica o retroterra culturale, sono stati elementi decisivi l'incontro politico ed esistenziale con le donne e il dialogo con il pensiero e la pratica dei femminismi. Qui vorrei tentare di ripercorrere la nostra storia tornando a quanto abbiamo detto e scritto negli ultimi anni. Questa narrazione e questa rivisitazione critica non hanno un fine autocelebrativo né di semplice sistematizzazione e ricostruzione: risponde piuttosto all' esigenza di disporre di strumenti che permettano di andare oltre, di costruire una nuova ricerca collettiva. Nel nostro primo articolo, scritto più di vent'anni fa, parlavamo di una riflessione cresciuta in modo discontinuo su pezzetti di carta. Oggi scrivo al computer e faccio largo uso della funzione "copia e incolla": non per pigrizia, ma per ripercorrere sensazioni e intuizioni cresciute frammentariamente in un lungo periodo. Molte parti di questo testo sono apparse su riviste o derivano da interventi a convegni, seminari, gruppi di condivisione. Quello che tento di fare è trarne il senso e porre le basi per andare oltre.

Un discorso maschile che voglia proporre una critica delle relazioni tra i sessi e dei modelli di identità sessuate suscita una spontanea reazione di sorpresa che può sfociare anche nell'incredulità o nel sospetto: deve misurarsi con un interrogativo di fondo riguardante le sue motivazioni. Questa considerazione ci ha portati spesso a dover rendere conto del senso delle nostre parole per evitare fraintendimenti o equivoci: per scongiurare, ad esempio, il sospetto che "prendere la parola come uomini" fosse frutto di un revanscismo verso il protagonismo delle donne o una strategia di adattamento di fronte all'incalzare di uno sguardo critico femminile. Il punto di vista del gruppo Maschile Plurale, non trovando ancoraggi certi né in una tradizione di pensiero, né in una competenza disciplinare, né in una collocazione politica, ha dovuto inoltre fare continuo riferimento all'esperienza e alla sua reinterpretazione o alla rilettura dei luoghi comuni e degli stereotipi che hanno segnato le nostre vite. Così ogni nostro intervento è stato caratterizzato da una circolarità tesa a spiegare un punto di vista e a raccontare un percorso, mettendolo in relazione con temi e nodi problematici diversi.

Il continuo rimando tra la costruzione di uno sguardo parziale maschile sul mondo e le proprie scelte, i propri giudizi è la ricchezza che trovo in questa riflessione e che spero di non aver perso con un'organizzazione per capitoli. Questa tensione è all'origine della difficoltà di produrre una scrittura "ordinata" per temi: ciò che mi preme di raccontare, infatti, è in primo luogo un'esperienza, un modo di guardare. Questo testo è insomma un tentativo di andare al merito; e di cercare, a partire da qui, quell'interlocuzione più profonda con altri uomini e con le donne, sempre accennata e sempre rimandata.

Esplicitare un' elaborazione più articolata significa anche voler andare oltre lo stupore suscitato e la relativa gratificazione - “vorrei far sentire a mio marito quello che hai detto” - al tempo stesso straniante, che rinvia allo stereotipo dell'uomo sensibile o difensore dei diritti delle donne.

Smettere di essere un fenomeno e porsi come soggettività significa costruire le basi per un nuovo confronto e una nuova dimensione di conflitto: con le differenti posizioni delle donne, con gli altri uomini, con altri percorsi maschili di riflessione critica, con le culture politiche.

La necessità di esplicitare la "collocazione" di questo punto di vista critico sul maschile e di darne una rappresentazione compiuta deriva oggi anche dall'emergere di una positiva novità: la nostra riflessione si è articolata, non è più l'incrocio tra (pochi) percorsi pressoché solitari di uomini, ma ha prodotto luoghi collettivi e reti in cui quella che è stata la mia riflessione è divenuta parte di un ventaglio più ampio, all'interno del quale mi interessa confrontare domande, punti di vista e prospettive.

Ritengo inoltre utile indagare quanto, anche in posizioni molto differenti, ci sia di comune alla mia esperienza: risposte diverse a domande comuni che non possono essere facilmente liquidate. Mi riferisco alle stesse differenti prospettive politiche ed esistenziali presenti all'interno della rete dei gruppi di uomini di cui faccio parte, segnate da approcci prioritariamente etici, tentazioni di rifugio nella reciproca accoglienza o che si rivelano frutto di un irrisolto senso di colpa maschile. Voglio misurarmi con l'esperienza e l'elaborazione del movimento gay che, grazie agli uomini che ho incontrato, ho scoperto essere per me parte di una comune riflessione sul maschile che voglio sviluppare in un confronto più serrato e di merito. Penso infine ai tanti atteggiamenti individuali, o ai movimenti organizzati e alle posizioni teoriche, basati su una sorta di rivendicazionismo maschile, sulla reazione ostile o spaventata nei confronti della libertà femminile, sulla tentazione di una rivalsa che esprime la frustrazione maschile derivante dalla perdita di luoghi e modelli di costruzione e verifica di un'identità certa e stabile. Nelle pagine che seguono cercherò spesso di evidenziare l'ambiguità e l'inadeguatezza di queste posizioni, ma ritengo non possano essere archiviate come meramente misogine e reazionarie. Esse esprimono tensioni reali, sofferenze e domande maschili che chiedono parole nuove per esprimersi e riconoscersi. Parlano comunque di noi e ci costringono a guardare alle nostre pulsioni contraddittorie. In fondo questo percorso di riflessione è un continuo andare e venire tra estraneità e riconoscimento, distanza e scoperta di fili sotterranei che legano me all'immaginario di uomini diversissimi per cultura e generazione.

In questi anni la nostra ricerca e la nostra iniziativa si sono potute spesso avvalere dell'ospitalità in spazi creati dalle donne: i centri antiviolenza, i gruppi impegnati sulla prostituzione, le iniziative sull'aborto o sulle leggi sulla procreazione ci hanno proposto di prendere la parola come uomini, permettendoci non solo di far circolare le nostre riflessioni, ma anche di sviluppare la nostra ricerca grazie a un'interlocuzione su nodi tematici ogni volta differenti. La partecipazione a incontri, seminari, assemblee (da Bolzano a Lecce, da Cagliari a Milano, da Genova a Palermo), è stata per me l'opportunità per conoscere l'impegno quotidiano e la riflessione preziosa di donne radicata in realtà diversissime del nostro paese. Non solo: gli inviti che mi hanno portato in giro per l'Italia hanno aperto uno spazio nella mia quotidianità dandomi l'opportunità di viaggi in treno passati a prendere appunti e a leggere. Gran parte di questo libro è stata scritta in viaggio.

In questi ultimi anni il dialogo e l'incontro con la politica delle donne è andato, però, oltre il limite che aveva segnato quella esperienza: siamo passati dall'offrire un punto di vista maschile su temi e problemi oggetto dell'iniziativa delle donne, al costruire un'iniziativa pubblica come uomini, una presa di posizione e una proposta maschile, che vuole sviluppare una ricerca comune tra donne e uomini basata su un reciproco riconoscimento di autonomia. Ciò è avvenuto in parte per una crescita della nostra elaborazione e della realtà di gruppi e di uomini impegnati a portarla avanti, e in parte per un nuovo desiderio femminile di confronto e di scambio.

Da fenomeno a soggettività, dunque, con una nuova responsabilità e anche con la necessità di articolare un pensiero.

Rileggendo il nostro percorso collettivo durato ormai diversi anni credo possibile oggi ritrovarne il senso, proporne una chiave di lettura. Quali sono i nodi centrali e le peculiarità? Innanzitutto la scelta di porsi da un punto di vista parziale, di guardare all'esperienza degli uomini senza la presunzione di "spiegare come funziona il mondo", ma scegliendo di raccontare l'esperienza maschile che ognuno di noi vive in maniera differente. Scegliere di esprimere la parzialità maschile non è un atto di autolimitazione, di rinuncia a esprimere un giudizio sulla realtà, ma apre un nuovo sguardo sulle cose, sul mondo e su me stesso e dunque rappresenta un' opportunità di conoscenza e di trasformazione. Al tempo stesso l'assunzione della parzialità maschile, la condizione sessuata degli uomini e le conseguenze che questa sessuazione ha sulla loro soggettività, sulla loro esperienza del mondo, non è un gesto simmetrico con l'espressione femminile della propria identità sessuata, perché non è simmetrico il rapporto tra queste due differenze con l'ordine che le ha da un lato occultate e dall'altro inserite in un rapporto gerarchico. La storia del maschile è anche storia di quella parzialità che si è fatta norma, misura dell'umano rispetto a cui il femminile diveniva declinazione per difetto; ma al tempo stesso è storia di quella condizione vissuta dagli uomini che il sistema di poteri, norme e rappresentazioni chiamato patriarcato ha plasmato nel tempo mutandone espressione e percezione di sé.

Parlare del maschile vuol dire dunque al tempo stesso parlare dell'ordine che gli uomini hanno generato, delle domande a cui la costruzione di questo ordine ha risposto e dei segni che questo ordine lascia sui corpi, sui desideri e sulle percezioni degli uomini.

La seconda peculiarità della nostra riflessione sta nel porsi, rispetto alla trasformazione delle relazioni tra donne e uomini e alle forme di violenza e potere che le segnano, in una posizione che guarda alla nostra libertà senza volontarismi e senza nostalgie. Osservare il mondo e vedere le domande di libertà che lo attraversano con occhi che riconoscono il proprio limite e la propria parzialità, è un' opportunità di conoscenza di se stessi e di scoperta di spazi di libertà, di relazione con la propria esperienza e ascolto dei propri desideri che una prospettiva fondata sulla responsabilità di essere soggetto neutro, investito della missione di interpretare le ragioni dell'umanità, finiva per offuscare innanzitutto a noi stessi. Un uomo può schierarsi per la parità tra i sessi nell'accesso al potere o al reddito, può battersi contro la violenza sulle donne o la mercificazione dei loro corpi, può affermare il loro diritto a decidere del proprio corpo e a determinare le proprie scelte riproduttive. Ma se ascolterà fino in fondo ciò che queste scelte portano dentro di sé, vedrà che non parlano soltanto delle donne, ma parlano di lui, del suo rapporto con il proprio corpo, con la sua identità di uomo, e che contengono una domanda che va oltre la disponibilità alla cessione di spazi di potere o la condanna di forme di violenza e di oppressione. Ascoltare quella domanda è forse un'opportunità, per costruire un percorso di libertà e una ricchezza per la sua vita.

La scelta di prendere parola come uomini ha avuto il senso non di un'assunzione di impegno volontaristico o di carico di una "colpa" di genere, quanto di opportunità per aprire uno spazio di libertà nel nostro dirci uomini e nel nostro vivere la nostra esperienza in conflitto con modelli normativi e forme delle relazioni incapaci di essere ancora, per noi, fonte di senso.

Al tempo stesso la scelta di un'iniziativa collettiva di uomini che propone un punto di vista critico sui modelli di costruzione delle identità di genere rappresenta di per sé un'apertura di nuove possibilità di relazione tra donne e uomini. Ci permette di pensare una relazione politica che superi lo schema di un confronto tra una differenza femminile che trova nei diversi femminismi una sua espressione critica, e un'esperienza maschile spesso schiacciata nel rapporto con la storia di un genere che da un lato si è fatto norma e dall'altro si è celato dietro questa norma risultando opaco anche a se stesso.

Lo sforzo di rielaborazione contenuto in questo testo riguarda anche il nostro rapporto con il maschile. Come abbiamo tentato di fare fin dall'inizio, anche se scegliamo di agire un conflitto al suo interno e se intendiamo rompere una complicità che ha spesso segnato le parole maschili, non ci interessa compiere un' operazione di semplice distanziamento dalla storia e dai comportamenti del nostro genere, ma cercare di coglierne le ragioni e le domande che segnano e accomunano l'esperienza maschile nelle sue diverse declinazioni e sfaccettature.

La nuova libertà femminile nel pensare il mondo e nell'agire nel mondo, la crescente presenza delle donne nel mondo del lavoro, della cultura e della politica si accompagnano alla crisi di strutture di potere che sancivano un ruolo maschile nella famiglia e la centralità del maschile nella sessualità. Che cosa rappresenta per noi uomini questa enorme trasformazione? Una minaccia o un'opportunità? Le reazioni maschili a questo cambiamento hanno assunto e assumono diverse forme: dalla rimozione alla depressione, dal revanscismo al "politicamente corretto", dall'accettazione etica di un riequilibrio di potere all'inserimento del conflitto tra generi in un quadro di diritti da regolare e opportunità da riconoscere. Questo testo vuole proporre uno sguardo critico su queste differenti risposte per aprire, innanzitutto a noi uomini, spazi impensati di libertà e di espressione, di critica di modelli culturali consolidati.

La riflessione critica sul maschile e nel maschile si rivela sempre più un nodo obbligato per una pratica di trasformazione e per una lettura delle tensioni del presente.

NOTE:

[1] , Vietor Seidler, Riscoprire la mascolinità. Sessualità ragione linguaggio, Roma, Editori Riuniti, 1992, p. 6.

[2] Le espressioni di questo dibattito interno al maschile assumono prospettive diverse tratteggiate da Michael Flood nel testo Four Strands (Flood, 1996), che propone una panoramica di conflitti e prospettive politico esistenziali all'interno del variegato "movimento degli uomini" in Australia, ma che può essere assunto come riferimento generale. È disponibile la traduzione italiana sul sito www.maschileplurale.it.

[3] Ho incontrato nel testo di Carmine Ventimiglia sulla violenza sessuale, che stimolò la nostra riflessione, il primo tentativo di mettere in gioco il proprio punto di vista come uomo, senza limitarsi a uno sguardo neutro sui fenomeni indagati (Carmine Ventimiglia, La differenza negata. Ricerca sulla violenza sessuale in Italia, Milano, Franco Angeli, 1988)

[4] Una ricostruzione di questa vicenda in relazione a riflessioni di carattere disciplinare si può trovare in Claudio Vedovati, Tra qualcosa che mi manca e qualcosa che mi assomiglia, la riflessione maschile in Italia tra men's studies, genere e storia, in Maschilità, a cura di Elisabetta Ruspini e Elena Dell' Agnese, Torino, Utet, 20°7.

[5] Documentazione del dibattito di questa rete e delle sue iniziative è reperibile sul sito .www.maschileplurale.it .

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Stefano Ciccone, biologo, coordina il Parco Scientifico e Tecnologico dell'Università di Roma Tor Vergata. E' presidente dell'Associazione e rete nazionale Maschile Plurale, che riunisce gruppi di uomini interessati a pensare alla propria identità e sui modelli maschili.