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Non mentire, non essere ciechi, non essere complici

Una immersione nella realtà del territorio lecchese

A un mese dall’uccisione delle tre sorelline Sydni, Keisi e Simona Dobrushi (9 marzo 2014), i loro nomi sono stati scritti sul Muro della Memoria a la Casa sul Pozzo. Custodire la memoria è azione rivoluzionaria e feconda perché sovverte le regole del consumo, tiene vivo e inquieto il percorso umano.

Il mese di marzo è stato un mese difficile, senza risposte e senza parole che aiutino a svelare un senso; è acuta la coscienza che non possiamo garantire la salvezza dei giovani, non possiamo proteggerli completamente e sempre dagli incontri distruttivi, dalle difficoltà, dagli incidenti, dalle malattie, dal vortice interiore che può portarli a recidere ciò che è vitale, fino alla morte.

I giovani sono il punto più vulnerabile del sistema creato da noi adulti. Quanto stanno pagando e quanto futuro viene loro sottratto è difficile dirlo.

La cronaca quotidiana documenta la difficoltà a capirsi tra adulti e giovani nel mondo dell’immigrazione ma non solo. Le cause sono tante e vanno dai modelli autoritari standardizzati al disorientamento totale che attraversiamo.

C’è sempre più bisogno di persone e di luoghi che accompagnino e siano mediatori di questo processo; è vitale che i quartieri, i paesi, i territori diventino imprese di cittadinanza per coltivare, riconoscere e custodire i beni comuni.

Ho sentito più acuto tutto questo con le notizie che ci hanno avvolto come in una morsa in questi giorni; mi riferisco ai fatti delle “collusioni mafiose” e al “clima di mafiosità” di difficile lettura tanto opacamente diffuso e che ritrovi nei comportamenti per ottenere un posto di lavoro, un riconoscimento dovuto, una pratica. La vita della città territorio cresce per appartenenze garantite più che per le competenze professionali e di umanità.

Ho pensato al piccolo e simbolico processo di cittadinanza sperimentato in questi ultimi anni con i giovani di Crossing e del progetto Diapason; un progetto educativo che si è misurato quotidianamente dal biglietto del pullman da pagare al comprendere i percorsi di liberazione dentro la Città di Lecco; abbiamo sperimentato il dialogo tra i giovani, le animazioni in piazza per segnare la nuova vita in un appartamento tolto alla mafia, la visita a Wall street dal futuro lento, il campo di lavoro a Lamezia Terme in terreni e spazi confiscati alla mafia, il cammino sui sentieri dei partigiani in Val Codera per assaporare la crescita di una Costituzione che rende gli uomini liberi e trasparenti, la visita/laboratorio alla città di Trieste per apprendere come si vive da diversi insieme e il costo di tutto questo letto nelle drammatiche esperienze della Risiera di san Sabba e delle foibe. Oggi è allo studio un itinerario a piedi da Monte Sole a Barbiana perché l’educazione è opera quotidiana, che si fa muovendo un passo dopo l’altro.

Mi chiedo ogni giorno: cosa può fare una comunità adulta per le giovani generazioni ?

Può contribuire ad avviare un lavoro di scavo del proprio pozzo; dare alcuni strumenti, qualche istruzione (penso quanto è preziosa la compagnia offerta dai volontari a la Casa sul Pozzo e in tanti altri luoghi della Città/Territorio in questo lavoro che è politico nella radice più nobile, quello di costruire la città attraverso la cura dei suoi abitanti più giovani); e soprattutto mostrare l'obbedienza al desiderio di continuare e scavare, nonostante tutto.

Cosa si può fare quando l'irrimediabile è avvenuto? Possiamo solo continuare a limitare la recisione di qualcosa di vitale che la Vita ostinatamente offre.

Agli adulti e ai giovani offro due “parabole” progettuali:

Gesù, dal Vangelo di Luca: vide, si commosse, gli corse incontro, gli si gettò al collo, lo baciò.

Simon Weil: Non mentire, non essere ciechi, non essere complici.

Angelo Cupini