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Pubblicato su "Notizie minime della nonviolenza", n. 636 del 11 novembre 2008 e tratto dal mensile "Letture", n. 553, gennaio 1999, col titolo "Se potessi darei voce al silenzio"

Parlare del silenzio può essere un paradosso, ma anche una necessità, una via a senso unico. In ebraico esiste più d'una parola per indicare il silenzio: esiste, a ben guardare, o forse ad ascoltare, quel silenzio che è pace, e quell'altro che è come un macigno irremovibile, dall'insopportabile peso. In ebraico a volte si dice persino che il silenzio ha una sua voce, per quanto sottile e impalpabile. L'ha udita Elia sul monte, quella voce del silenzio. "Epifania / Oggi Dio / mi appariva così: / qualcuno alle mie spalle / i miei occhi schermava con le mani: / indovina, chi sono?" (Yehuda Amichai). Se sapessi poetare, chiederei di dare voce al silenzio.

Il lavoro presentato dalla classe 5C della Direzione Didattica di Aulla (MS) al Concorso nazionale “I giovani ricordano la Shoah” - indetto dal Ministero dell'Istruzione, sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica e in collaborazione con l'Unione delle Comunità Ebraiche italiane - è stato proclamato vincitore nella sezione Scuola Primaria.

In questo mondo sconvolto, le comunicazioni dirette tra due persone passano ormai solo per l’anima. Esteriormente si è scaraventati lontano, e i sentieri che ci collegano rimango sepolti sotto le macerie, cosicché in molti casi non potremo mai più ritrovarli. La prosecuzione ininterrotta di un contatto, di una vita in comune è possibile solo interiormente, e non rimane forse la speranza di ritrovarci ancora su questa terra?

Il 26 gennaio 2018, a Palazzo Ducale in Massa, nell’ambito degli eventi programmati per il Giorno della Memoria, l’ANPI di Massa e l’Istituto della Resistenza Apuana (ISRA), in collaborazione con Comune e la Provincia, hanno organizzato la presentazione del volume di Maria Massariello Arata, Il Ponte dei Corvi - Diario di una deportata di Ravensbrük, Mursia, Milano, cui è dovuta anche la prima edizione nel 1979. Era presente Lucia Massariello Perelli figlia dell’autrice, ormai scomparsa da anni.

LA DIVINA PROVVIDENZA

Primavera 1944.
Undici anni, di origine ebraica, ero nascosto alla Casa Alpina di Motta, una specie di collegio, ma non proprio, fondata e gestita da un prete molto in gamba, don Luigi Re, che mi aveva accolto sapendo chi ero, sotto le mentite spoglie del povero Franco Bernardi (detto Franchino, ma anche “crapa pelada” avendola da poco scampata dal tifo). Figuravo nato a Brindisi e i miei genitori erano rimasti tagliati fuori dall'avanzata degli alleati.
Una situazione molto simile a quella presentata da Louis Malle in “Arrivederci ragazzi”. Più semplice perché i miei un paio d'anni prima avevano ritenuto opportuno farmi battezzare e quindi il problema religione non esisteva.