Come la lotta puo’ cambiare la realta’di una fabbrica. Una storia vera

Un giorno di ottobre del 1977, andai all’ingresso di una fabbrica di calzature in plastica con circa centotrenta addetti, per distribuire un volantino. L’azienda si trovava in una località chiamata Monsagrati a circa 15 km da Lucca. Sia il nome del padrone che il nome dell’azienda era ed RONTANI.

Il Rontani era anche il padrone di un calzaturificio di nome APICE dove agli inizi del 1970, fu fatta una lotta, con forme di protesta dure, con scioperi a “singhiozzo” mezz’ora di lavoro e mezz’ora di non lavoro e “creative” come quella di montare solo la scarpa sinistra…Quindi il Titolare della Rontani aveva deciso di applicare i contratto della plastica perché non voleva più vedere i sindacalisti che seguivano il settore calzaturiero rompergli i coglioni. Purtroppo per lui, gli era andata male in quanto io ero passato proprio dal settore calzaturiero a quello della plastica che faceva parte del settore chimico.

Ma ritorniamo al volantinaggio davanti al cancello.

Ero all’uscita delle 12 per l’ora di pranzo, vedo uscire dei lavoratori con le auto e con le moto, mentre altri con la cappa nera mi vengono incontro a piedi.

Io sorridendo entro nel cancello aperto e gli vado incontro porgendo ad uno di essi il volantino, dove comunicavo l’intenzione della CGIL di fare un’assemblea per verificare la situazione e organizzare sindacalmente i lavoratori .

Un con la “cappa” nera, mentre prende il volantino mi da un calcione in uno stinco e tutti assieme mi spingono fuori dal cancello dicendo: noi qui non ti vogliamo… stai fuori dal cancello merda di un sindacalista…siete voi che fate chiudere le fabbriche… avete già fatto troppi danni all’Apice… non venire qui mai più, a rompere le palle perché ti ammazziamo !

Non mi spaventai, ma rimasi allibito… malissimo… pensavo che fossero operai, nel dargli il volantino cercavo di parlare con loro per fargli conoscere i loro diritti, ma in cambio ne avevo ricevuto un calcio ed insulti.

In realtà non erano operai ma capi reparto, anzi “capetti”. Ve ne erano ben 12 (11 uomini ed 1 donna) ed avevano il compito di fare da cane da guardia al padrone. Cioè dovevano solo stare attenti che gli operai non parlassero tra loro di organizzazione sindacale, di diritti, ed accettare ogni possibile vessazione che gli veniva imposta.

Io non mi persi d’animo e risposi che sarei ritornato per fare un’assemblea sindacale e per cercare di organizzare i lavoratori. Loro mi dissero se torni ti facciamo fuori !

Il giorno dopo, feci venire con me un Compagno alto e grosso, Delegato alla Cucirini Coates (fabbrica tessile che all’epoca aveva oltre 3.000 dipendenti) , che aveva la fama di essere un duro… “un cattivo”… Ritornai quindi con lui davanti il cancello per distribuire un altro volantino dove annunciavo la prossima assemblea sindacale che avrei svolto all’interno dell’azienda (come previsto dalla legge) il lunedì della settimana successiva . Nel volantino aggiungevo che nell’assemblea avremmo esaminato la situazione aziendale e chiesto ai lavoratori di organizzarsi alla CGIL

Alle12, solita ora, i lavoratori iniziano ad uscire e tra essi i soliti “capetti” con la cappa nera. Il primo a venirmi incontro fu proprio quello che mi aveva dato il calcione il giorno prima. Appena lo vedo gli dico: vieni fuori dal cancello se vuoi il volantino. Lui esce dal cancello, mi viene incontro ed io gli sferro un grosso pugno nel naso facendolo cadere per terra.

A quel punto, tutti gli altri “capetti”, mi afferrano le braccia e mi riempiono di cazzotti in tutte le parti del corpo. Io mi aspettavo una reazione del mio amico Compagno in mia difesa, ma lui se ne stette da una parte fermo immobile…impaurito … senza nemmeno fiatare . Dopo la sfuriata e le botte prese, con due costole fratturate, montai sull’auto con il compagno.

Decisi di non rimproverarlo perché aveva avuto paura, e senza mai parlare ritornammo nella Sede della Camera del Lavoro di Lucca.

Raccontai tutto al Segretario Responsabile dell’epoca Sergio Gigli, il quale mi disse di denunciare il fatto alla Questura. Cosa che mi guardai bene dal fare…

Il lunedì successivo mi presentai in fabbrica per fare l’assemblea. Nella mensa si erano riuniti tutti gli operai ed i capetti. Ad ogni parola che dicevo, c’èra un boato di molti, insulti, alcuni che gridavano “viva il duce” ogni mia parola , una contestazione di un capetto… il più cattivo sembrava proprio quello a cui avevo dato un pugno, che a sua volta in precedenza mi aveva dato un calcio.

Pur tra molte urla e contestazioni, avevo spiegato, con calma, i loro diritti sindacali ed invitato i lavoratori a candidarsi per essere eletti nel Consiglio di fabbrica, avevo anche consegnato ai lavoratori le deleghe per l’iscrizione volontaria al Sindacato, dicendo di pensarci e che avrei fatto un’altra assemblea dopo 10 giorni. Le deleghe furono raccolte da un “capetto” e buttate sulla mia auto mentre andavo via.

Ma nell’assemblea c’èra anche chi era stato zitto… chi mi ascoltava con attenzione… chi non ne poteva più della angherie subite.

Il giorno dopo venne nel mio ufficio un giovane operaio della Rontani di nome Paolo Santini, il quale mi dice: mi volevo complimentare per il tuo coraggio ed inizia a raccontarmi tutta la realtà della fabbrica. Mi racconta dei capetti che erano tutti di destra ed asserviti al padrone. L’Azienda ne aveva nominati uno ogni 10 operai proprio con il compito di aumentare in continuazione i ritmi di lavoro della catena di montaggio, far lavorare il più possibile gli operai e non farli mai parlare mai di Sindacato. Mi disse anche che lui ed altri due operai erano disponibili a fare qualche cosa per portare la CGIL in azienda… ma sarebbe stata molto dura.

Io continuai a fare un’assemblea per tutti i mesi successivi e dopo 7 mesi riuscii a fare eleggere un consiglio di Fabbrica composto da 5 persone due affidabili e disposti a fare anche una battaglia per avere un contratto integrativo aziendale (tra cui il Compagno Santini Paolo), due molto deboli e piuttosto sensibili alla tesi padronale che se facevamo rivendicazioni aziendali la fabbrica avrebbe chiuso, ed uno , anzi una, era una “Capa Reparto con la cappa nera” che stava nettamente dall’altra parte, ma era stata eletta da quelli come lei.

La battaglia alla Rontani fu durissima. Il padrone prese di mira Paolo, trovando ogni pretesto per fargli lettere di contestazioni e provvedimenti disciplinari fino al licenziamento del medesimo per il venir meno del rapporto fiduciario tra le parti.

Il licenziamento fu immediatamente impugnato da me unitamente al Santini Paolo. Feci venire appositamente un Bravissimo Avvocato dalla Camera del Lavoro di Bologna di nome Pedrazzoli, docente universitario all’Università Sapienza di Pisa. L’Azienda Rontani fece altrettanto, facendosi difendere dall’Avvocato Pera anche esso Docente Universitario alla Sapienza di Pisa. Dopo circa 3 mesi dal licenziamento vincemmo la Causa con l’obbligo di riassunzione del Santini Paolo ed il pagamento di tutte le giornate perse.

Il giorno dopo feci l’assemblea per informare i lavoratori.

La vicenda del Paolo Santini, non finì lì. Nella fabbrica lavorava anche la moglie del Santini e l’azienda…con i “capetti” iniziarono ad isolare e trattare male anche lei, per il solo fatto che era la moglie di un delegato sindacale come il Paolo Santini.. Questa situazione era divenuta insopportabile per lei e decise di licenziarsi .

Dopo circa un anno, nel 1978, riuscii anche ad iscrivere alla CGIL 22 operai, non erano molti ma erano già un gruppo consistente: decidemmo anche di elaborare una Piattaforma aziendale rivendicando un premio ferie, alcune qualifiche e le visite mediche periodiche. Chiedemmo un incontro presso l’Associazione Industriali di Lucca, dove nel frattempo il Titolare, Sig. Rontani, ne era divenuto il Presidente.

Il primo incontro fu del tutto negativo, ci fu un diniego su tutto, quindi nell’assemblea successiva in fabbrica proposi uno sciopero di 4 ore. Questa volta gli operai si divisero tra i pro ed i contro lo sciopero, ma nella votazione finale prevalsero a maggioranza quelli che volevano scioperare. Fu quindi proclamato un primo sciopero di 4 ore per il giorno successivo. Lo sciopero riuscì al 50%, ma per l’azienda Rontani fu comunque già un gran successo. Dopo ulteriori tre scioperi, l’azienda decise di firmare con noi il Contratto aziendale sul premio ferie, le qualifiche e le Visite mediche. Fu sicuramente una bella vittoria che mi ripagava di tanti torti subiti.

La vicenda non finiva lì. Ogni giorno il Direttore dello Stabilimento nonché marito della figlia del Titolare, in ogni momento insultava il Delegato aziendale Santini Paolo. Lo aveva isolato in magazzino “un Reparto Confino” e tutti i giorni andava da lui insultandolo, dicendogli che aveva fatto già andare via sua moglie e ci sarebbe riuscito anche con lui. Ma il Santini aveva le palle ed un giorno rispose al Direttore dicendogli : “devi smettere di rompermi i coglioni” io non andrò mai via dalla fabbrica.

Questa frase dette il pretesto all’azienda per licenziare nuovamente il Santini Paolo per insubordinazione grave verso i superiori. Così dopo circa un mese dalla firma dell’accordo ed un anno dal precedente licenziamento, l’azienda tentò nuovamente di sbarazzarsi del Delegato più combattivo. Questa volta io mi incazzai veramente. Chiesi ai lavoratori di scioperare per protesta. Qualcuno lo fece ma la maggioranza si impaurì nuovamente. Al Direttore della Rontani qualcuno mandò anche un cartuccia di pistola… Comunque ci fu nuovamente una Causa legale con richiesta di riassunzione al lavoro e per la seconda volta il Giudice del lavoro obbligò la Rontani ad Assumere il lavoratore pagando le giornate perse.

Dopo l’ultima riassunzione l’azienda Rontani ha cambiò atteggiamento divenendo più costruttiva, l’organizzazione sindacale, con il passare degli anni, si è rafforzata, alcuni dei capetti che avevano orientamenti di destra sono diventati di sinistra. Quello che mi aveva dato il calcio e preso il pugno venne emarginato dall’azienda e gli fu tolto un superminimo mensile che aveva acquisito in precedenza. Per questo motivo venne da me ed io riuscii a farglielo ridare in quanto era un diritto acquisito.

Per questo dopo è voluto diventare mio amico… si è iscritto alla CGIL, è entrato nel Direttivo della CGIL assieme ad un altro ex Capetto…cambiati nel profondo… Visto, con la lotta, come può cambiare la realtà?

Umberto Franchi

Lucca, 22 settembre 2019

Dal libro autobiografico di Umberto Franchi “la vita e il sogno”.