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La piazza dopo la piazza

In piazza in mezzo alle altre. Contenta. Quella pulsazione segreta. Quel calore. Attraversando a fatica la folla, mi piaceva chiedere "scusa, mi fai passare?" e prendermi il sorriso di chi avevo toccato sulla spalla. Sembra stupido, ma in una città diventata ringhiosa come Roma, dove in auto senti urla belluine e insulti a sfondo sessista, è un sollievo, essere fra sorridenti. Sentirsi comunità. Piccoli regali del vivere. Dunque stavamo lì, ad ascoltare testimonianze e discorsi. Non comizi. Un palco poco piazzaiolo. Tutti tonetti pacati, tutti pensieri puliti. Quasi nessuna eccedenza logorroica sui risicati tempi dell'attenzione di massa. Ho pensato: bello, le donne. È un'altra voce. Un altro timbro. Altre parole. Un altro stile. Ho realizzato di essere stanca dell'invadenza di genere: sempre ascoltare il maschio stentoreo politico. In televisione: azzannando l'avversario, masticandolo con le fauci spalancate. In piazza: trionfando su qualsiasi dubbio o angoscia collettiva.
No, non sto dicendo che siamo "belline e dolci". Sto dicendo che non siamo stridule, non siamo esenti da dubbi, abbiamo il gusto delle sfumature. O forse sto solo godendo delle buone novità. Per esempio: lo spirito unitario. Sono state brave le ragazze del comitato promotore a non barricarsi dietro gli steccati. Hanno composto un bouquet vario: testimoni, poete, una femminista, una sindacalista, una "dall'altra parte" (Ma ha difeso Andreotti! Pazienza...), un uomo che pratica la riflessione di genere come femminismo insegna... Si sono piazzate orgogliosamente nel presente. Pagando la voglia di palingenesi con qualche storica esclusione. Ho pensato: sarebbe bello che questa piazza trovasse la sua rappresentanza. Non un partito che ci mette sopra il cappello. Un qualcosa che nasce di lì... Sogno troppo?

Fonte: L'unità del 16 febbraio 2011