El Duce lo ga dito - il fascismo e il dialetto

El Duce lo ga dito

“Noi tireremo drito”.

Se sacrifici ocore,

va ben, nessun discore.

Col Duce, al belo o al bruto,

semo disposti a tuto.

Come faseva i noni,

se volterà el gaban,

si strenzerà i botoni,

misuraremo el pan.


La poesia mi piace, è di un poeta dialettale veneziano, non ne so il nome.

Ha un suono ed un ritmo che cattura, favoloso poi quel “lo ga dito”, da innamorarsi il “misuraremo il pan”.

L’ho trovata in un piccolo e curioso libro “El duce lo ga dito - i poeti dialettali e il fascismo”, di Aurelio Lepre (un importante storico), edizioni Leonardo, Milano, 1993. Il librino l’ho comprato ad una bancarella alla Fiera dell’Est, che noi a Massa chiamiamo di San Francesco. Han voluto solo un euro, mi son detto: si vede che han visto che parla del Duce e lo svendono, o forse perché non se lo filava nessuno, così ne ho approfittato.

Vi ho scoperto che i poeti dialettali di tutta Italia, nella maggior parte, amavano il Duce e gli dedicavano poesie, ma che il fascismo non corrispondeva l’amore, anzi!

I rapporti del fascismo con il dialetto furono, infatti, difficili, la “frammentarietà delle culture era vista come un ostacolo all’unificazione e omogeneizzazione culturale”, e la letteratura dialettale “nuoceva al sentimento nazionale” con le sue “superate concezioni regionalistiche”. Così nel 1934 i dialetti, “residui di divisioni e servitù del passato”, furono esclusi dai programmi scolastici, e si cercò anche di limitarne l’uso nella stampa. Nel 1941 una velina del Ministero della Cultura Popolare impose che “i quotidiani, i periodici e le riviste non dovevano più occuparsi in modo assoluto del dialetto”, e si espresse anche “l’intenzione di ritirare dalla circolazione tutte le opere dialettali”. Ancora nel 1943 si informavano gli organi di stampa che il dialetto era una “sopravvivenza del passato” che “la dottrina morale e politica del fascismo tendeva decisamente a superare”.

Quante cose belle e interessanti ci stanno dentro ai libri, dalle poesie alla storia, anche in un piccolo dimenticato libro, scambiato alla Fiera dell’Est.

Morale (lo so, è roba antidiluviana, da lettore di favole di Esopo, ma ci son cresciuto):

È indubbio, è importante leggere, non scrivere o, detto meglio, sempre prima di scrivere!

Massimo Michelucci – su FB 4 ottobre 2018