Abitare le domande

"Abitare le domande" è un libbro importante pubblicato nel 2002 dal Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA), che ancora una volta ho riletto ricevendo molte suggestioni.

Abitare le domande è l'indicazione di un sentiero, la modalità con la quale procedere nel cammino.

E' un monito e un invito quanto mai attuale in queste nostre esistenze così racchiuse nelle certezze di risposte spesso facili e immediate.

Abitare le domande non solo per porsi in ascolto, capaci di decifrare l'urlo spesso inespresso che ci viene dagli ultimi, dai senza volto, dai senza voce..., ma per far si che quel grido che chiede giustizia, uguaglianza, diritti generi in noi nuove domande, ulteriori interrogativi e non semplicemente l'accettazione passiva dell'altro... e da queste ulteriore domande scaturisca un cambiamento.

Abitare le domande nella strada, le domande che vengono espresse dai corpi e non dalla testa... un corpo che, ancor prima di esprimere la parola, piange, abbraccia, sorride.

Abitare le domande perché le nostre vite arroccate in fortezze fortificate esprimono proprio il fastidio di fronte alle domande e la rigidità dinanzi al mettersi in gioco, chiusi nelle nostre certezze, nelle risposte spesso frutto di scorciatoie, incapaci di affrontare le sfide alte che la complessità ci pone.

La mentalità corrente – l'aria che tira – sembra essere quella del fastidio di fronte alle domande. Non si vuole ascoltare, non si vuole ricordare, non si vuole sapere. Solo quando proprio è urgente si è disposti a tamponare le urgenze, purché nulla cambi. E così le leggi si trasformano nel potere perverso di difendere i privilegi (Fabrizio Longhi, in “Abitare le domande: lettera a chi fa fatica, a chi resiste, a chi cerca ancora” - CNCA 2002).

Solo abitando le domande, lasciandosi interrogare da queste, dando senso e significato ad esse, è possibile iniziare un percorso di cambiamento, personale e sociale.

Ma lasciarsi abitare dalle domande significa porsi dinanzi a queste senza la presunzione della risposta facile, senza gli schemi rigidi e le categorie che usiamo per “classificare”, in un percorso di destrutturazione delle nostre certezze.

Abitare le domande significa abitare il dubbio, aprirsi al nuovo, camminare, trasformare e trasformarsi insieme, saper cogliere le proprie parzialità e al tempo stesso riconoscere e lasciarsi contagiare dalle verità altrui, perché non vi è curiosità, crescita e trasformazione senza l'abitudine a dialogare con il dubbio.

Le piante sono le domande delle persone, i loro desideri e sogni, le loro violazioni, le loro urla disperate, la loro lotta per esistere di una dignità negata. La prima cosa che mi viene dentro è che ci vogliono sentinelle per proteggere queste domande, perché i rischi sono tanti: i nostri occhi spesso sono chiusi, non scrutano l'orizzonte; le orecchie sono “ostruite di ortica” come dice Nelly Sachs e non si ascolta il respiro profondo della notte. Bisogna difendere, tutelare la crescita, non permettere che chiunque entri e tagli...(Angelo Cupini, in “Abitare le domande: lettera a chi fa fatica, a chi resiste, a chi cerca ancora” - CNCA 2002).

Ma per abitare le domande bisogna metterci in gioco, rischiare le proprie sicurezze, saper diventare nomade.

Sono i territori in cui viviamo che ci urlano le domande e dovrebbero suscitare nuovi interrogativi in noi: ma siamo capaci, siamo pronti?

Con quale spirito come persone, come Istituzioni, come Chiesa abbiamo abitato la domanda espressa da quei cittadini migranti che qui a Massa hanno occupato il Duomo, rivendicando il loro diritto ad “esistere”, ad uscire dall'ombra?

Siamo riusciti a far entrare nella nostra vita, nei nostri riti, nelle nostre agende quelle domande?

Oppure ci siamo semplicemente trincerati nel capire quale fondamento giuridico e legislativo ci fosse dinanzi a quell'urlo, ascoltandoli senza riuscire a modificare nulla del nostro esistere, ascoltandoli facendo si che il loro urlo non incida più di tanto nelle nostre sicurezze, nelle nostre vite fortificate, nei nostri percorsi delineati e ben conosciuti, magari “tollerandoli”, senza riuscire a farci prossimi e compagni di viaggio, lasciandoci destrutturare nel nostro cambiamento.

Abitare le loro domande significa accettare di perdersi in sentieri non conosciuti... cercando, insieme a loro, di raggiungere la meta... facendo si che quelle domande pongano davvero interrogativi al sistema che bene o male abbiamo costruito e nel quale viviamo, cercando sempre maggiore sicurezza per noi stessi.

Abitare le domande per accettare che le nostre identità, le nostre radici crescano, si arricchiscano, si sviluppino nella relazione insieme all'altro, elaborando, come scrive Angelo Cupini, una cultura dell'identità dialogante, che concede ad altri e chiede per sé il rispetto dovuto alle convinzioni serie.

Abitare le domande per non adattarci allo status quo, per lasciarci modificare, per diventare viandanti insieme agli ultimi di un percorso di trasformazione dei nostri territori, delle relazioni che siamo andati via via codificando in maniera rigida e chiusa.

Abitare le domande perché è da queste che nasce il sentiero e il percorso della trasformazione.

 

Massa, 16 maggio 2011

 

Abitare le domande. Lettera a chi fa fatica, a chi resiste, a chi cerca ancora

Autore: C.N.C.A.

Anno: 2002

Editore: Comunità Edizioni

info: http://www.cnca.it/