Per un commercio equo più rigoroso e fecondo

La storia la racconta Ravinala Bottega del Mondo nella sua pagina facebook: "Uno entra in un supermercato a Tananarivo (Madagascar) e trova uno zucchero di canna Bio ed equo...e pensa che bello... Poi lo gira e si chiede ... ma perché viene dal Paraguay visto che il Madagascar è un grosso produttore di canna da zucchero????? Guarda l'altro lato e legge... prodotto in Paraguay , lavorato in Tunisia, importato in Belgio, approdato in Madagascar... e l'ambiente? e perché non utilizzare zucchero locale? Ma siamo sicuri che fosse questo il commercio equo che abbiamo sognato?"

Certo che no, non è questo. Sa coltiviamo il desiderio di un’altra economia è perché abbiamo preso in considerazione tutti e tre gli aspetti di uno sviluppo sostenibile: l’impatto ambientale, quello economico e quello sociale. Ora, con un giro d'affari mondiale da 6 miliardi di $ e con una crescita annua del 27% in barba alla crisi, il commercio equo 'tiene' e risulta anzi in escalation. Ma questo non ci deve far dimenticare che siamo corresponsabili di un cammino che non ci permette fraintendimenti. Solidarietà e responsabilità, efficienza ed etica non ci permettono  alcuna scorciatoia o illusione. Così pure l’ossessione della competizione universale che ha contagiato ad esempio Fairtrade Usa, la quale per agevolare l'ingresso delle multinazionali nel mercato ha introdotto criteri di selezione più blandi ed  abbassato al 10% la soglia degli ingredienti necessari per etichettare i prodotti come equi, non ci appartiene. Poiché - come suggerisce Roberto Mancini in Idee Eretiche - il nostro obiettivo non è “stare sul mercato” quanto quello assai più ambizioso – di “insegnare al mercato a stare al mondo”. Un’ambizione che ci vuole più attenti e rigorosi.

Severino Filippi

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