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Una riflessione sul''Islam: intervista a Ghaleb Bencheikh

Pubblichiano questa intervista a Ghaleb Bencheikh , animatore della trasmissione "Islam" su France 2, presidente della Conferenza mondiale delle religioni per la pace, è stato intervistato a Losanna dall’agenzia ProtestInfo. Dottore in scienze, figlio di un ex rettore della Grande Moschea di Parigi, Bencheikh si esprime in merito ad alcune questioni religiose che turbano a nord e a sud delle Alpi. L'intervista è stata inviata nella newletter "Ecumenici":

Qual è il suo parere sul dibattito suscitato dal velo?
Il velo dipende da una raccomandazione contingente, fatta in un determinato momento della storia a donne particolari, affinché fossero riconosciute e non offese. È una questione che non ha davvero bisogno di tutto il baccano di cui è fatta oggetto attualmente, poiché non rientra nell’essenziale.

Che cosa pensa della votazione sulla proibizione dei minareti in Svizzera?
È stata una cosa quanto mai stupida, da entrambe le parti. Da parte islamica perché le moschee non hanno bisogno di minareti. Non è né un’esigenza architettonica, né un’esigenza teologica. La prova migliore è la moschea della Cupola della Roccia a Gerusalemme: non ha il minareto e ciò non le ha impedito di essere una delle più belle e amate dai musulmani.
Dall’altro lato, era assolutamente stupido considerare i minareti come razzi che non si armonizzano con l’architettura. La nazioni si evolvono, la vita insieme deve essere improntata al rispetto e al riconoscimento, in una società aperta, multiconfessionale. Questa votazione non ha fatto onore alla confederazione elvetica.

È favorevole a una lettura storico-critica del Corano?
Certamente. E bisogna anche andare oltre lo storico-critico. Non bisogna rimanere in quella che io chiamo archeologia e tracciabilità. È un testo che ci interpella, che ci pone domande sul sacro, sul destino dell’uomo, sul mistero della vita. E dunque non bisogna lavorare soltanto sul contenente, ma anche sul contenuto e sui suoi significati, al plurale. Forse i nuovi strumenti come la semiotica, la linguistica o la mediologia, poco utilizzati fino a oggi, ci apriranno altre prospettive. E ben vengano i risultati che possono scaturirne!

Come viene percepito nel mondo musulmano il tentativo di interpretare il Corano in relazione con la modernità?
Male a livello dei ceti popolari. Non lo si comprende. Inoltre ci sono degli atavismi, dei riflessi, delle paure: si confondono fedeltà alla fede e fissismo, attaccamento alla spiritualità e rigidità. Tuttavia, accanto a ciò, ci sono intellettuali, teologi, ricercatori che fanno cambiare le cose. Forse non sono in numero sufficiente, forse non hanno sufficiente potere da servire da leva al fine di cambiare i paradigmi di pensiero, ma in ogni caso ci sono e ciò apre delle prospettive.

Il dialogo interreligioso va oggi di moda. Che cosa ne pensa?
È paradossale. Da una parte c’è una proliferazione di convegni, di associazioni, di incontri sul dialogo interreligioso e dall’altro c’è un aumento della paura, dell’ostilità... Tuttavia penso che il dialogo interreligioso dipenda da un bisogno vitale. È necessario per spingere indietro le paure, per favorire il riconoscimento, per far posto all’amicizia e alla solidarietà, per costruire insieme una società giusta, fraterna e solidale (Sylvain Stauffer/ProtestInfo, trad. it. Giacomo Mattia Schmitt)

Fonte: Ecumenici Newsletter
Segnalato da Maurizio Benazzi