Dal Discorso del Capitalista alla Parola d'Amore

Ogni vita umana si riconosce dalle proprie azioni e dall’assunzione di responsabilità di queste. L’atto implica sempre il soggetto che lo compie. Ma cosa insegna questa contemporaneità? Qual è il discorso che domina la nostra epoca? Siamo in un tempo che non ama parlare d’amore, al contrario preferisce indicare nella performance, nella velocità con cui si dimentica l’altro, nell’indifferenza con la quale si cercano nuovi partner, il proprio ideale di vita. Non c’è spazio per la parola, non c’è campo per le relazioni: l’aridità del discorso del capitalista sta lentamente prosciugando ciò che anima l’anima dell’essere umano.

Stiamo passando da una società narcisistica completamente rivolta al proprio Io, dove la domanda “Chi sono?” era sempre e solo posta a sé, ad uno scenario dove il godimento acefalo e illimitato consuma tutto ciò che ci circonda: l’ambiente, le relazioni, la parola, la cultura, la poesia, l’amore. L’imperativo Sadiano “Godi!” sta cercando di sovvertire l’unica verità che abita nel profondo di ognuno di noi: la verità del proprio desiderio, della propria vocazione, del proprio talento. L’omologazione a cui siamo chiamati prevede la massa. Tutto è di massa. Tutto nel tempo del godimento è a discapito di un nome proprio, di un volto unico, che segna e indica la particolarità più particolare di ognuno di noi.

Ma questa è l’ultima parola sul nostro tempo? Questa è l’unica definizione possibile della nostra società? Dello scenario dove il soggetto è attore e protagonista? L’esperienza della clinica psicologica mostra che l’amore e il desiderio sono l’esatto opposto del godimento. Il film “Amami se hai il coraggio” (2003) mette bene in luce questo concetto. Narra la storia di un amore, di un incontro tra due bambini che crescono insieme e, con il passare del tempo si innamorano, si incuriosiscono l’uno all’altro, si cercano, combinano ogni sorta di marachella, di scherzo, tutto al grido “Giochi?”. Ma ogni volta il gioco si fa sempre più arrischiante, la tentazione della trasgressione aumenta fagocitando i due in uno specchio narcisistico dove l’uno è la spinta al godimento dell’altro, la spinta a farsi oggetto del godimento dell’altro. Questo è un punto essenziale: “Giochi con me?”. I bambini si chiamano Julien e Sophie: lui ha una madre in punto di morte e un padre con il quale è difficile trovare un incontro, un dialogo, la trasmissione del limite, mentre lei, polacca, è derisa dai suoi coetanei e ha una famiglia disastrata. I due trasformano i loro dolori e le loro paure in un gioco: inventano continue provocazioni, sfidandosi a vicenda a compierle. L’amore diventa il luogo della sfida. “Giochi ancora con me?”. Anche da adulti, anche se sposati con altre due persone, il gioco non si ferma, non si arresta, non trova la possibilità del limite, al contrario Julien e Sophie rimangono prigionieri di loro stessi, del loro godimento, reclusi nell’impossibilità di amare, come fossero i bambini protagonisti dell’opera “Love” di Alexander Milov. Tutto diventa sempre più assurdo, pericoloso, fino a quando decidono di dare un eterno saluto al mondo: scelgono di morire ricoperti da cemento, in una scena che li immortala in un abbraccio che li conserverà per sempre in un ultimo bacio. Quasi a conservare i corpi, le labbra in un Uno che li ha chiusi al mondo. Questa è la dimensione del godimento: i due protagonisti non sono mossi dal desiderio, al contrario si chiudono al mondo cercando nella trasgressione il solo respiro. Non c’è nulla che umanizza le loro vite. Non cedono sulla loro relazione narcisistica e soffocante. Non mettono in moto l’altro e al contempo non si mettono in moto verso l’orizzonte delle possibilità, nell’opportunità di amare e rendersi amabili.

Se vogliamo sovvertire, sconvolgere, rovesciare il discorso del capitalista che impera il nostro tempo, occorre prima di ogni cosa rendersi responsabili delle proprie azioni, facendo vacillare le nostre convinzioni più radicate, esponendole all’amore per il sapere, all’amore per la condivisione, all’amore per il riconoscimento della differenza dell’altro. Solo così la mano del nostro desiderio troverà non un oggetto, non una cosa, non un silenzio nichilista creato ad hoc dal discorso del capitalista, ma una mano dell’altro dell’amore che riconosce in me il suo desiderio.

Gianfranco Bontempi, psicologo, socio ALFI

(Associazione di Promozione Sociale – www.associazionealfi.com)