Sentire l’altro molto meno distante

Cara amica, caro amico,

ti scriviamo in questi giorni così difficili per tutte e tutti noi, per dirti che il nostro pensiero va a tutte le persone che, come te, stanno vivendo giorni difficili e di grande preoccupazione.

L’emergenza Coronavirus ci sta mettendo a dura prova. Quello che vorremmo esercitarci a fare in queste lunghe giornate, è il sentire l’altro molto meno distante di quanto le restrizioni oggi ci impongono di fare. Sforzarci di pensare che, passata la tempesta, vivremo in un mondo più solidale e con un senso di comunità maggiore di quello che abbiamo conosciuto finora.

Noi continuiamo a lavorare.

Questa volta i messaggi di solidarietà dai luoghi nel mondo che siamo soliti/e attraversare arrivano a noi. Per una volta, sono i nostri amici e amiche dall’altro lato del Mediterraneo a stringersi intorno al nostro paese.

Eppure, da loro abbiamo imparato molto.Soprattutto a considerare un privilegio il fatto di avere una casa in cui potersi riparare, mentre fuori splende il sole di marzo, e non risuona il rumore delle bombe.

“Ci avete insegnato ad essere forti”, abbiamo scritto agli amici e alle amiche in Iraq. “Lo avete fatto anche voi”, ci hanno risposto. Di questo scambio abbiamo fatto la ragione stessa del nostro esistere in questi anni.

In Italia ormai da settimane ci siamo allineati/e alle disposizioni governative, riducendo al minimo i contatti, interrompendo gli eventi pubblici che avevamo in programma, attivando forme di smart working nelle nostre sedi in Italia.

Lo abbiamo fatto per tutelare i corpi più vulnerabili, fare la nostra parte nel lavoro di contenimento e prevenzione, essere parte di una comunità responsabile. Oggi più che mai ribadiamo l’importanza di questa scelta.

Non per questo abbiamo cessato di ricercare, sia pur dentro le disposizioni di forte restrizione, forme di solidarietà con le persone più fragili delle nostre città, perché Un Ponte Per è nato e cresciuto in Italia e questo nostro paese è oggi in estrema difficoltà.

I nostri Ponti di solidarietà nelle città in cui agiamo con i nostri Comitati locali significano in primo luogo dare la nostra totale disponibilità a sostenere reti e pratiche solidali come quelle segnalate da Comune info e Covid19Italia Help.

Significano anche incalzare il mondo politico a rivedere radicalmente scelte economiche che hanno reso più vulnerabile il nostro paese. Anni di tagli alla sanità pubblica, di enormi risorse dirottate verso quella privata (del tutto inservibile, ora è sotto gli occhi di tutti, davanti ad una pandemia come quella che stiamo vivendo) ci dicono che bisogna ribaltare il pensiero dominante.

Ripensare i patti di stabilità sul cui altare abbiamo sacrificato il benessere di un popolo – a partire dalle soggettività più deboli, perché anche in questa crisi sanitaria la divisione di classe è presente, come dimostrano i tamponi fatti alle persone dell’élite e ancora invece negati a larga parte del paese.

Ripensare lo sperpero di denaro pubblico e scientifico per le spese destinate a nuovi sistemi d’arma e per la ricerca militare: con il costo di un solo F-35 potremo costruire un ospedale o avere strumentazioni per 7.000 respiratori/ventilatori indispensabili per la terapia intensiva. Mai come oggi ci pare attuale l’antico slogan pacifista: “+ ospedali – spese militari”.

Per questo stiamo lavorando insieme alla Campagna Sbilanciamoci di cui facciamo parte ad una proposta che trasformi la tragedia che stiamo vivendo in una straordinaria possibilità di cambiamento della nostra società.

Nel frattempo la guerra in Siria non è finita e la folla di persone rifugiate in fuga dalla bombe che si sta riversando ai confini tra Turchia, Grecia e Bulgaria è lì a ricordarcelo.

Nell’isola greca di Lesbo abbiamo assistito alla presenza di picchiatori fascisti che si sono accaniti contro il personale umanitario e delle Ong o all’impiego della Guardia Costiera di quel paese per respingeremanu militarii gommoni di persone disperate. Adesso è arrivato anche il Coronavirus.

Non riusciamo neanche ad immaginare cosa avverrà quando colpirà l’enorme campo profughi su quell’isola, privo di acqua potabile e delle condizioni igieniche e di vita minime. Pur dentro le limitazioni, anche in questo caso stiamo lavorando con forze simili alle nostre per aiutare chi fugge dalla guerra e per metterle a riparo dalla malattia.

Restiamo vicine/i ai nostri colleghi e colleghe, operatrici e operatori umanitari oggi impegnati/e in Iraq, in Siria, in Giordania, in Libano, che continuano a lavorare senza sosta per far fronte non solo alle emergenze sanitarie e umanitarie di sempre, ma anche al contenimento del Covid-19.

Se dovesse dilagare nei campi profughi in cui lavoriamo, o nei paesi in cui il sistema sanitario è fragile e inadeguato perché scosso da anni di guerra, ci troveremo di fronte ad una ecatombe senza precedenti. I nostri colleghi e colleghe stanno rinunciando a rientrare a casa, in Italia, perché non potrebbero poi tornare al loro lavoro. Continuano ad operare lontano dalle loro famiglie e dai loro affetti ed anche per questo inviamo loro il nostro caloroso abbraccio.

Questa crisi non investe solo noi che siamo qui, ma anche i territori in cui lavoriamo da anni, e che abbiamo imparato a chiamare “casa”.

Dove abbiamo attivi programmi sanitari, come in Siria,stiamo facendo del nostro meglio per portare avanti campagne di prevenzione e sostenere i territori per prepararsi a gestire l’emergenza, qualora dovesse arrivare. Stiamo aiutando i nostri partner locali ad attrezzare luoghi di isolamento, seguendo i protocolli medici che sono stati attivati durante altre emergenze.

In Iraq, nei progetti che coinvolgono le comunità, stiamo portando avanti campagne di informazione e prevenzione. Abbiamo chiuso i nostri Centri giovanili e annullato ogni attività pubblica o sportiva. In Giordania e in Libano monitoriamo costantemente la situazione, pronte/i ad intervenire per fare la nostra parte se fosse necessario.

In queste ore difficili per tutte e tutti noi, il nostro pensiero e il nostro abbraccio solidale va a chi opera su altre “frontiere”, quali sono in questo momento i reparti dei nostri ospedali.Al personale sanitario che sta lavorando senza sosta da settimane per permetterci di uscire da questa crisi, ai colleghi e colleghe di Ong specializzate che non hanno esitato a prestare il loro aiuto.

Dai luoghi di guerra che abbiamo attraversato in questi anni abbiamo imparato la forza di comunità che sanno tenersi strette, tendendosi la mano, prendendosi cura le une delle altre. Abbiamo visto crollare sistemi sanitari, sociali, città distrutte dalla guerra.

Ma anche persone rialzarsi, rialzarsi sempre.

Ci piace tenere a mente questo pensiero, mentre aspettiamo che passi anche questa nottata.


Fonte: Un ponte per... - newsletter del 15 marzo 2020 - https://www.unponteper.it/it/