Tacciano le armi. Negoziato subito. Manifestazione a Massa del 21/10/2022. Intervento di Gioia Giusti (Fridays For Future Massa)

Inizio quest’intervento con una provocazione: sono ormai diversi anni che nelle propagande elettorali di alcuni partiti il nemico comune viene identificato con chi cerca di attraversare le frontiere, non più l’invasore che si paventava all’epoca delle guerre mondiali, bensì l’immigrato, una sorta di invasore 2.0 che non combatte con la prepotenza di un grande esercito, ma con la pietà a cui ci muovono innocenti e bambini, che non è animato dal patriottismo e dall’illusione della vittoria, ma dalla disperazione e dalla povertà. In questi anni in cui la patata bollente del capro espiatorio di tutti i nostri problemi economici ed esistenziali è passata a loro siamo stati tartassati dalla retorica dell’ “aiutiamoli a casa loro”.

Aiutiamoli a casa loro.

E se vi dicessi che in realtà è esattamente questo che bisognerebbe fare?

Chi di voi si venderebbe la casa, abbandonerebbe la famiglia per prendere un aereo diretto in America, senza conoscere nessuno, senza documenti, senza garanzia di non finire in mezzo ad una strada o essere rispedito indietro? Oltretutto non ci sono voli di linea per voi, solo un vecchio aeroplano con un problema al motore e con meno carburante del necessario

“Tanto quando siete in direttura d’arrivo planate un po’ in caduta libera e vi salvano loro” vi assicurano.

Però vi hanno garantito che in America si guadagna dieci volte meglio!

Ecco, nessuno lo farebbe per migliorare una condizione che di base è già buona, nessuno lo farebbe se non fosse mosso dalla disperazione.

Il punto è: come aiutare le persone nei loro paesi? E qui viene il bello, perché non basta tagliare i ponti, sono ponti che abbiamo costruito noi stessi, paesi “industralizzati” a caccia d’oro nero e di manodopera a basso costo. Non possiamo buttarli giù solo quando ci fa comodo.

Dobbiamo andare ad indagare le cause più profonde che muovono i popoli alla disperazione, alla migrazione e al conflitto. Apriamo in questo modo un argomento immenso di cui probabilmente non riuscirei a parlare in modo esauriente nemmeno se da qui alla pensione mi ritirassi in un eremo per leggere giorno e notte tutti i libri di storia al riguardo, ma su una di queste cause sì che posso spendere due parole: i cambiamenti climatici.

Faccio parte del Fridays For Future Massa da quando è stato fondato qualche anno fa e uno dei nostri obiettivi principali è guardare all’impatto che la situazione globale ha nel locale e viceversa. Questo perché ogni città, ogni regione è il tassello di un puzzle che compone il panorama globale ed è un’illusione pensare che un disastro ambientale che avviene dall’altra parte del mondo vi rimanga confinato, così come è un’illusione pensare che il barbaro sfruttamento delle risorse e il cambiamento climatico non abbiano delle ricadute economiche e sociali.

Come movimento parliamo spesso di giustizia climatica. Perché giustizia climatica? Perché i cambiamenti climatici hanno un ruolo enorme nel dilagare di carestie, siccità, povertà, malattie, che colpisce soprattutto le aree più svantaggiate del mondo, i paesi in via di sviluppo, ovvero chi non si può permettere un aumento del costo della vita. Oggi questo collegamento è così evidente che non si può pensare di parlare di giustizia sociale senza parlare di ambiente.

Carestie, siccità, povertà… disperazione: sono i motori delle migrazioni a cui stiamo assistendo, tanto che si parla di migranti climatici, ma sono alla base anche dei conflitti armati. Secondo uno studio del centro tedesco Adelphi in un’indagine commissionata dal G7 sarebbero 79 i conflitti le cui cause sono climatiche, a questi bisogna aggiungere quelli in cui giocano un ruolo altre forme di degrado ambientale come la desertificazione e la perdita di biodiversità.

Basti pensare a come ci riferiamo a quelle aree minacciate da conflitti: aree di instabilità geopolitica. Con questa definizione stiamo sottendendo che alla base della pace c’è la stabilità e come possiamo pretendere che ci sia stabilità quando il primo ad essere instabile è il clima? Non può essere pianificata l’attività agricola senza una regolarità stagionale e nei paesi in via di sviluppo è proprio il settore primario quello che traina l’economia e fornisce sostentamento alla popolazione.

Analizziamo un po’ più a fondo questa parola: instabilità. Qualcosa di stabile non è qualcosa di immutabile, ma ciò che riesce a mantenere il suo equilibrio, un equilibrio che può e deve essere fatto anche di continui aggiustamenti. Quindi cosa porta all’instabilità? Non è il cambiamento in sé, ma è il cambiamento repentino, troppo rapido perché i sistemi vi si possano adattare e l’ingegno umano possa elaborare delle soluzioni efficaci, inoltre l’adattamento richiede l’introduzione di novità ed ogni innovazione ha un costo che va a gravare sull’economia del paese e se le fondamenta non sono abbastanza solide ecco che comincia a vacillare, diventa instabile.

E qui si entra in un loop senza fine perché da una parte i cambiamenti climatici hanno un ruolo fondamentale nel perpetuarsi di molte guerre in tutto il pianeta: nel libro Effetto Serra Effetto Guerra viene illustrato nel dettaglio come tutte le guerre del nord Africa siano sostanzialmente “guerre per il pane”.

D’altra parte però la guerra è un immane spreco di risorse. Proviamo a fare l’esercizio di estraniarci per un attimo da tutti i nostri principi etici (un esercizio pericoloso) e pensiamo di essere degli alieni che hanno in gestione il pianeta Terra e devono renderlo il più efficiente possibile.

Quanto costa, quanto inquina la guerra?

Vi leggo due numeri giusto per dare un’idea:

Un aereo da caccia tipo F-15E Strike Eagle o F16 Falcon consuma circa 16.200 litri/ora.

Un bombardiere B52 consuma circa 12.000 litri/ora.

Un elicottero da combattimento tipo AH64 Apache consuma circa 500 litri/ora.

In sostanza ogni giorno di guerra si consuma tanto carburante che basterebbe a fare il pieno a 1.125.000 autovetture.

Veniamo ora alle emissioni in atmosfera: la bellezza di 112.400 tonnellate, ciò significa che ogni giorno di guerra equivale all'emissione annua di circa 11.500 persone, che sono più dei residenti in tutto il comune di Aulla per intenderci. (10.700)

A questo bisogna aggiungere la devastazione del territorio, l’impoverimento delle economie locali e tutta una serie di fattori che bombardano la popolazione tanto quanto l’offensiva nemica e che portano a morire o emigrare civili, bambini, innocenti. Sono costi che non ricadono solo sui popoli coinvolti, ma su tutti i paesi interdipendenti dai paesi in guerra.

Il nostro alieno non investirebbe mai nella guerra perché sarebbero risorse bruciate, e non investirebbe mai nemmeno in tutte quelle attività che creano un beneficio solo a brevissimo termine puntando esclusivamente al taglio dei costi di produzione perché esauriscono le risorse nel lungo periodo.

E qui finalmente una buona notizia: gli investimenti “sostenibili” continuano a crescere, segno che forse ci stiamo finalmente rendendo conto che sviluppo e tutela ambientale non sono in contrasto tra loro ma possono e devono coesistere.

Un problema a cui assistiamo ogni volta che scoppia una guerra è nessuno si vuole prendere delle responsabilità: la responsabilità di proporsi come mediatore per la pace, la responsabilità di decidere di non sostenere il conflitto armato… Ma forse non ci rendiamo conto che il nostro modello economico insostenibile delle responsabilità le ha eccome.

Mi ha colpito molto un’affermazione del libro Effetto Serra Effetto Guerra: il fatto che abbiamo scoperto il ruolo dell’uomo nel riscaldamento globale non è una sciagura, è una buona notizia. Sì, siamo fortunati perché se si trattasse solo di calamità naturali non potremmo fare nulla per migliorare la nostra situazione, in questo modo invece è tutto nelle nostre mani, oltre ad adattarci possiamo mitigare gli effetti. Non rifiutiamo le nostre responsabilità, accogliamole e rendiamole la nostra forza.

Gioia Giusti di Fridays For Future Massa

Massa, 21 ottobre 2022