Riflessioni sul testo di "Bella ciao"

Chi più di me è capace di analizzare un testo, provi con Bella ciao! Si cerchino le sue origini: dalle mondine? una canzone russa? Non so. Il poeta è il popolo, lo spirito popolare più vivo.

Comunque sia, è diventato il canto simbolo della Resistenza al nazifascismo, più di altri canti maggiormente caratterizzati come parte politica e ideale. Specialmente in questo 75° , che è stato anche il Venticinque aprile della pandemia, del corteo immobile dal balconi, in tv e nel web, col forte bisogno di trovare coraggio e resistenza, nella permanenza del temuto contagio, e nelle fragilità politiche e umane di questi anni. Non è solo un canto italiano, ma ormai internazionale e intercontinentale, cantato dappertutto nelle poche facili parole italiane. Un successo, espressivo di uno spirito nazionale forte e positivo, quello che si è manifestato anche nelle tante spontanee azioni di solidarietà generosa. Guardiamo bene le parole, tentiamo una analisi del testo.

Ci sono due voci, lui e lei, come nel biblico Cantico dei cantici (quella altissima poesia rivelata da Benigni agli italiani, sia laici sia cattolici, ignoranti della Bibbia)

- Lui: bella ciao! Il distacco dall'amata è motivo straziante in tutti i canti di guerra-contro la guerra, almeno da 100 anni. La guerra spezza il rapporto vicino d'amore, è il contrario della vita, dell'amore, della casa. La canzone è amore, la guerra è dividere, odiare e uccidere. Non è per la vita, divide gli amanti: la cosa più dolorosa al mondo.

- Ancora lui: ecco il motivo del doloroso distacco: ho trovato l’invasor. Di sorpresa, un risveglio che cambia la vita. È sottinteso: devo agire, devo andare in montagna, devo lasciarti: ciao, mia bella!

- Dell'invasore non dice di più: chi invade armato, occupante, minaccioso, non per chiedere aiuto – come i migranti che gli egoisti cinici chiamano invasori! - ma per imporsi, costui è nemico. Ma qui interessa più il dolore del distacco e il dovere dell'impegno, che il giudizio sull'invasore. Non è detto nemico, non è un canto di guerra.

- Lei: O partigiano, portami via. Ormai lui è partigiano, sta per partire, ha scelto. Partigiano vuol dire: ho capito da che parte devo stare. Ci sono due parti, una più giusta, una più ingiusta. Ho scelto la parte giusta, sono partigiano. Lui l'ha detto senza dirlo, lei lo sa e lo chiama: partigiano! È il tuo nome, amore mio! Lui deve partire, e lei lo prega: portami via con te! La scelta tra giusto e ingiusto non deve separare l'amore! Ma la sua invocazione è intercalata dal ritornello martellante: bella ciao! È inteso che lui non può portarla con sé. Deve salutarla, per ora deve lasciarla. Ci sono state anche tante donne partigiane, in vari modi, ma qui lo schema è semplificato, perché la lotta per la libertà e la dignità divide la vita quotidiana, l'amore dei due. La canzone semplicissima celebra il dramma profondo della scelta necessaria tra lotta e vicinanza quotidiana. Le guerre comandate dai malvagi hanno spezzato, con morti assurde, tante coppie umane, fatto tanti orfani. Qui invece è il dovere altruista che mette a rischio l'unione d'amore.

- Lui riprende il discorso, interrotto dall'inutile invocazione di lei. E se io muoio da partigiano,
tu mi devi seppellir. È possibile. È possibile morire, nella scelta che lui fa, ma lei rientra subito in questa sorte possibile, in questa storia vissuta insieme: tu mi devi seppellir. Il tuo amore sarà aver cura amorosa del mio corpo morto. I corpi vivi e ardenti degli amanti sono separati dal dovere della giustizia. La vita di lei abbraccerà la morte di lui, da amante e da madre: sono le madri (ogni donna è madre) le protettrici della nascita e della morte.

- Il discorso di lui continua, inserito nel rintocco, come di campane, del ritornello Bella ciao! Continua dicendole dove lo troverà – lassù in montagna – e come dovrà seppellirlo: sotto l’ombra di un bel fior. L'ombra è la tristezza, il fiore è la bellezza. Il fiore è simbolo di vita affermata sulla morte. Non è una morte per nulla, ma una morte per la vita.

- La canzone è maschile, perché tradizionalmente è l'uomo che va a combattere, ma è la donna che si cura del fiore, che raccoglie la vita ben spesa, che la racconterà ai piccoli, che ne dirà il significato, quindi ne custodirà il valore non mortale. Agire è nulla, se non se ne dice il senso.

- Poi, nelle ultime due strofe del semplicissimo canto, potrebbe essere lei che parla, lui ormai tace sotto il fiore, ha fatto quel che aveva da fare. Lei mette in parole, cioè in messaggio, vita, storia, memoria, nuovo inizio, tutto quello che è successo. E le genti che passeranno … Ti diranno «Che bel fior!». Lei lo dice a lui. Lui tace in ascolto. Ha dovuto lasciarla, all'inizio, ma ora lei è qui, come voleva restare con lui - O partigiano, portami via – è lei che gli dà la consolazione dell'amore, la carezza della presenza che sopravvive alla morte. Le genti che passeranno – sui luoghi della memoria, negli anni futuri - vedranno che la tua vita è un fiore bello, un fiore di giustizia. Vedranno che è una bellezza che può sempre rifiorire. Se avranno il tuo coraggio, di decidere, di andare, di morire.

- Ora, infine, parlano anche le genti che passeranno, cioè noi, oggi. Ecco quel che abbiamo da dire noi, da dirlo perché lo abbiamo capito: «È questo il fiore del partigiano, morto per la libertà!».

Libertà è l'ultima parola, lo scopo, il frutto. Dopo la sua morte, non c'è il nulla, la perdita: c'è la nostra libertà. Lui ha speso la sua vita per dare a noi la nostra libertà. Come possiamo sprecare il dono che ci ha fatto a così caro prezzo? Anche chi insulta il partigiano lo insulta con la libertà ricevuta da lui.

A differenza dei vari inni nazionali (anche dell'orribile inno di Mameli: io l'ho riscritto tutto in termini costituzionali) qui non c'è linguaggio armato, non c'è volontà né parola di violenza, non ci sono parole contro l'invasore, non c'è l'arma puntata, a sostituire la parola umana, da volto a volto. L'animo del partigiano che canta qui ha il coraggio di affrontare la violenza altrui con la propria generosità, per svegliare la dignità negli altri, in noi. Come oggi, come sempre, la dedizione è l'arma più potente: non uccide, e invece vivifica (forse anche gli uccisori).

La Resistenza al nazi-fascismo è stata anche armata, ma basata necessariamente sul più ampio solido terreno del risveglio morale nazionale dal sonno criminale fascista, dalla peste nazionalista violenta. È stata ampiamente azione disarmata, di resistenza civile, umana, morale, diffusa.

Bella ciao! è un canto di ribellione, di lotta, di resistenza, ma non è un canto militare. Non dice guerra, ma amore, coraggio, dono di sé, vita nuova, dono di civiltà. Bella ciao! canta la resistenza umana, sia di lui che di lei, forte, più forte delle armi.

Il 25 aprile 2020, nella pandemia, ha adottato più largamente che mai questo semplice umile canto, che esprime il meglio della rifondazione civile dell'Italia, e la ricorda a noi, per oggi e domani.

«Una mattina mi son svegliato,
oh bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
Una mattina mi son svegliato
e ho trovato l’invasor.

O partigiano, portami via,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
O partigiano, portami via,
ché mi sento di morir.

E se io muoio da partigiano,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E se io muoio da partigiano,
tu mi devi seppellir.

E seppellire lassù in montagna,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E seppellire lassù in montagna
sotto l’ombra di un bel fior.

E le genti che passeranno
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E le genti che passeranno
Ti diranno «Che bel fior!»

«È questo il fiore del partigiano»,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
«È questo il fiore del partigiano
morto per la libertà!»