Libertà, giustizia, e sostenibilità ecologica per salvare il mondo

Occorre un cambiamento radicale del nostro modo di essere, ossia del nostro modo di relazionarci agli altri e all’ambiente, perché l’uomo ha una natura relazionale, e senza relazioni – o con relazioni solo opportunistiche come quelle proposte da un sistema imperniato sulla selezione e sulla competizione – l’uomo appassisce, perde anima e dignità».

Le parole di Don Luigi Ciotti (tratte dalla prefazione) riassumono bene il senso dell’ultimo libro di Giuseppe De Marzo, Per amore della terra (Castelvecchi). De Marzo, per anni al fianco dei movimenti sociali latinoamericani, è stato osservatore privilegiato dei conflitti ambientali, ovvero le sempre più numerose lotte in difesa di un territorio e delle sue risorse, minacciate da uno sfruttamento nell’interesse di pochi.

La possibile via d’uscita indicata da De Marzo parte da un ripensamento e una ridefinizione dell’idea stessa di Natura, nella sua relazione con l’uomo e quindi con la società, articolando ed approfondendo un concetto, quello della giustizia ambientale, che individua l’origine del problema nella strumentalizzazione della natura ed evidenzia la stretta relazione che sussiste fra la distruzione ambientale e le disuguaglianze. La crisi in cui è immersa l’umanità, oltre che strutturale e sistemica, è anche inedita perché pone il problema della minaccia alla salute dell’intero pianeta e sta già provocando il peggioramento e la distruzione delle condizioni materiali di vita di miliardi di persone. Una situazione che l’umanità nella sua storia non si è mai ritrovata ad affrontare e in relazione alla quale visioni, teorie, modelli economici e politici del secolo scorso non sono più adeguati.

È necessario un totale cambio di paradigma e i movimenti per la giustizia ambientale, di cui De Marzo esamina la nascita e la diffusione, lo praticano nel momento in cui affermano che diritti umani non possono esistere pienamente se non si riconoscono quelli che riguardano la natura. Un punto di vista costruito sul passaggio dall’antropocentrismo al biocentrismo. La concezione antropocentrica del mondo è l’errore di cui ora stiamo pagando le conseguenze: considerare tutte le forma di vita non umane come assoggettabili e strumentalizzabili, ignorare le relazioni di forte interdipendenza che legano gli esseri umani alle altre specie e all’ambiente ha la spianato la strada alle modalità distruttive del capitalismo. Restituire a tutte le forme di vita il loro valore intrinseco, espandere la comunità della giustizia riconoscendo i diritti della Natura, garantendo l’integrità ecologica degli ecosistemi, di cui anche l’uomo è parte, non può che assicurare il buon vivere per tutte le persone.

Ma tutto ciò ha bisogno di un modello economico completamente diverso, che si deve adattare ai limiti del pianeta e non il contrario. Un modello sostenibile. Ma equità, giustizia, sostenibilità sono termini che stanno insieme? E cosa li tiene insieme? Esiste uno sviluppo sostenibile senza giustizia? Fra i tanti meriti del libro, quello di articolare il paradigma della giusta sostenibilità: lo sviluppo sostenibile privato di qualsiasi elemento di giustizia è una formula vuota a servizio della governance liberista; abbiamo bisogno di garantire equità e giustizia per le generazioni attuali e quelle future, riconoscere i diritti della natura e i limiti del pianeta.

Per questo serve la costruzione di un movimento per la giustizia ambientale, sociale ed ecologica. Perché, come dice Marco Revelli nella postfazione, «Per amore della terra ci dice che ciò che salva si genera esattamente là dove il male con più evidenza si manifesta: non nel chiuso dei livelli politici ufficiali – nel cielo delle istituzioni drammaticamente svuotate – ma a livello del suolo. Nelle pieghe dei territori dove è più evidente la crisi della rappresentanza e dove più offesa è la vita».