Sistematica violazione dei diritti della minoranza curda di Turchia

Un ponte per... vi invita alla conferenza stampa che si terrà giovedì 4 giugno, alle ore 11,30, davanti all'Ambasciata Turca di Roma, in Via Palestro 28, nel corso del presidio indetto per protestare contro la sistematica violazione dei diritti della minoranza curda di Turchia e denunciare l'ondata repressiva attuata nelle ultime settimane dal governo di Ankara verrà presentata una lettera-appello di protesta per le reiterate violazioni dei diritti umani, politici e civili contro la minoranza curda.
Il 14 aprile, esattamente due settimane dopo il voto, le autorità turche hanno dato il via a una maxi-operazione contro il Partito della società democratica (DTP) condotta simultaneamente in 12 province del sud est, che ha portato al fermo di oltre 300 persone incolpate dei legami con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), l'organizzazione combattente che Ankara accusa di terrorismo.

Ad oggi sono stati effettuati oltre 316 fermi tra dirigenti del DTP, rappresentanti delle autorità locali, attivisti di organizzazioni della società civile, avvocati, esponenti del Mesopotamia Social Forum e del Movimento Democratico delle Donne (DOHK). Inoltre 201 persone sono già agli arresti accusate di appartenere a organizzazione terroristica: 194 sono membri DTP, di cui 11 donne del DOHK, 7 attivisti di organizzazioni della società civile, 3 sindacalisti, 1 direttore della TV locale, 1 esponente Mesopotamia Culture Center.
    
Nel corso della manifestazione Un ponte per... lancerà una campagna in solidarietà ai detenuti curdi che prevede, tra varie azioni, una petizione per sostenere la resistenza democratica del popolo curdo e per una soluzione politica della questione curda.

Quattro anni fa, a Diyarbakir, nel principale centro del sudest turco, l'attuale primo ministro Recep Erdogan parlò di "problema curdo", definendolo "un nostro problema". Riconobbe gli "errori" commessi dallo Stato turco e si impegnò a correggerli.

Quel discorso gli valse un'apertura di credito non indifferente da parte della stessa popolazione curda, che - forse per la prima volta - tentò di guardare a un capo di governo turco come a un possibile interlocutore, piuttosto che come a un nemico.

Da allora sono passati solo quattro anni, ma la distanza politica percorsa è molto più ampia. Pressato dall'esercito e dall'establishment kemalista, il leader dell'AKP - emulando in questo i suoi predecessori - ha accettato di affrontare la questione della minoranza curda esclusivamente in termini di sicurezza, scegliendo la repressione ed escludendo a priori il dialogo.

La prova del cambio di rotta si è avuta nelle ultime settimane, caratterizzate da un'ondata repressiva che ha pochi precedenti nella storia turca e che ha fatto seguito alla vittoria del DTP in tutto il Kurdistan turco in occasione delle elezioni amministrative dello scorso 29 marzo.

Il tentativo di sovrapposizione - e dunque delegittimazione - tra DTP e PKK è andato avanti nei giorni successivi con la condanna di tre sindaci di municipalità del sudest, accusati di "propaganda terroristica".

E ancora una volta sotto processo per le sue opinioni è finita Leyla Zana, ex deputata e donna simbolo della lotta del popolo curdo.

Tuttavia, al di là di quanto successo avranno le politiche repressive adottate da Ankara, la recente affermazione del DTP e la sua conferma come quarto partito nazionale è un dato di fatto che, nel futuro prossimo, la Turchia non potrà ignorare. "Non è più possibile prendere impegni sul futuro delle politiche democratiche in Turchia senza tenere in considerazione la 'realtà curda'", ha scritto all'indomani del voto Mehmet Barlas su Sabah.

Le vicende di queste ultime settimane lo provano una volta di più.

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