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Molto spesso, nelle piu' diverse parti del mondo, non si sa che lo sviluppo e' possibile, non si sa esattamente come e' possibile: e le situazioni all'estremo o permangono statiche, come in molte delle zone chiamate sottosviluppate - o, se migliorano in qualche modo, non sono autopropulsive -; o hanno una dinamica coi paraocchi, come avviene perlopiu' nelle zone a intensa industrializzazione, concependo quasi come fatale un particolare tipo di sviluppo. In un caso o nell'altro manca perlopiu' alle popolazioni interessate la conoscenza esatta dei loro problemi e la visione delle possibili alternative.

Non e' difficile trovare architetti disposti a costruire case per chi ha soldi, economisti pronti ad aumentare il danaro dei ricchi, sociologi disponibili a collaborare con chi sfrutta affinche' lo sfruttamento avvenga con meno difficolta', strateghi o diplomatici disponibili a far propria la causa dei forti. D'altra parte non e' difficile trovare candide persone che credono si possa cambiare gli ingiusti privilegiati e gli sfruttatori prepotenti con le prediche. Si incontrano a un estremo esperti di aumento di produzione e reddito, impegnati a realizzare sviluppo in particolari settori, il cui scopo e' conseguire il massimo guadagno con il minimo sforzo: perlopiu' presentati come scienziati o tecnici, spesso non sono che quadri piu' o meno abili dello sfruttamento, o alleati che facilitano loro il compito realizzando reti di opportuni servizi. Dall'altro estremo e' facile incontrare sognatori impotenti, sfocati, o evasivi, con premura di trovare panacee universali; o educatori impegnati in un lavoro di sviluppo personale o settoriale che prescinde, o quasi, dalla necessaria trasformazione delle condizioni ambientali globali.

Pubblichiamo i profili di alcune figure particolarmente signifcative nel pensiero e nella storia della nonviolenza, a cura del Centro di ricerca per la pace di Viterbo: Hannah Arendt, Murray Bookchin, Aldo Capitini, Danilo Dolci, Mohandas K. Gandhi, Ivan Illich, Hans Jonas, Alexander Langer, Emmanuel Levinas, Giuliano Pontara, Vandana Shiva, Colin Ward

Tra un anno ricorrerà il cinquantesimo anniversario della marcia Perugia-Assisi fortemente voluta e organizzata da Aldo Capitini. L'importanza dell'evento non ci può, di certo, sfuggire e richiede una seria riflessione anche a livello organizzativo. Spostare i nostri appuntamenti congressuali da Chianciano ad Assisi, in una regione in cui la sinistra si è ormai caratterizzata come regime, avrebbe il significato di un preciso e forte segnale politico. Bisogna cominciare a preparare con un anno di anticipo un grande appuntamento che ridia finalmente a Capitini la centralità politica che gli spetta e rilanci il valore, il senso di una marcia le cui motivazioni sono state nel corso di un decennio distorte, quando non defraudate.

Se ne è andato un maestro di pace, un giusto. Né bandiere né fiori ma amicizia, a Milano, per il primo cattolico obiettore di coscienza  

di Mario Pancera  

Giuseppe Gozzini fu il primo cattolico a rifiutare il servizio militare negli anni Sessanta quando protestare civilmente contro la guerra e le armi significava finire nel carcere di Fortezza da Basso, a Firenze, subire processi e sostenere l'esecrazione non soltanto di chi pensava solo agli armamenti, ma anche di cristiani bellicosi o impauriti da propagande ed eserciti ai confini del paese.

Vorrei che queste pagine fossero lette da tutti coloro che, in Italia, hanno una cattedra o un pulpito, e se ne servono per esaltare glorie nazionali magari remote o per flagellare terribilmente i vizi dei cattivi cristiani.
Sono pagine che scuotono sia la pigra sicurezza dei ripetitori compiaciuti di formule patriottiche sia il sussiego moralistico degli accusatori secondo le leggi stabilite. Sarebbe pure da augurarsi che le leggessero gli ideologi che pretendono di conoscere, essi soli, i segreti dell' ottima repubblica.
Sono pagine che costringono a rivedere i princìpi troppo alti, le sintesi troppo ambiziose, le dichiarazioni troppo solerti. (...)

Amici miei, siamo di certo molto lieti nel vedere ciascuno di voi qui questa sera.
Siamo qui stasera per una faccenda grave. In un senso generale, siamo qui perché prima di tutto e innanzi tutto siamo cittadini americani, e siamo decisi ad esercitare la nostra cittadinanza nel suo significato più pieno. Siamo qui anche a causa del nostro amore per la democrazia, perché abbiamo la radicata convinzione che la democrazia, quando da un fragile foglio di carta si traduce nella concretezza di un atto, è la migliore forma di governo che esista sulla terra.