La storia si ripete

La storia si ripete. Sempre. La storia: quei cicli e ricicli che tornano, penserete voi che state leggendo. No, quei cicli e ricicli che non passano mai, che continuano imperterriti a girarsi su sé stessi, senza fine. Come se il mondo, la società tutta non fosse andata avanti.

Lo sappiamo bene noi donne. Lo mostrano bene due episodi recenti: Guido Bertolaso che dice a Giorgia Meloni di «fare la mamma» e rinunciare alle elezioni a prima cittadina di Roma; la candidata a sindaco del Movimento5stelle a Milano, Patrizia Bedori, che denuncia di essere stata definita «brutta, grassa e obesa» (e anche casalinga, se vogliamo proprio dirla tutta…) e ritira la propria candidatura.

Niente di nuovo sotto il sole. Se avrete tempo e voglia, vi consigliamo di andarvi a leggere il libro di Filippo Maria Battaglia, Stai zitta e va’ in cucina. Breve storia del maschilismo in politica da Togliatti a Grillo (edito Bollati Boringhieri). Vedrete come nulla cambia. Come, sin dai primissimi giorni della neonata Repubblica, gli insulti alle donne hanno fatto e fanno sempre parte del linguaggio di tanti uomini (alcuni del passato impensabili). Il maschilismo, gli stereotipi, le battute da caserma o da bar siedono sugli scranni più importanti del nostro Paese, rispecchiano, da dentro le istituzioni, quel che accade fuori. Né più e nemmeno.

E così, mentre finalmente ci apprestavamo ad accedere al diritto al voto, c’era chi ci ricordava: «abbiamo bisogno di voi soprattutto come spose e madri» (Alcide De Gasperi) e «per sbagliare bastiamo noi e sarebbe eccessivo che vi aggiungeste anche voi altre» (Ferruccio Parri). E poiché la donna «non va allontanata dalla casa che è il suo regno» (l’Avanti, quotidiano socialista), anche perché «negli alti gradi della magistratura è da ritenere che solo gli uomini possano mantenere quell’equilibrio di preparazione» (Giovanni Leone), ci fu vietato fino al 1963 di accedere alle cariche pubbliche e ai massimi organi della giurisdizione. Ma era solo l’inizio di una decadenza delle parole e degli apprezzamenti o insulti sessisti che sarebbero seguiti.

La storia recente forse ce la ricordiamo di più: dal «più bella che intelligente» detto a Rosy Bindi all’invece irripetibile insulto rivolto alla Cancelliera Merkel, sempre dallo stesso gentiluomo delle cene eleganti Silvio Berlusconi. Dalle frasi degli allora appartenenti ad Alleanza Nazionale a quelle della Lega e del Movimento5stelle (inqualificabili quelli rivolti alla presidente della Camera Boldrini). Gli esempi sono infiniti e trasversali rispetto alle appartenenze politiche, con un dato comune: mostrano come non sempre nella nostra società esista l’evoluzione della specie.

Fonte: ComboniFem - Newsletter Suore Comboniane