A history of violence, un film di David Cronemberg 2005 (Buratti Marco)

Recensione di Buratti Marco

Il film comincia con un prologo, durante il quale c’è una meravigliosa carrellata laterale, da sinistra a destra, in piano sequenza, che ci mostra una tranquilla e gioviale espressione di due squilibrati e che si raccorda alla noiosa perfezione della famiglia di Tom (padre e marito modello) che appare troppo ideale, perfetta, ai limiti del nauseabondo, ma il male si annida dietro all’idillio, che si trasforma in un incubo…
Tom si imbatte, durante il lavoro, in due rapinatori e assassini. Nonostante che fosse stato presentato come persona pacata, mite e nonviolenta riesce a disarmarli e ad ucciderli, in seguito ad una azione istintiva, ma perfetta, degna delle più letali macchine da guerra.
Dopo questo fatto passerà da eroe, ma la sua armonia e la felicità della sua famiglia si dissolveranno, perché la violenza irromperà nel territorio della serenità e Tom comincerà a comportarsi diversamente da come si era presentato fino ad allora, ritornando quello che è stato, quello che la sua coscienza ha voluto cancellare.

Già dalle prime scene affiorano le due normalità, una pacifica e l’altra violenta; la seconda incombe sulla prima, ma viene descritta come se fosse una cosa normale.
Questa contrapposizione tra serenità e follia nei loro eccessi crea tensione.
La violenza nasce dal nulla, non scaturisce da emozioni particolari: i due killer la vivono senza batter ciglio, in modo naturale, senza emozioni rilevanti e facendola passare come una cosa normale.
Anche Tom si abbandona alla violenza, ma con timore, con paura, provando a dimenticare, sorvolando e cambiando discorso ogni volta che qualcuno parla di quello che aveva fatto.
Si intuisce che un tempo Tom non era così morale e pacifico e che tenta di essere diverso da com’era e da com’è veramente nel profondo: un uomo dalla indole violenta e dall’istinto assassino.
In scena si assiste alla vana rimozione del passato, che ritorna in modo implacabile, portandosi dietro la violenza da cui non si può fuggire.
Il passato torna e porta con sé l’aggressività recondita nel corpo, riemergendo con un inesorabile vigore.
Poi, poco alla volta, si chiariscono i motivi di questa auto-imposizione caratteriale e di questa rimozione forzata dei ricordi.
Bellissima la fotografia, brillante e sapiente la mano del regista, che esplora con la macchina l’interno delle scene a marcare da vicino l’azione degli attori, in modo cinico e spietato.
Le sequenze sono forti e mostrano spudoratamente tutto ciò che accade, in modo realistico, sconcertante e diretto, attraverso improvvisi tagli e primi piani ci rende partecipi di tutto quello che accadrà e spesso non ci lascia nemmeno il tempo di spaventarcene.
Sequenze d’azione mozzafiato e inquadrature serrate e asciutte, che mostrano la violenza nei suoi tratti più fisici.
I movimenti di macchina e la colonna sonora creano la suspence, lo spettatore viene stretto in una tensione insostenibile.
Thriller crudo, angoscioso e disturbante, che tocca i temi dell’identità, della schizofrenia, del rapporto tra essere e apparire, tra realtà e apparenza.
Il film è raccontato senza sbavature in modo classico e lineare pregno di temi, sfumature, concretezza realistica ed ironia impercettibile, quasi involontaria. Solido ed essenziale nello stile, complesso nei contenuti.
Il montaggio detta i tempi e i ritmi, crea tensione emotiva, ma il film è reso grande anche grazie agli attori, alla fotografia e alle musiche.

Il regista scava nei meandri più nascosti e profondi della personalità umana, scava nella violenza repressa del subconscio.
E’ un film che vive di doppi, di emozioni contrastanti, di comportamenti differenti, di realtà divergenti. Infatti troviamo l’odio e l’amore, la normalità e la patologia, la moralità e la violenza, anche il sesso ha due facce, inizialmente è giocoso e tenero per poi diventare violento.
La violenza non è mai mostrata sotto una luce attraente e ne troviamo di ogni tipo (legittima, sessuale, scolastica, psicologica) ed è descritta in modo minuzioso e dettagliato grazie alla illuminazione, alle musiche e ai dettagli su cui si sofferma la macchina da presa.
Cronemberg gioca con gli sguardi, con le soggettive come, ad esempio, nella scena in cui lo sguardo di Tom si incrocia con quello del ragazzo e sembrano riconoscersi.

Il film si chiude con la famiglia attorno al tavolo di casa, gli sguardi sono disperati, si coglie il sottile cinismo. La moglie è stata spezzata dal male, così come il mito americano della famiglia perfetta, distrutta da un innato istinto che conduce alla violenza, una pulsione primaria che risveglia ancestrali azioni, che pervade tutti i nostri rapporti, mescolandosi con tutto.