Dopo tutto è solo una donna

Noi donne somale abbiamo sofferto la nostra parte di stupri durante e dopo la guerra civile. Oggi soffriamo come rifugiate nei campi profughi. Lo stupro è un argomento tabù: e per le donne che ne devono sopportare l'orrendo dolore, è una condanna che dura tutta la vita, una condanna che viene ripetuta grazie al comportamento dei vicini, degli amici, dei compatrioti. Il 29 settembre scorso, alle 8 di sera, due uomini non identificati armati di fucile sono entrati in casa di una casalinga di 40 anni, madre di cinque bambini, che risiede nel Galkaio del nord, settore Garsoor. L'hanno presa, portata via, picchiata, violentata, e l'hanno lasciata là.
In ottobre un'altra casalinga dormiva tranquilla in casa propria, non aspettandosi violenza dall'amato marito: avevano solo avuto una discussione il mattino precedente. Lui è arrivato con un coltello, le ha tagliato la lingua affinché non potesse chiamare aiuto ed ha fatto a pezzi il resto del suo corpo. Non è neppure scappato. È andato alla fattoria vicina dove aveva lavorato ed ha dormito lì. Il giorno dopo la polizia lo ha trovato e lo ha messo in prigione, ma il suo clan è corso in suo aiuto: il suo clan sostiene che dopotutto è solo una donna ad essere stata uccisa.
Quest'uomo ha il suo clan che difende il suo "diritto" di assassinare una donna. Ma chi difenderà il diritto alla vita di quella donna?
Chi le darà giustizia?
Chi lotterà per le altre donne che ogni giorno perdono la vita o sono stuprate?  
Le donne del mio paese non possono uscire da sole dopo le 6 di sera per timore di essere rapite, violate, assalite. In undici mesi, da gennaio a novembre 2010, 120 casi di stupro sono stati denunciati nelle città cosiddette "stabili": che sta succedendo nelle città che ancora bruciano? Quante donne, quante ragazze, hanno ormai perso ogni speranza di avere giustizia?  
Nella mia comunità i diritti delle donne sono continuamente violati e nessuno è seriamente impegnato a contrastare la situazione. Soffriamo in silenzio. Io però voglio alzare la mia voce, e voglio si alzino le voci delle troppe donne e ragazze ridotte al silenzio.

Fonte: Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo
Traduzione: Maria G. Di Rienzo