Il Concilio Vaticano II una memoria ancora operante per la pace. Intervista a Daniele Menozzi

60 anni dopo. Intervista a Daniele Menozzi, docente di storia alla Normale di Pisa: «Proprio allora iniziò a sgretolarsi la tradizionale teoria della "guerra giusta": fu riconosciuta la liceità dell’obiezione di coscienza»

Nell’anniversario del Concilio Vaticano II abbiamo intervistato Daniele Menozzi, professore emerito di Storia contemporanea alla Scuola Normale Superiore di Pisa.

Sono stati celebrati ieri i sessant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II (1962-1965). Nel corso dei pontificati di Giovanni Paolo II e poi di Benedetto XVI il concilio sembrava sparito dall’orizzonte pastorale. Cosa è cambiato con papa Bergoglio?

Dopo la lunga stagione in cui si era data del Concilio un’interpretazione conservatrice, papa Francesco ha cercato nuovamente di ancorare la chiesa a quelle parole di cambiamento. Questa inversione di marcia pone oggi almeno due ordini di problemi. Il primo è costituito dalle resistenze di alcune chiese nazionali. È questo il caso, per esempio, dell’episcopato degli Stati Uniti, che pure al Vaticano II si era distinto nel dibattito sulla libertà religiosa e che invece oggi risulta arroccato su posizioni conservatrici. Il secondo problema è che il richiamo al Concilio necessita di essere storicizzato. Negli anni Sessanta la chiesa intendeva aprirsi al mondo moderno, ad un progresso che sembrava inarrestabile, oggi invece la cifra è quella della crisi. Tuttavia, c’è un aspetto del messaggio conciliare che rimane valido allora come oggi: il valore attribuito alla storia degli uomini, ai «segni dei tempi» che permettono alla chiesa di rispondere cristianamente ai cambiamenti.

Un tema centrale al Vaticano II è stato quello della povertà. Oggi più attuale che mai…

Il Vaticano II aveva dato un contributo importante, ma l’idea di una «chiesa dei poveri» non era diventata certo un asse portante. Dopo le condanne delle teologie della liberazione volute da Ratzinger, papa Francesco non solo ha recuperato in parte quel bagaglio teologico che poggia sulla cosiddetta «opzione preferenziale» per i poveri, ma ha anche approfondito l’eredità conciliare con l’auspicio di una «chiesa povera» . Naturalmente poi tutto questo richiede traduzioni concrete. Rimane comunque forte il messaggio di fondo: carità e assistenza non bastano per emancipare le masse dalla povertà.

C’è poi il grande nodo della collegialità, nonché del ruolo del papa. Che ne è stato dell’aggiornamento?

Dopo il Vaticano II l’istituzione del Sinodo dei vescovi come organo esclusivamente consultivo era stata una delusione per i settori progressisti. Oggi invece io vedo all’opera uno sforzo concreto di Bergoglio per coinvolgere la chiesa in tutte le sue diverse articolazioni attraverso un processo sinodale che parta dal basso. Anche qui tocca poi verificare cosa succede concretamente, senza dimenticare che la chiesa rimane una struttura gerarchica e che il diritto non si è ancora adeguato alla prassi auspicata dal papa.

Non possiamo che concludere parlando di pace. Il Vaticano II non era riuscito a sciogliere la grande questione posta da papa Roncalli nella Pacem in terris: fino a che punto è legittimo ricorrere alle armi per legittima difesa? Cosa ne pensa oggi papa Francesco?

In assemblea i vescovi scelsero di non mettere in discussione la deterrenza: pensavano fosse pericoloso in quel contesto. Ma iniziò allora a sgretolarsi la tradizionale teoria della «guerra giusta»: fu riconosciuta la liceità dell’obiezione di coscienza. Negli ultimi decenni sono state poste dalla Chiesa sempre nuove limitazioni alla casistica della guerra moralmente accettabile. Francesco ha messo nero su bianco che la guerra è sempre un errore e un fallimento delle società, esaltando, come mai in passato, la non violenza e le sue metodologie. In questo contesto, l’invasione dell’Ucraina ha imposto una particolare revisione del discorso. Il Vaticano ha riconosciuto la piena legittimità della guerra difensiva di Kiev e, nello stesso tempo, ha richiamato le responsabilità della Nato, senza ovviamente metterle sullo stesso piano di quelle dell’aggressore Putin. A me sembra che Bergoglio abbia scelto di muoversi soprattutto sul piano della «profezia della pace». È rimasto irrisolto il problema di come rendere la non violenza attiva un’efficace pratica evangelica.

Fonte: Il manifesto del 12 ottobre 2022