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La morte a Tokyo (Dacia Maraini)

Pubblicato su "Notizie minime della nonviolenza in cammino", n. 567 del 3 settembre 2008.
Tokyo è una città civile, pulita, in cui miracolosamente milioni di persone corrono, entrano ed escono dagli uffici, scendono a fiumi nelle metropolitane e ne escono ordinatamente, senza urtarsi, senza litigare, con un senso di civile convivenza. Un miracolo per una città di 13 milioni di abitanti. Proprio per questo ci si stupisce dell'improvvisa ribellione di un uomo che, forse temendo di perdere il lavoro, prende a uccidere chi gli capita a tiro.
Come ci si stupisce quando in un campus americano tutto giardini e prati ben tenuti, scoppia il caos di un pistolero minorenne che uccide i suoi coetanei.
A Tokyo la gente lavora tanto. Non è raro vedere le luci degli uffici accese fino a notte fonda e scorgere al di là dei vetri le teste chine sulle scrivanie.
Una volta ricordo di avere letto sull'"Asahi Shimbum" di un uomo che era morto di troppo lavoro. Erano i medici a dichiararlo. Un impiegato, che a detta della moglie, non prendeva un giorno di riposo da 15 anni, faceva straordinari ogni giorno, tanto da dedicare al lavoro qualcosa come sedici ore al giorno. Una mattina l'avevano trovato morto con la testa appoggiata sul tavolo, nell'ufficio vuoto.
Un popolo che fa del lavoro una religione laica e tirannica, come affronta il problema della disoccupazione? Sono fenomeni nuovi a cui gli studiosissimi studenti giapponesi non sono preparati.
Da qui il colpo di scena, il gesto di una disperazione esibita. Non lontana da quella di Mishima che si taglia la pancia con la spada e poi si fa decapitare da un amico, come vuole la legge degli antichi samurai. Lo scrittore però ha messo se stesso al centro della scena di esecuzione e si è punito di esistere con eroica ostentazione.
Il disoccupato di oggi invece ha preso di mira gli altri. Qui sta il significato di una decadenza e il mistero di una ribellione priva di dignità. Perfino i gesti di estrema protesta sono cambiati nel Paese della lealtà e della cortesia.
Si uccide come nei film americani, contro il mondo, contro i propri compagni di studi, di lavoro, contro i propri familiari. In un moto crudele che non sa più distinguere fra sè e gli altri. Il suicidio-omicidio, reso quasi intercambiabile, è il segno di un tempo malato che non sa riconoscere l'altro.