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Un appello per il Tibet (Fondaz. per la preservazione della tradizione Mahaya)

Comunicato a nome di tutti i Centri della Fondazione per la Preservazione della Tradizione Mahayana in Italia: Istituto Lama Tzong Khapa di Pomaia (Pisa), Centro Terra di Unificazione Ewam di Firenze, Centro Cenresig di Bologna, Centro Tara Cittamani di Padova, Centro Lama Tzong Khapa di Villorba (Treviso), Centro Sangye Choling di Sondrio, Centro Kushi Ling di Arco di Trento, Centro Muni Ghiana di Palermo, Associazione Yeshe Norbu, Shine', Chiara Luce Edizioni.
Gli eventi in Tibet di questi giorni riportano alla luce una tragedia che si consuma da oltre cinquanta anni sotto gli occhi indifferenti e talora complici della comunita' internazionale.
I Centri della Fondazione per la Preservazione della Tradizione Mahayana italiani, congiuntamente, esprimono solidarieta' al Dalai Lama e al popolo tibetano e condanna del regime totalitario cinese che alla forza della ragione e del dialogo antepone gli strumenti della violenza, dell'intimidazione e della menzogna.

Si esprime piena condanna di un potere corrotto e antidemocratico che ricorre alla forza militare nell'incapacita' di giustificare la violazione dei piu' elementari diritti umani anche all'interno del suo stesso territorio.

In questo contesto non si puo' tacere la complicita' di stati e organismi internazionali che al rispetto delle fondamentali regole di convivenza tra i popoli antepongono logiche commerciali barattando valori e principi in cambio di ritorni economici.
I Centri della Fondazione per la Preservazione della Tradizione Mahayana si appellano alla responsabilita' della comunita' internazionale e in particolare al governo italiano, a tutti i partiti politici con i loro leader affinche', superando il velo diplomatico:
  • si faccia pressione per l'avvio di una inchiesta internazionale per l'accertamento di quanto sta avvenendo in Tibet sostenendo l'appello di Sua Santita' il Dalai Lama;
  • si chieda con fermezza alla Cina la cessazione immediata della sanguinosa repressione in atto in questi giorni in Tibet:
  • si chieda con estrema decisione alla Cina l'avvio di trattative con il governo tibetano per la soluzione pacifica della questione sino-tibetana;
  • si esigano dalle autorita' cinesi passi concreti per il rispetto dei diritti umani in cambio dell'opportunita' economica e mediatica rappresentata dalle prossime Olimpiadi.
Nel mondo sta crescendo una spirale di odio, violenza e ritorsione, insieme alla terribile convinzione che non ci siano alternative.
Il Tibet ha donato al mondo la prova che esiste una via diversa, dimostrando che un popolo perseguitato puo' lottare per la propria liberta' attraverso verita', fermezza e nonviolenza.
Non lasciamo soli i tibetani nella loro coraggiosa e pacifica lotta per l'affermazione dei principali valori e diritti umani.


Di seguito alcune note che in estrema sintesi riassumano la questione tibetana.
La cultura del Tibet con i suoi valori di tolleranza e nonviolenza profondamente radicati nella popolazione, e' un patrimonio dell'intera umanita' che rischia di scomparire per sempre.
Tra l'indifferenza della comunita' internazionale, nel 1959 l'Esercito Popolare Cinese completo' l'occupazione del Tibet iniziata nel 1950, annettendo un territorio vasto come la meta' dell'Europa e aprendosi la strada in direzione dell'Asia meridionale.
Nell'arco di un cinquantennio, per vincere il radicato spirito di indipendenza dei tibetani, il governo cinese ha messo in atto un programma sistematico di eliminazione di tutti i punti di riferimento culturale e religioso che ha portato alla distruzione quasi totale di scuole, biblioteche, luoghi di culto e opere d'arte sacra risalenti spesso a piu' di mille anni or sono.
Si calcola che in questi quattro decenni oltre 1.200.000 tibetani siano morti a causa della repressione e degli sconvolgimenti sociali ed economici che ne sono derivati.
In questa tragedia non c'e' solo la sofferenza umana, ma anche il rischio della scomparsa di una autentica cultura di pace basata sugli insegnamenti buddhisti di nonviolenza e di rispetto degli altri, l'esempio concreto che un popolo oppresso puo' lottare per i propri diritti senza perdere la propria umanita'.
Oltre al Dalai Lama, premio Nobel per la pace 1989, piu' di 135.000 dei sei milioni di tibetani si sono rifugiati in India e Nepal per sfuggire alla persecuzione religiosa e cercare di preservare le basi della loro cultura, e ancora oggi continuano ad arrivare numerosi nei campi profughi.

Tra queste persone ci sono uomini e donne di ogni eta' e molti bambini, e in questi quattro decenni ne sono nati molti altri, spesso in condizioni proibitive.

Nell'aria tersa dell'altipiano tibetano le malattie infettive erano praticamente sconosciute, ma nei campi profughi tubercolosi, malaria e denutrizione hanno imperversato per lunghi anni, prima che alcune organizzazioni umanitarie riuscissero a mitigare la situazione.
In Tibet vi era una antica civilta' non tecnologica, ma estremamente progredita nella conoscenza dell'uomo: infatti il Buddhismo e' una scienza della mente e una filosofia di vita oltre che una religione.


I Centri della Fondazione per la Preservazione della Tradizione Mahayana in Italia