Oscar Romero, testimone-martire di giustizia e di pace

Il 24 marzo la Chiesa ricorda i Missionari Martiri, proprio nel giorno in cui quarant’anni fa l’arcivescovo di San Salvador veniva assassinato mentre celebrava l’Eucaristia

Lunedì 24 marzo 1980, verso le ore 18,25, mentre sta celebrando la Santa Messa, appena terminata l’omelia, l’arcivescovo della capitale San Salvador, Oscar Romero, è colpito al cuore da un colpo di arma da fuoco. Caricato su una vettura, muore poco dopo in ospedale. Viene così messa a tacere la voce che nella nazione centroamericana, oppressa da una feroce dittatura militare, denuncia senza paura violenze, sequestri, omicidi, indicando responsabilità e complicità. Si tratta di una voce scomoda per le oligarchie politiche ed economiche che si definivano cattoliche e sostenevano di lottare per la difesa della civiltà cristiana contro il comunismo. Per i poveri e gli oppressi è invece una voce amica e fedele, una difesa contro i soprusi e le prepotenze.

Oscar Romero è stato un uomo della tradizione, un uomo che per oltre trent’anni della sua vita sacerdotale non ha mostrato alcun interesse per i problemi politici e sociali. Ad un certo punto però, con la nomina ad arcivescovo di San Salvador e posto di fronte all’assassinio di alcuni suoi sacerdoti, rifacendosi ai documenti del Concilio e di Paolo VI, ha compreso sempre più chiaramente che era proprio dovere illuminare le realtà terrene con gli insegnamenti del Vangelo, interrogandosi sulle condizioni di vita del suo popolo e sulle violenze a cui era soggetto. Si rese conto del fatto che nei poveri, nei perseguitati, negli sfruttati, nei crocifissi vi era il volto di Cristo.

Soprattutto nei tre anni da arcivescovo, Oscar Romero ha sempre più chiaramente sentito il grido del proprio popolo, oppresso nei diritti fondamentali, e a questo popolo ha prestato la propria voce, indicandogli la strada della conversione e della nonviolenza per uscire dal dramma che stava vivendo. Si schierò così, sempre più decisamente, in difesa dei poveri e degli oppressi, convinto del fatto che i valori evangelici andassero incarnati e non solo affermati, che non bastasse raccogliere i moribondi e i sofferenti, ma che fosse anche necessario denunciare le situazioni di violenza strutturale e istituzionalizzata, indicare in modo preciso le responsabilità dei sequestri, dei soprusi e dei massacri. E per questo motivo la sua voce venne messa a tacere per sempre.

Ora anche per la Chiesa cattolica la figura di Oscar Romero va situata fra quella dei beati e dei santi in quanto assassinato in “odium fidei”. Fino ad ora secondo il Codice di diritto canonico per proclamare un martire era necessario che gli assassini fossero atei o di un’altra religione, dunque animati da odio nei confronti della fede cristiana. Ora invece con il riconoscimento del martirio di Oscar Romero si afferma che l’azione in favore della giustizia è connaturata all’annuncio cristiano.

E così a 35 anni di distanza dalla sua morte, il 23 maggio 2015 Oscar Romero è stato beatificato a San Salvador alla presenza di una folla immensa e il 14 ottobre 2018 a Roma è stato canonizzato. Ora anche per la Chiesa cattolica è San Romero de las Americas.

Anselmo Palini

Dalle omelie e dai discorsi di Oscar Romero

Il peccato sociale

Il pensiero attuale della Chiesa è ancora severo con il peccato individuale; ma oggi essa vede con chiarezza che c’è un altro peccato, di fondamentale importanza: è il peccato sociale, cioè la cristallizzazione degli egoismi individuali in strutture permanenti che schiacciano la grande maggioranza dei popoli. La Chiesa deve denunziare l’egoismo che si nasconde nel cuore di ognuno, il peccato che disumanizza gli uomini, che sfascia le famiglie, trasforma in fine degli uomini il denaro, il possesso, il guadagno, il potere. E deve denunziare quello che a ragione è stato definito il “peccato strutturale”, cioè quelle strutture sociali, economiche, culturali e politiche che emarginano la grande maggioranza del nostro popolo.

La persecuzione, nota caratteristica della Chiesa

Sei sacerdoti sono stati assassinati, circa trenta sacerdoti e religiose sono stati espulsi o impediti di ritornare nel Paese. Altri religiosi o laici sono stati minacciati in vari modi. Alcuni sono stati incarcerati. Perché si assassinano sacerdoti e cristiani che cercano di essere fedeli alla propria vocazione? Io credo di poter dire - e per me è ragione di orgoglio - che questo avviene perché l’arcidiocesi di San Salvador non vuole essere indifferente né complice della situazione di peccato e di violenza strutturale che esiste nel nostro Paese. La persecuzione è una nota caratteristica dell’autenticità della Chiesa. Una Chiesa che non è perseguitata, ma gode dei privilegi e dell’appoggio dei sistemi di questa terra, faccia attenzione, perché non è la vera Chiesa di Cristo.

Un clamore che sale fino a Dio

Come pastore e come cittadino salvadoregno mi affligge profondamente che si continui a massacrare il settore organizzato del nostro popolo solo per il fatto di uscire ordinatamente sulla strada a chiedere giustizia e libertà. Sono sicuro che tanto sangue versato e tanto dolore causato ai familiari delle numerose vittime non sarà senza effetto. È sangue e dolore che irrigherà e feconderà: numerosi salvadoregni prenderanno coscienza della responsabilità di costruire una società più giusta ed umana, che fruttificherà nella realizzazione delle riforme strutturali audaci, urgenti e radicali, di cui la nostra patria ha bisogno. Il grido di liberazione di questo popolo è un clamore che sale fino a Dio e che nulla e nessuno può fermare.

Una predicazione che svegli

Una religione fatta di messa domenicale, ma con settimane ingiuste, non piace al Signore. Una religione fatta di molte preghiere, ma con ipocrisie nel cuore, non è cristiana. Una Chiesa che si stabilisse solo per star bene, per avere molto denaro, molte comodità, ma che dimenticasse di protestare contro le ingiustizie, non sarebbe la vera Chiesa del nostro divino Redentore. Una predicazione che non denunci il peccato, non è predicazione del Vangelo. Una predicazione che accontenti il peccatore, perché si consolidi nella sua situazione di peccato, tradisce la chiamata del Vangelo.

È molto facile essere servitori della Parola senza dar fastidio al mondo, una Parola molto spiritualista, senza impegno con la storia, che può risuonare in qualunque parte del mondo, perché non è di alcuna parte del mondo: una Parola così non crea problemi, non genera conflitti.

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