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L'insulto sessista non ha scusanti, ma va affrontato

Non è la prima volta che accade. L’istigazione allo stupro non è cosa nuova. Lo avevamo visto in passato con la ministra Cécile Kyenge. Non è neanche inedito l’utilizzo dell’insulto sessista in riferimento alle donne in politica (e non solo). Grillo nel 2001 chiamò “p……” la Premio Nobel Rita Levi Montalcini L’impotenza argomentativa di alcuni uomini si esprime spesso in questo senso. «Quando un uomo deve insultare una donna, fosse anche una donna di potere, lo spettro degli insulti si colloca sempre e comunque dentro una cornice che ha nello stupro o nella prostituzione il suo "core business"… la cosa più "desiderabile" che si possa augurare a una donna nei cui confronti si nutre astio e rancore ha a che fare con la violenza sessuale o con la sua riduzione a oggetto di piacere (e potere) sessuale il più possibile degradante» (Peter Freeman).
E non c’è ingenuità nel far questo. Anche quando in nome di questa si ritratta. Così come non ci deve essere, da parte di nessuno, alcun tentativo di giustificazione. Perché questo regredimento culturale, che si palesa nell’insulto sessista, non solo non ha scusanti ma va affrontato. È questione politica. Di più. È questione politica urgente. Lo diciamo da tempo, lo ribadiamo oggi. Mentre il sessismo è arrivato, ancora una volta, nelle nostre aule parlamentari. Tra quei banchi in cui chi dovrebbe dare l’esempio più alto utilizza un linguaggio maschilista primordiale, non scusabile con l’inesperienza. Espressione di una mancanza di cultura del rispetto.

Fonte: ComboniFem - Newsletter Suore Comboniane del 1 febbraio 2014