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Eravamo stati avvisati

(...) Le sinistre invece tradizionalmente sono inclini a gridare "al lupo" (fascista o neonazista), salvo poi perdere clamorosamente grosse percentuali di elettori che passano direttamente dai comunisti a Le Pen (come in Francia), o al MSI (come a Bolzano) ed alla "Lega lombarda" (come in Brianza) o dalla socialdemocrazia ai "Republikaner": una dimostrazione che la pura esecrazione e la condanna verbale di voti ed atteggiamenti bollati come "razzisti" non fanno poi grande impressione e non dissuadono più di tanto.

Anzi, i paladini delle varie organizzazioni anti-stranieri rivendicano apertamente la necessità di una correzione in chiave fortemente "nazionale" delle politiche e delle società diventate troppo "mescolate" e prive di identità riconoscibile. La Germania ai tedeschi, la Svizzera agli svizzeri, il Veneto ai veneti, l'Alto Adige all'Italia (o, rispettivamente, ai soli sudtirolesi di lingua tedesca) sono slogans già usati con successo.

Come negare, d'altra parte, che la presenza di tante persone che dai loro paesi fuggono per miseria o per ragioni di persecuzione politica, crea degli effettivi imbarazzi e delle vere difficoltà nei paesi ospitanti? Le nostre società sono da qualche secolo diventate "nazionali", comprimendo ed omologando le diversità che stanno sotto quella soglia (i dialetti, le autonomie locali, le identità regionali, le minoranze etniche...) e fomentando diffidenza e spesso aperta ostilità verso quelle altre diversità che stanno oltre e fuori di essa: le altre nazioni, religioni, tradizioni, mentalità. Quante generalizzazioni semplicistiche ed ingenerose tocca sentire tutti i giorni: "i meridionali sono tutti... gli inglesi/i tedeschi/gli slavi...sono tutti..."! Quindi siamo poco abituati all'idea che la multiformità etnica e culturale di una società, di una città, di una regione possa essere una ricchezza anzichè una condanna ed un fardello negativo. La stessa crisi manifesta di alcuni ordinamenti volonterosamente, ma un po' troppo forzatamente pluri-nazionali - come l'Unione Sovietica o la Jugoslavia - sembra postulare un ritorno di fiamma dell'idea di nazione e di compattezza etnica: un modo come un altro per sottrarsi al peso della complessità, inseguendo la pretesa semplificazione.

Eppure non c'è altra prospettiva: finchè la nostra civiltà industrializzata ed opulenta, consumistica e competitiva imporrà a tutti i popoli la sua legge del profitto e dell'espansione, sarà inevitabile che gli squilibri da essa indotti sull'intero pianeta spingeranno milioni e miliardi di persone a cercare la loro fortuna - anzi, la loro sopravvivenza - "a casa nostra", dopo che abbiamo reso invivibile "casa loro". Perché meravigliarsi se in tanti seguono le loro materie prime e le loro ricchezze che navi, aerei ed oleodotti dirottano dal loro mondo verso il nostro?

Attrezzarsi ad un futuro multi-etnico, multi-culturale e pluri-lingue è dunque una necessità, anche se non piacesse. Tanto vale che gli europei se ne convincano e cerchino tempestivamente i modi per sviluppare una cultura della convivenza. Cominciando, per esempio, dalla scuola e dalla scuola materna, che sempre più spesso diventerà luogo di incontro e - si spera - di reciproca accettazione tra bambini "diversi" per colore di pelle, religione o madrelingua. O dalle organizzazioni dei lavoratori, che non possono più limitarsi a difendere i diritti dei soli "connazionali". O dal diritto di voto amministrativo a chi ormai è diventato parte della comunità locale, anche se avesse un passaporto diverso. O dalle organizzazioni giovanili - religiose e non - che possono diventare un'egregia scuola di positiva convivenza ed inter-azione. (...)

(A. Langer 1989)

Post di Mao Valpiana che, in occasione del compleanno di Alexander Langer, ripubblica un suo articolo scritto trent'anni fa, ma che sapeva vedere l'oggi ...

Fonte: Mao Valpiana