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Dalla Farmoplant all’ILVA, la storia si ripete: è possibile una riconversione industriale compatibile con l’ambiente?

Negli anni 80 , in qualità di Segretario dei chimici (Filcea) della CGIL Toscana, ho seguito tutte le vicende dell’azienda chimica FARMOPLANT di Massa Carrara, di proprietà della Montedison.

  • L’azienda chimica con 400 dipendenti produceva fertilizzanti, pesticidi come il “Rogor” con anche un inceneritore che sviluppava una temperatura di 1.500 gradi centigradi che inceneriva anche i rifiuti ospedalieri , senza rischi di diossina ;

  • Negli anni 70/80 , vi erano stati una serie incidenti che da una parte , portarono le popolazioni locali ed i movimenti ambientalisti a protestare e dall’altra come Organizzazioni Sindacali a spingere sulla Montedison per fare investimenti sulla sicurezza con un primo accordo del 1985 con 7 miliardi di vecchie lire che portarono l’azienda ad uscire dall’elenco delle aziende ad alto rischio previste dalla legge n. 175;

  • Ma nonostante l’accordo la protesta non si fermava ed anzi si ampliava con la partecipazione anche di noti ed importanti ambientalisti come Laura Conti, Giorgio Nebbia, Chiara Ingrao… e con movimenti che decisero di mettere una tenda davanti ai cancelli della FARMOPLANT con iniziative continue finalizzate alla chiusura dello stabilimento;

  • In data 27 ottobre del 1987 , il Comune di Massa, spinto dai Movimenti ambientalisti , organizzò un referendum consultivo, su due questi: uno chiedeva alla popolazione se volevano fare cessare le attività inquinanti e convertire l’azienda verso produzioni ecologicamente compatibili con l’ambiente, l’altro se volevano a chiusura dello stabilimento Farmoplant nonché dell’inceneritore … vinse la chiusura dello stabilimento ed inceneritore, con l’70% dei voti espressi;

  • Il referendum era solo consultivo e quindi non vincolante, ma come Sindacato assieme ai lavoratori fummo “spinti” a chiedere subito un confronto con la MONTEDISON per definire la cessazione dei pesticidi e produzioni inquinanti, attraverso un piano industriale di totale riconversione e bonifiche di tutta l’area produttiva della Farmoplant, tale da rendere del tutto sicura la popolazione ed i lavoratori;

  • La lotta non fu facile e furono effettuate molte ore di sciopero e con iniziative tese a coinvolgere la popolazione e le istituzioni locali , regionali e nazionali sulla nostra “Piattaforma rivendicativa” e sulla lotta dei lavoratori … e nel mese di aprile del 1988, riuscimmo a fare sottoscrivere un accordo alla Montedison del valore di 30 miliardi di vecchie lire, che prevedeva a partire dal mese di ottobre del 1988 : la chiusura di tutte le attività produttive esistenti in Farmoplant, la conversione delle produzioni verso attività produttive nel campo delle biotecnologie, la bonifica di tutta l’area Farmoplant, il mantenimento di tutti i livelli occupazionali;

  • Ci sembrava un ottimo accordo ed una vittoria che faceva conciliare la chimica con l’ambiente … la popolazione sembrava avere recepito positivamente detto accordo… anche se alcun comitati, decisero di continuare il presidio perché volevano la chiusura ed iniziarono a dire che con le biotecnologie la Farmoplant avrebbe prodotto dei “mostriciattoli” agendo sul DNA;

  • - ma tra il sabato notte e una domenica del mese di luglio del 1988, (non ricordo il giorno preciso), mi chiamarono dal Consiglio di Fabbrica, per dirmi che c’èra stato un grave incidente con uno scoppio ed una grande nube inquinante sul territorio… e che solo per un caso fortuito non c’erano stati morti sul lavoro… a quel punto la situazione divenne del tutto insostenibile , ripresero subito con forze le proteste… e dopo 10 giorni di riunioni con la RSU, ed assemblee dove i lavoratori interessati evidenziavano il forte sospetto che l’incidente fosse stato provocato dalla stessa proprietà per non procedere con gli intensi investimenti, feci l’assemblea dei dipendenti aperta alla stampa ed alla popolazione dove in accordo con i lavoratori e con le lacrime agli occhi annunciai che eravamo d’accordo alla chiusura dello stabilimento e dell’inceneritore ;

  • Ora credo che ci sano delle forti assonanze con quello che sta avvenendo all’ILVA di Taranto sapendo che l’industria chimica come l’industria siderurgica , sono settori strategici importanti per qualsiasi sistema economico e sociale. Le scelte che è possibile effettuare sono due: o la chiusura dello stabilimento, che può significare procedere verso u processo di deindustrializzazione senza alternative valide… o procedere con una intensa innovazione tecnologica e bonifica dell’area, sapendo che la stessa innovazione tecnologica ci conferma che è possibile scientificamente effettuare la riconversione , tramite intensi investimenti capaci di bonificare e salvaguardare l’ambiente, il territorio, la sicurezza della popolazione, la sicurezza degli impianti e l’occupazione;

  • Ma l’esperienza ci dice che , non possiamo lasciare decidere ai “padroni” la qualità, la finalità delle produzioni, la qualità dello sviluppo, la sua compatibilità ecologica ambientale… perché difficilmente lor signori sono disposti alla riconversione ecologica industriale anche a causa degli alti costi … ed il rischio è sempre identico a quello della Farmoplant, dove la Montedison tre mesi prima che entrasse in vigore l’accordo “ha avuto” un incidente che gli ha fatto risparmiare 30 miliardi di investimenti e continuato a produrre i pesticidi spostando le produzioni a Ravenna ed in Messico …

  • quindi seve un preciso ruolo dello Stato anche attraverso le nazionalizzazioni delle imprese strategiche… non credo che vi siano altre alternative valide

Umberto Franchi

Lucca, 5 novembre 2019