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«Netanyahu deve fare scelte difficili. Se il governo dovesse cadere, non ha molte opzioni: o si torna alle urne o nasce un esecutivo di unità nazionale». La giornata di ieri per Meir Margalit è stata quella di tanti israeliani: attaccato a radio e tv per capire cosa avrebbe tirato fuori dal cilindro l’immortale Benyamin Netanyahu.

Ebreo israeliano nato in Argentina, dal 1998 al 2014 Margalit è stato membro del consiglio comunale di Gerusalemme per il partito della sinistra sionista Meretz. È tra i fondatori di Icahd, il comitato contro la demolizione delle case palestinesi da parte delle autorità israeliane.

L’antisemitismo è stata la pseudo-ideologia più criminale, più feroce e più esiziale che sia comparsa nella storia dell’umanità. Il suo vertice si è espresso con il più atroce sterminio sistematico di esseri umani progettato e programmato con tecnica industriale che abbia avuto luogo sotto il cielo del pianeta Terra. Questa apocalisse era già iscritta nel presupposto micidiale dell’antisemitismo già dai tempi del paganesimo idolatrico. Esso sosteneva che l’ebreo è malvagio, pernicioso, distruttore e deve essere annientato per il solo fatto di esistere, per il fatto stesso di essere nato. Gli si attribuiscono azioni e progetti raccapriccianti non per qualche depravata ragione che è caratteristica degli altri criminosi razzismi, ma per la sola ragione di vivere. Il solo apparentamento possibile con l’antisemitismo è la misoginia, l’odio per le donne, calunniate, sfregiate, segregate, massacrate, torturate, che si manifesta contro di esse solo per il fatto di essere donne.

Sono andato molte volte nei Territori Palestinesi occupati da Israele, in qualità di anestesista pediatrico, a operare bambini cardiopatici, e ad insegnare ai colleghi locali le nostre tecniche, prima all’ospedale Al Makassed di Gerusalemme, sulla cima del Monte Degli Ulivi, e poi all’ospedale Europeo di Gaza a Khan Yunis.

Le missioni sono organizzate dal Palestine Children Relief Fund, una ONG intrrnazionale, e supportate dalla Fondazione Monasterio dell'Ospedale del Cuore e dalla regione Toscana.

Negli ultimi anni quello palestinese era diventato una sorta di conflitto congelato. Dopo gli attacchi del 7 Ottobre la situazione sembra essere cambiata, e Israele sembra avere l’intenzione di risolvere il problema con la forza una volta per tutte. È una reazione allo shock degli attacchi o la testimonianza di un cambiamento più profondo?

Nelle ricostruzioni dei 75 anni del conflitto israelo-palestinese, nessuno, neanche Guterres, ha ricordato il 2018, che invece spiega tutto. È l’anno in cui, il 19 luglio, lo Stato di Israele cambiò natura, e da Stato democratico, come era nel disegno del sionismo, è diventato per legge costituzionale uno “Stato Nazione del popolo ebraico”. Ciò spiega tutto, nel senso che se il principio fondativo che voleva congiungere democrazia ed ebraismo ammetteva l’esistenza dell’ “Altro”, fino a permettere il sogno dei “due popoli in due Stati”, il trapasso allo Stato Nazione del popolo ebreo riservava solo a questo il diritto all’autodeterminazione, cioè i diritti politici, e rendeva incompatibile l’esistenza di un secondo popolo; di qui i 700.000 coloni irradiati in 279 insediamenti oggi presenti nel Territori occupati abitati da 3 milioni di palestinesi. La novità era così riferita in una nostra newsletter del 24 luglio 2018 (“Sionismo senza democrazia?”), che qui vi trascriviamo così come l’abbiamo ritrovata:

Chi reputa che Hamas sia responsabile di questa nuova crisi non conosce la vera drammatica realtà interna di Israele sempre in bilico tra secolari e ultra religiosi oggi vede crescere in modo esponenziale il movimento dei refusenik, militari e riservisti che rifiutano di combattere contro i palestinesi e nei territori occupati e sono contro la proposta di legge che riforma il sistema giudiziario condotto dalla Likud.