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La resistenza non è storia di superuomini

La resistenza non è storia di superuomini, non è necessario un fisico statuario per essere partigiano, non bisogna essere nati in una grande città e nemmeno avere la benedizione di una famiglia benestante. La resistenza è una storia di uomini, forse con la U maiuscola, ma pur sempre uomini, uomini che amano la patria, certo, ma soprattutto uomini che amano il futuro, la speranza e il sacrificio. Perché il mondo non si cambia facilmente, ci vogliono idee, costanza e fatica. Nient’altro.

Beppe Fenoglio era uno scrittore e un partigiano. Come scrittore non ebbe particolare successo durante la vita, gran parte delle sue opere uscirono postume. Come partigiano non compì imprese degne di un eroe omerico. Fenoglio era un uomo, uno come tanti. Nato nella provincia piemontese, legato alla propria terra come solamente un italiano sa esserlo, Beppe era personaggio schivo, uno di quelli che preferiscono parlare con la penna, affidare alla carta i pensieri che la lingua rende pesanti e goffi. Figlio di un macellaio, Beppe frequenta il liceo di Alba, una tappa fondamentale per la sua formazione di uomo e intellettuale. Qui conosce la letteratura, coltiva quelle passioni verso la campagna delle langhe e il mondo anglosassone che contraddistingueranno la sua prosa degli anni a venire. Per diventare uomini ci vogliono buoni maestri e Beppe ebbe la fortuna di incontrarne sui banchi di scuola, insegnanti di lettere e filosofia che seppero stillare nell’animo di quei giovani, imbevuti di subdola retorica fascista, l’amore per la libertà. Poi arrivò l’università e con questa la guerra mondiale. Nel 1943 l’Italia crolla e l’orda nazifascista infesta le già provate contrade italiche. Fenoglio, ventunenne, dopo una breve parentesi nell’esercito reale, prende la via dei monti, diventa partigiano, prima con una formazione comunista e poi con una azzurra, badogliana. La resistenza sarà l’evento cruciale della vita di Fenoglio. La guerra di liberazione sarà per lui la metafora dell’esistenza: una liberazione che non ha mai fine, un’esperienza che rappresenta l’infinita avventura umana. Un “soldato di Cromwell con il fucile a tracolla e la Bibbia nello zaino”, dirà di se stesso, un uomo che vaga per le colline piemontesi con un fucile carico di valori e senso del dovere. Dopo la guerra Fenoglio tornerà ad essere quello che era prima del 1943: un cittadino italiano. Rientrato nella sua città, Alba, lavorerà come impiegato in un’azienda vinicola e si dedicherà alla sua grande passione, la scrittura.

Il Fenoglio scrittore ci ha lasciato alcune delle più belle pagine dedicate alla resistenza. Non scrisse solo di questo, indispensabile e foriera di emozioni è la lettura dei racconti ambientati nelle Langhe dei contadini poveri: in opere come “La malora” e “La paga del sabato” la condizione delle classi agricole è resa con uno stile che già supera il neorealismo. Tuttavia è nei racconti sulla guerra di liberazione che la prosa di Fenoglio raggiunge i massimi livelli. Mai retorico né celebrativo, nei suoi libri la resistenza non è più una guerra civile, è la giovinezza perduta ed eternamente rimpianta, le Langhe diventano una “mappa del mondo”, i personaggi velati da un sincero anticonformismo. Dedicherà alla scrittura anima e corpo, produrrà pagine in grande quantità, come se avesse saputo che la morte lo attendeva troppo presto.

Fenoglio rappresenta un anticonformismo che oggi non esiste più. Visse tutta la vita nella sua Alba, mentre la civiltà dei consumi spingeva tutto e tutti verso le grandi città. Scrisse di contadini senza conformarsi al neorealismo, di guerra partigiana senza celebrarla con la retorica degli altri autori. Un uomo come tanti, insomma. Un uomo, però, che pensava e sceglieva con la propria testa. Ad un racconto partigiano regalerà il suo epitaffio: Sempre sulle lapidi, a me basterà il mio nome, le due date che sole contano, e la qualifica di scrittore e partigiano.

 

Fonte: Franco Beccari