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Elezioni Argentina: come si distrugge un capitale politico

E’ trascorso più di un mese dall’ultimo mininotiziario. Gli impegni non mancano ma non farò appello a questi per giustificare la lunga pausa. Un amico, conoscitore della politica latinoamericana assai più del sottoscritto e che da alcuni mesi ha ridotto moltissimo, quasi azzerandolo, il suo lavoro di acuto commentatore delle vicende della regione, mi dava come motivazione di questo distanziamento la sua poca voglia, dopo le ripetute critiche alle politiche dei governi “progressisti” della regione poco recepite dalla “sinistra” nostrana, di continuare a dare dispiaceri a codesto tipo di ‘compagni’. Bene, anch’io sono un po’ stanco di lottare con i mulini a vento. E aspettavo il secondo turno delle elezioni argentine per sentirmi obbligato a scrivere di nuovo in tono rosa pallido.

Purtroppo ieri le cose sono andate peggio del previsto. L’eventuale vittoria di Scioli era il meno peggio che molti speravano, facendo buon viso a cattivo gioco. Ma il peggio è sempre dietro l’angolo, ed è sbucato fuori dalla Sasa Rosada, e ha vinto Macrì. Entrambi i ‘ballottanti’ sono nati e cresciuti alla scuola del menemismo e il Fronte della Vittoria (capeggiato da Cristina Fernández, la presidente uscente) non avendo di meglio da presentare aveva proposto, forse con poco coraggio, quello dei due che ravveduto, si era avvicinato al ‘kircherismo’ ovvero al ‘peronismo di sinistra’. Cristina aveva tentato la carta della modifica costituzionale che le consentisse la rielezione, unica possibilità per mantenere il Fronte al potere, ma la perdita alle elezioni intermedie della necessaria maggioranza alle Camere dei 2/3, da lei fino ad allora controllata, aveva chiuso i giochi.

Mauricio Macrì, per 8 anni governatore della capitale, presidente della famosa squadra di calcio Boca Junior, imprenditore miliardario e dichiaratamente neoliberista, ha vinto ma non trionfato, con uno scarto non clamoroso (meno del 3%), che però ha ribaltato i pronostici che non avevano escluso la possibilità di una vittoria di Scioli già al primo turno.

Il risultato avrà conseguenze rilevanti sia interne che esterne al paese. Sulle prime torneremo a giorni quando passata l’euforia ‘macrista’ si potrà forse cominciare a capire quali delle promesse elettorali avranno la priorità. Certamente alcuni governi esteri saranno lieti, sia a nord che a sud del continente. Ci soffermiamo per ora rapidamente su queste ultime, anche se dovremo ripetere alcune cose già dette e ridette e anche su queste ritorneremo, ora che non sono più previsioni (contestate) ma amara realtà.

“Esauriti i modelli di governo progressisti” ha dichiarato a caldo De Sousa Santos in una intervista a La Jornada. In un articolo su Rébelion di poco precedente al ballottaggio Ariel Goldstein faceva notare che stiamo assistendo alla scomparsa, per motivi ben diversi fra loro, dei leader carismatici che hanno rappresentato gli anni d’oro delle sinistre al governo: Chávez, Kirchner, Lula. Questa sinistra politicamente non ha avuto leader carismatici, salvo la parentesi familiare di Cristina Fernandez in Argentina, ora esaurita. Maduro in Venezuela e Dilma in Brasile non sembrano avere la statura dei loro padrini e governano in situazioni tutt’altro che tranquille. Da parte sua Wallerstein si chiede: “Qualcuno è in grado di fare previsioni sul Brasile del 2016 o del 2017?” e questo riassume il clima di estrema incertezza che ancor più dopo il voto argentino domina nel continente.

Mi si farà notare che questo non vale per Evo Morales né per Rafael Correa. Non proprio. Entrambi sono impegnati nella modifica delle Costituzioni dei rispettivi paesi per poter concorrere alla terza rielezione, cosa che Morales otterrà probabilmente senza grandi problemi ma che sarà più difficile per Correa il quale, pur contando sul controllo dei 2/3 del parlamento, sta incontrando forti proteste nel paese. Questo perché anche in entrambi questi casi non si profila una figura capace di cogliere il consenso, specie nella presente condizione di deterioramento economico.

Questa situazione di mancanza di figure di ricambio in tutti e 5 i paesi che avevano suscitato tante speranze a sinistra è puramente casuale o ha qualcosa a che vedere con un certo caudillismo? E, se così è, come mai questo è potuto accadere nell’ambito della sinistra? E’ una delle tante domande che dovremo porci, dopo che si è tanto parlato che Syriza prima e Podemos ora si sarebbero ispirati alle politiche di ‘successo’ delle sinistre latinoamericane. Ma, ad evitare equivoci, non c’è alcuna malevolenza nell’osservazione.

Una delle poche cose certe, come aveva già ‘profetizzato’ Raúl Zibechi in una sua analisi di pochi mesi or sono, è la ripresa delle lotte sociali, assopite sotto i ‘governi amici’. Sapranno i movimenti sociali trarre da queste esperienza riflessioni adeguate?


Aldo Zanchetta

Fonte: Fondazione Neno Zanchetta