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Svalutare il premio nobel per la pace

Tra tutti i premi nobel, quello per la pace, sicuramente è quello più carico di significati. Sicuramente è l'indicazione di un percorso altro rispetto alla cultura della violenza e della guerra. Il riconoscimento del conflitto e della lotta affermando logiche altre rispetto al pensiero dominante.

Così è stato quando è stato assegnato a Martin Luther King (1964), per le sue battaglie contro l'apartheid, a Madre Teresa di Calcunna (1979), per il suo impegno contro la povertà, a Walesa (1983), per le lotte sindacali nonviolente all'interno di un regime totalitario.

Evidente il riconoscimento a Mandela (1993), che è riuscito ad affermare progressivamente una lotta nonviolenta per il superamento del regime di apartheid di Sud Africa, così come quello ad Arafat, Peres e Rabin (1994), per lo sforzo, pur partendo da esperienze “militari”, di arrivare ad un accordo di pace in Palestina.

Ma che significato dare al premio concesso nel 2009 a Barack Obama, solo per una volontà dichiarata di costruire un sistema di relazioni altro, smentito sistematicamente da scelte successive di politica estera e politica militare?

Quale significato dare al premio nobel per la pace 2012 concesso all'Europa?

Quale iniziativa meritoria per affermare una cultura di pace ha messo in atto l'Unione Europea?

Forse la guerra in Libia, oppure l'impegno in Afghanistan e in Iraq? Oppure le politiche di respingimento dei profughi? Forse l'avere ridotto ala Grecia alla miseria per incapacità a praticare politiche di solidarietà?

La sensazione è che il premio Nobel sia diventato il riconoscimento a chi opera per la pace dell'occidente...

Se questa è la deriva, forse è meglio smettere di assegnare questo premio... perché così lo stiamo semplicemente svendendo e non facciamo certo un servizio a chi opera davvero per una cultura di pace e di nonviolenza.

Gino Buratti

 

Editoriale pubblicato sul notiziario n. 399 del 19 ottobre 2012