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L'ultima struttura della Turco-Napolitano: un centinaio di «clandestini» con pezzi di vita che aspettano solo di essere raccontate

Un cortile ampio, il selciato rovente, casette sparse, circondate da sbarre altissime. Fuori dalle mura di questa fortezza, oltre al filo spinato, svettano i palazzi di Torino che si affacciano come se niente fosse su un'architettura angosciante. Dentro alle gabbie ci sono i migranti, clandestini, in attesa di lunga, talvolta infinita, identificazione in vista di rimpatrio o espulsione. Si avvicinano alle reti metal-liche: raccontano pezzi di vita, protestano per le condizioni insostenibili, sudano; alcuni sono in scio­pero della fame. Poi, rimangono nelle gabbie — non sono esemplari, sono esseri umani — mentre ce ne andiamo via.

Gli scorsi giorni hanno visto in Italia l’asfittico ripetersi del ciclo monotono «emergenza migranti», guerra fra poveri, strumentalizzazioni delle destre, nella fattispecie, Lega, Casa Pound, Fratelli d’Italia.

Il ciclo ricalca uno schema che ha già dato ampie prove di sé nel corso di tutto il Novecento.

Questo schema si nutre sempre dello stesso veleno: negativizzazione e criminalizzazione dell’altro in quanto tale.

Opporsi all stragi, alla schiavitù. all’apartheid.

Poche parole ai parlamentari e ministri di questo paese.

Gentili deputate e gentili deputati, gentili senatori e gentili senatrici, gentili ministre e gentili ministri,

questa lettera si compendia in un semplice appello: salvate le vite che oggi lo stato italiano sta contribuendo ad estinguere. Deliberate il semplice provvedimento che solo puo’ salvare innumerevoli innocenti: riconoscete il diritto di tutti gli esseri umani a salvare la propria vita, riconoscete il diritto di tutti gli esseri umani a giungere in Italia in modo legale e sicuro.

La simbologia del pogrom si era già espressa, a Quinto di Treviso, col rogo delle suppellettili di uno degli alloggi destinati ai profughi: razziate, gettate in strada e date alle fiamme tra la folla plaudente. Ora il macabro festino dell'intolleranza si arricchisce di un dettaglio ancor più esplicito: le minacce al prefetto di Roma, Franco Gabrielli, reo di non aver ceduto al ricatto dei cittadini «esasperati» di Casale San Nicola.