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C’è una gabbia che si chiama PAURA

C’è una gabbia che si chiama PAURA.

Rende l’orizzonte funesto, perché lo costella di minacce.

Forse è questa gabbia deformante che ha indotto il candidato presidente della regione Lombardia della Lega, Attilio Fontana, a paventare un disegno di auto-eliminazione e affermare: «[I migranti] sono molti più di noi e molto più determinati nell'occupare questo territorio. …Dobbiamo decidere se la nostra etnia, se la nostra razza bianca, se la nostra società deve continuare a esistere o se deve essere cancellata».

Matteo Salvini parla addirittura di attacco islamico: «È in corso un'invasione, a gennaio sono ripresi anche gli sbarchi…secoli di storia che rischiano di sparire se prende il sopravvento l'islamizzazione finora sottovalutata". Forse dimentica che proprio attraverso la cultura islamica l’Europa ha recuperato la sapienza dell’antica Grecia e sviluppato la matematica con “numeri arabi”.

Le stratificazioni culturali che hanno dato forma ai popoli di oggi sono frutto di incroci e intrecci, purtroppo non sempre improntati al rispetto.

Lo scorso 14 gennaio, durante la messa a San Pietro con rifugiati e migranti provenienti da 49 Paesi, anche papa Francesco ha riconosciuto che la paura è diffusa: «Per i nuovi arrivati, accogliere, conoscere e riconoscere significa conoscere e rispettare le leggi, la cultura e le tradizioni dei Paesi in cui sono accolti. Significa pure comprendere le loro paure e apprensioni per il futuro. E per le comunità locali, accogliere, conoscere e riconoscere significa aprirsi alla ricchezza della diversità senza preconcetti, comprendere le potenzialità e le speranze dei nuovi arrivati, così come la loro vulnerabilità e i loro timori….Non è facile entrare nella cultura altrui. E così spesso rinunciamo all’incontro e alziamo barriere per difenderci. Le comunità locali, a volte, hanno paura che i nuovi arrivati disturbino l’ordine costituito, “rubino” qualcosa di quanto si è faticosamente costruito. Anche i nuovi arrivati hanno delle paure: temono il confronto, il giudizio, la discriminazione, il fallimento. Queste paure sono legittime, fondate su dubbi pienamente comprensibili da un punto di vista umano. Avere dubbi e timori non è un peccato. Il peccato è lasciare che queste paure determinino le nostre risposte, condizionino le nostre scelte, … alimentino l’odio e il rifiuto. Il peccato è rinunciare all’incontro con il prossimo».

Il mondo animale ha due reazioni istintive davanti a una minaccia percepita: l’attacco e la fuga. Ma noi siamo esseri umani, e possiamo scegliere anche un’altra via: l’incontro non arrogante, che ci permette di conoscere e riconoscere.

Per uscire dalla gabbia della paura serve un cammino di interiorità, farlo con altri e altre, di culture, religioni e percezioni diverse, perché ogni contributo sincero e umile aiuta a cercare la «sorgente della vita». La chiave che apre la gabbia è anche spirituale.

Per questo vorrei farvi dono di un piccolo libro, scritto da una teologa cattolica, Antonietta Potente, che da decenni ama mettersi in ascolto di ogni persona che cerca l’essenza: dai filosofi greci ai saggi e alle sagge di tante religioni, inclusi i sufi dell’Islam. Raccoglie domande dall’amica boliviana incantata dal linguaggio degli uccelli e dall’amica italiana “non credente”. Conversa con la donna musulmana che cantava i «fogli purissimi» del Corano e le racconta di Gesù di Nazaret. Dialoga con molti e molte, senza pre-giudizi, perché proprio camminando insieme, nella fiducia reciproca, è possibile scoprire come non provocare l’ altrui dolore e soprattutto come «abbellire la vita».

Chi, nella quotidianità, osa «intraprendere viaggi intensi nella propria interiorità e nell’interiorità della vita in generale», oltre il limite di “minacciose apparenze”, può scoprire che tante paure sono bolle di sapone.


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