• Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Erdogan, le elezioni, i curdi e la Siria: i quattro nodi per capire la Turchia

A 3 settimane dal voto la tensione sale. Le opposizioni accusano il presidente di alimentare una strategia della tensione per riconquistare la maggioranza assoluta.

Perché il conflitto tra il Pkk e la Turchia si è riacceso proprio ora?

Da mesi, Erdogan è impegnato a distogliere l’attenzione dallo Stato Islamico, con il quale è accusato di avere rapporti ambigui, e ha ingaggiato una vera e propria guerra su tutti i fronti contro la minoranza curda. Quando lo scorso 20 luglio una bomba dell’Is provocò 32 morti a Suruç, la città a pochi chilometri da Kobane in Siria, il premier promise di combattere il terrorismo ma, nei fatti, se la prese con i curdi. In molte città del sud-est del Paese si sono registrati scontri tra la popolazione e le forze dell’ordine. A settembre a Cizre, sulla frontiera con la Siria, i militari hanno imposto un coprifuoco di una settimana impedendo anche ai parlamentari di avvicinarsi alla città. Stessa situazione a Yuksekova, dalla parte del confine iracheno, dove, sempre a settembre, è stata arrestata per la seconda volta Frederike Geerdink, giornalista olandese specializzata sulla questione curda che era lì per assistere agli scontri, accusata di essere legata all’organizzazione separatista.

Il presidente Erdogan alimenta una strategia della tensione?

Una parte del Paese accusa il presidente Recep Tayyip Erdogan di fomentare una vera e propria guerra interna per screditare il partito curdo, exploit delle scorse elezioni, e riconquistare la maggioranza assoluta al voto anticipato del prossimo primo novembre. Ma lui nega nettamente ogni accusa. Di certo la sua campagna militare contro i guerriglieri curdi del Pkk ha contribuito ad alimentare i sospetti delle opposizioni nei suoi confronti.

Perché il primo novembre si tornerà al voto dopo solo 5 mesi dalle ultime elezioni?

Il voto del 7 giugno 2015 ha rappresentato un terremoto politico per la Turchia perché per la prima volta il partito filo curdo, guidato dal giovane Selahattin Demirtas, è riuscito a superare la soglia di sbarramento del 10% e ad entrare in Parlamento con 80 deputati togliendo così voti all’Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan che ha perso per la prima volta in tanti anni la maggioranza assoluta e si è trovato nella condizione di non poter imporre la riforma presidenziale della Costituzione. Ma Erdogan, al potere in Turchia da 13 anni, non è il tipo che si arrende facilmente. Fallito il tentativo, mai seriamente perseguito, di far formare al premier Davutoglu un governo di coalizione, il presidente ha pensato di giocare la carta di un nuovo voto, sperando di riuscire nel frattempo a fiaccare il consenso popolare dell’Hdp.

Qual è la posizione della Turchia nella partita sulla Siria?

Dopo che l’8 ottobre quattro missili russi destinati alla Siria sono caduti in territorio iraniano, il presidente turco Erdogan ha alzato la voce nei confronti degli alleati , forte delle violazioni del proprio spazio aereo, chiedendo una no-fly zone al confine siriano, reclamando aiuti economici miliardari all’Unione Europea per poter continuare a ospitare gli oltre due milioni di profughi siriani entro i propri confini, invitando la Nato a proteggere i suoi confini e minacciando Mosca di non comprare più il suo gas e di non cooperare più nella costruzione della prima centrale nucleare di Ankara. Ma, in verità, il suo obiettivo è impedire che si formi uno Stato a guida curda a cavallo dei confini siro-iracheni e ottenere l’allontanamento del suo arcinemico Bashar Assad.


Fonte: Corriere della Sera

Segnalato da Tavola della Pace e della Cooperazione