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Intervista a Maria Stella Buratti, la nuova portavoce dell'Accademia Apuana della Pace

Sabato 28 marzo, nell'assemblea di Aulla, è stata eletta portavoce dell'Accademia Apuana della Pace per i prossimi due anni la prof. Maria Stella Buratti, attuale presidente dell'Associazione Volontari Ascolto e Accoglienza, che da anni è impegnata accanto agli esclusi delle periferie e ai senza dimora della Casa di Accoglienza di Massa.

Abbiamo posto alla nuova portavoce alcune domande.

Dall'esperienze nella scuola a quella della solidarietà nell'Associazione Volontari Ascolto e Accoglienza e nel Gruppo Carcere, ed ora, dopo aver svolto il ruolo di senatrice, portavoce dell'Accademia Apuana della Pace. Formazione, solidarietà, cultura di pace: quali legami e quali intrecci?

Nella mia vita queste esperienze si sono intrecciate ed integrate così strettamente da apparirmi sfaccettature diverse di uno stesso percorso. Il lavoro a scuola per me è stato bello e impegnativo proprio perché mi ha posto di fronte ad una costante "alterità" e mi ha chiesto (se volevo formare e non solo istruire) di imparare a promuovere l'altro senza manipolarlo, ad avere tolleranza e pazienza, a conoscere e sorvegliare le mie reazioni negative quando i percorsi erano molto distanti, a mettermi nei panni di. Ci sono già molti ingredienti comuni a scelte di solidarietà e desideri di pace: entrambi sono il prodotto di una cultura, di una visione della vita, mai appresa una volta per tutte, che via via ha finito col permeare tutti i contesti in cui mi sono trovata a vivere e mi ha dato il coraggio di fare esperienze in ambiti (il carcere, la strada) che mai avrei immaginato di avvicinare.

 

Quale ruolo può avere l'AAdP nel costruire, a partire dal locale, una cultura di pace?

Parafrasando uno slogan di alcuni decenni fa, potrei dire che occorre agire localmente e pensare in grande. Ciò significa che la pace non è neutrale, è necessariamente di parte, non può prescindere da un'analisi politica (seppur non partitica). Agire localmente, negli ultimi anni, ha significato ad es. per l'AAdP promuovere le periferie, difendere i diritti degli ultimi (perché non c'è pace senza giustizia), ma anche richiamare l'opinione pubblica ad andare oltre i luoghi comuni, a tenere aperti gli interrogativi sui grandi conflitti che travagliano questo tempo, a non prendere per buone risposte prefabbricate e omologate, a non arroccarsi su posizioni integraliste e razziste. Un altro aspetto importante dell'AAdP è il suo essere per natura una rete di Associazioni: la pace si costruisce insieme, superando l'individualismo, limando le differenze, cercando ciò che accomuna.

 

Qual è la tua idea di nonviolenza e quale legame con l'impegno per una cultura di pace?

Nonviolenza e pace sono inscindibili, l'una è condizione dell'altra; nessuna pace solida può essere raggiunta con mezzi violenti, con guerre o prevaricazioni, che seminano odio e desideri di vendetta e rivalsa. Nella concretezza delle situazioni e delle scelte politiche capisco però che non è facile, che possono nascere interrogativi laceranti: bisogna dunque stare a guardare o subire? Di fronte a questa domanda mi ripeto allora che nonviolenza non è inerzia o passività, è invece resistenza attiva e ricerca creativa e condivisa di percorsi inediti capaci di avviare cambiamenti non violenti.

 

Quali libri consiglieresti di leggere a un giovane che si accostasse oggi alla nonviolenza? E quali libri sarebbe opportuno che a tal fine fossero presenti in ogni biblioteca pubblica e scolastica?

E' una domanda difficile. Qualche anno fa avrei indicato senza timore i grandi maestri della non violenza, da Gandhi a Martin Luther King a Nelson Mandela; le donne impegnate per la pace, come Rigoberta Menchù, Somaly Mann, la giovane pakistana Malala; Capitini, La Pira, don Milani, per restare in Italia. Ancora oggi penso che una biblioteca non possa farne a meno. Ci metterei anche il Vangelo; come pure - mi suggeriscono alcuni amici islamici - il Corano (che non è quello che i fondamentalisti vogliono farci credere).

Ma ai giovani di oggi ... giovani che leggono poco, giovani a cui abbiamo rubato memoria e futuro, giovani incapaci di sognare, con linguaggi così diversi dai miei ... mi è più difficile dare consigli. Credo che cerchino testimoni più contemporanei, ma anche linguaggi più emotivi. Negli ultimi anni, tra le proposte di lettura rivolte agli studenti delle superiori, ho continuato ad inserire classici come "Il diario di Anna Frank", "Il gabbiano Jonathan Livingston" di R. Bach, "Siddharta" di H. Hesse, "Il piccolo principe di A. De Saint-Exupéry, "L'amico ritrovato" di F. Ulman, ma anche i testi di Gino Strada o "Il razzismo spiegato a mia figlia" di T. Ben Jelloun. I ragazzi stessi mi hanno suggerito le recenti storie proposte da Fabio Geda, "Nel mare ci sono i coccodrilli", o da Giuseppe Catozzella, "Non dirmi che hai paura". Forse la strada migliore è proprio questa: una reciprocità di ricerca e di proposta.

 

Parlaci dell'Accademia Apuana della Pace che vorresti.

In questo momento mi sembra di intuire tre priorità: potenziare il lavoro di squadra all'interno (è la condizione che mi ha indotto ad accettare l'incarico); potenziare il lavoro di rete e la costruzione di reti sempre più ampie all'esterno (mi pare che vada proprio in questa direzione la presenza di realtà associative della Lunigiana, che da alcuni anni mancavano), capaci di sollecitare anche i nostri amministratori; proporre spazi e iniziative di formazione e dibattito sulla pace, oggi così messa a repentaglio.

 

Quali figure per te importanti hanno accompagnato la tua crescita nei percorsi della solidarietà, della scuola e della pace?

Mi ritengo fortunata e sono grata alle numerose figure positive che la vita mi ha posto accanto: una famiglia speciale (genitori, zia, fratello) in cui da sempre ho respirato rispetto, gratuità, altruismo; alcuni presidi illuminati, tra cui desidero ricordare soprattutto la prof.ssa Maria Minuto; alcuni testimoni profetici (penso in particolare ad Angelo Cupini); molti amici che mi hanno indicato la strada e mi hanno immerso in esperienze che non avrei osato neppure pensare; e poi gli ultimi (carcerati, senza dimora, alunni svantaggiati), che mi hanno chiesto di operare una profonda revisione di vita, hanno mutato i miei criteri di giudizio, hanno orientato le mie scelte politiche, hanno dato un impulso rinnovato alla mia ricerca di fede.

 

Le forme e i luoghi della politica sono in crisi. Possono la cultura della pace e la nonviolenza essere uno strumento e un metodo per rinnovarli?

Il percorso di rinnovamento mi sembra difficile, perché la crisi in atto è davvero profonda. Di fronte a facili derive autoritaristiche, forse già in atto, voglio credere tuttavia che ci siano ancora spazi per riappropriarsi di una democrazia partecipativa che cerchi il dialogo con tutte le diverse componenti della società, che non disdegni di richiamarsi ad alcuni princìpi di fondo e sappia coniugarli con le scelte concrete. Il metodo del consenso che ispira le decisioni all'interno della nostra Accademia costituisce, sotto questo aspetto, una proposta interessante. Non dobbiamo dimenticare, del resto, come proprio la cultura di pace e la nonviolenza, nei momenti bui della storia, abbiano saputo proteggere e coltivare il desiderio di una società più giusta e di una umanità tollerante, impedendo che perfino il seme andasse perduto.

 

Quale ambiguità spesso induce a confondere pacifismo retorico ed impegno nonviolento reale e concreto?

Data l'impossibilità di approfondire ora questa tematica, mi limito a due brevi sottolineature.

C'è un equivoco culturale di fondo che tende ad immaginare la pace come buonismo, come idilliaca assenza di conflitti, come un "vogliamoci tutti bene". Non è così. La pace è impegno quotidiano di riconoscere il conflitto, gestirlo in modo nonviolento, inventare modi di resistenza ed azione, anche litigare e prendere posizione, ma senza rompere la relazione e tanto meno voler eliminare (fisicamente, ma anche solo dentro di sé) l'avversario.

Ci sono forse anche responsabilità degli stessi movimenti pacifisti odierni: poca visibilità, risposte emotive episodiche dinanzi ad emergenze drammatiche, una certa rassegnata assuefazione alla ineluttabilità della violenza, ma anche un non risolto dibattito interno tra l'anima nonviolenta e la posizione invece di quanti non escludono il ricorso anche a mezzi violenti per raggiungere un obiettivo giusto e legittimo.