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Un’analisi del voto referendario del 17 aprile richiede una valutazione complessa per le numerose variabili da considerare.

Tredici milioni di persone che votano SI in un referendum che si è fatto di tutto per boicottare, non sono poche, soprattutto in un paese dove la disaffezione al voto – frutto della caduta verticale di fiducia verso la politica istituzionale- è diventata di ampia portata e quasi endemica.
Il boicottaggio del voto è stato tanto manifesto, quanto evidenti sono i poteri forti che sono scesi in campo per il mantenimento dello statu quo.

«La democrazia», diceva il filosofo cecoslovacco Tomas Masaryk, «non è solo una forma di governo, non è soltanto ciò che è scritto nelle costituzioni: è un concetto dell’esistenza che si basa sulla fiducia negli uomini, nell’umanità, nella natura umana». Masaryk (1850-1937) fu presidente della repubblica dopo la prima guerra mondiale ed è il padre di Jan, più tardi ministro degli esteri. Dopo l’occupazione sovietica, 1945, il paese cambiò la Costituzione e con un golpe divenne una repubblica sotto l’influenza russa. Il povero Jan scomparve nel 1948: suicida da una finestra per qualcuno, buttato giù per qualcun altro.

Carissima, carissimo,
oggi il problema è che la dialettica politica è sempre più scolorita, si sta svolgendo nel deserto della disaffezione dei cittadini.
Dietro le dichiarazioni sempre più sicure di sé, come vuole il copione, dietro le luci di una politica che viaggia tra giornali, TV, facebook e twitter, vi è l'indifferenza rassegnata dei cittadini, quella che non si vede, quella che non si sente ed é diffusa, piatta e sparsa come in un deserto.
Il diffondersi del rifiuto della politica, dell'indifferenza, del ritorno di qualcosa che somiglia all'oscillare plebeo tra consenso servile e rabbia incontrollata, deve fare riflettere.
Abbiamo bisogno di riflessione, di pensare, di creare la cultura della partecipazione, non di quella accademica dei soloni locali e nazionali, ma di quella politica che assume in sé la necessità della critica.

La frase del titolo si trova nella parte finale del breve romanzo «La luna è tramontata» di John Steinbeck in cui si racconta dell’improvvisa invasione della cittadina di un piccolo e pacifico paese da parte di un esercito armato e disposto a tutto (i nazisti e, forse, la Danimarca nella seconda guerra mondiale: l’autore non lo dice mai). Il popolo, abituato alla democrazia e alla libertà, all’inizio è stupito, poi subisce, poi a poco a poco si riprende e, mentre gli invasori procedono alle esecuzioni, resiste in silenzio.