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Difesa avanzata

Si fa sempre più profondo l'abisso fra ciò che sarebbe necessario fare per salvare l'umanità in pericolo e ciò che la politica umiliata dagli attuali protagonisti riesce a concepire e a fare. Ciò che si fa è ben rappresentato dall'ultima decisione del governo italiano, che è quella di mandare un piccolo esercito di 500 soldati e 150 mezzi nel cuore dell'Africa, in Niger, per controllare la via del deserto attraverso cui colonne di profughi e migranti raggiungono la Libia e, se non uccisi o imprigionati nei campi, prendono il mare trafficato dagli scafisti e, se sopravvivono agli abbandoni e ai naufragi, giungono sulle coste di Lampedusa e della Sicilia.

Qui è un caso da manuale del preteso dissolversi della distinzione tra destra e sinistra, perché fu presentato come uno slogan di sinistra quello del governo, fatto proprio sia dalla destra che dalla sinistra, di "aiutare i migranti e i profughi a casa loro". Certo, poteva essere "di sinistra": un piano Marshall? Elevare al 10 per cento dei PIL ricchi l'aiuto allo sviluppo dei Paesi poveri? Realizzare nel quadro e ad opera delle Nazioni Unite patti di pace e riconciliazione in tutti i teatri di guerra, dalla Palestina alla Siria al Sahel? Distruggere le armi degli omicidi quotidiani e dei genocidi minacciati o già in atto? Se si fosse trattato di questo certo tutti avrebbero potuto restarsene in pace nella terra delle loro culle e delle loro tombe.

Invece questa cosa di sinistra diventa quella cosa vecchia e cieca delle fortezze assediate, delle colonie, degli Imperi, o della Compagnia delle Indie: mandiamo i soldati, facciamo una sortita contro gli assedianti, uccidiamo gli invasori prima che si avvicinino ai confini, facciamo la repressione a casa loro.

Questa cosa vecchia di destra è diventata la cosa nuova (di destra) nel Nuovo Modello di Difesa Italiano, che nel 1991 sostituì l'idea di difesa del territorio nazionale sulla soglia di Gorizia, contro i cosacchi incombenti dall'Est, con l'idea di "Difesa avanzata" oltremare, dovunque gli interessi anche economici e produttivi del Paese fossero in gioco.
Fu così liquidato l'art. 11 della Costituzione, la guerra tornò ad essere una modalità della politica estera dell'Italia, e ora addirittura si torna all'impresa giolittiana per sostituirsi al sultano in Libia, come quando la "grande proletaria" si mosse per mettere i suoi avamposti in Africa; niente di eroico, per carità, si tratta di far finta di combattere l'Isis africana, e fermare i flussi dei profughi, cioè chiudere quelle che, negli incendi, sono indicate come le vie di fuga, e perciò devono essere sgombre.
Ha scritto giustamente il direttore dell'"Avvenire" Tarquinio, "si annuncia il perfezionamento della caccia a profughi e migranti irregolari. Cioè praticamente tutti. Come stupirsene del resto? La 'caccia' è parte inevitabile dell'operazione saracinesca (ovvero di esternalizzazione dei confini d'Europa) che è stata immaginata e pianificata nelle terre chiamate Sahel e che a tutt'oggi rappresenta tristemente la porzione davvero operativa della cooperazione rafforzata euroafricana. Lo sviluppo può attendere, non il blocco contro gli scomodi attraversatori del mare di sabbia". Si tratta, ancora, di "raddoppiare la barriera costruita nel Mediterraneo per sigillare le violenze e le sopraffazioni dei rinchiusi nei piccoli e grandi lager libici, documentate dalla stampa internazionale". Di questo nostro ritorno con truppe coloniali in Africa, tuttavia, nemmeno la notizia sembra affiorare nella grande comunicazione mediatica, pur dopo l'annuncio datone da Gentiloni al vertice di Parigi del 13 dicembre.