Ieri l'Iraq, oggi la Libia: che fare? I cablo segreti Usa dicono che l'Italia ripudia la guerra, ma poi trova il trucco per farla

"A voi la guida in Libia: ci aspettiamo 5 mila uomini": così l'ambasciatore Usa, John R. Phillips, nell'intervista che ha rilasciato ieri al Corriere della sera. Sono parole importanti, perché trasmettono il punto di vista del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Tuttavia non è chiaro se si tratti di un auspicio, oppure di un ordine. La differenza non è di poco conto, ma ne sapremo di più con il tempo, quando il governo di Matteo Renzi deciderà di uscire dalla attuale fase di prudenza e di riserbo sul da farsi. Ci sono tuttavia alcuni precedenti nei rapporti Italia-Usa sulle questioni militari, che è bene non dimenticare. Si tratta di episodi consegnati alla storia dai cablo segreti inviati a Washington dall'ambasciatore Usa in Italia durante i preparativi della guerra in Iraq del 2003, cablo svelati nel 2010 da Wikileaks. Rileggerli oggi, viste le similitudini di partenza delle vicende Iraq e Libia, non sembra tempo perso.
Anche l'intervento in Iraq, come si sostiene ora per la Libia, doveva essere prima autorizzato dal Consiglio di sicurezza dell'Onu. Ma l'allora presidente Usa, George W. Bush, decise l'invasione senza tale avallo. Per questo, i Paesi dell'Unione europea di divisero: l'asse franco-tedesco disapprovò la guerra, mentre un gruppo di Paesi, guidato da Gran Bretagna e Spagna, diede vita a una " coalizione dei volonterosi" , che scese in campo a fianco degli Stati Uniti. Allora, al governo c'era Silvio Berlusconi, mentre al Quirinale era in carica Carlo Azeglio Ciampi. Nonostante le manifestazioni di piazza contrarie alla guerra avessero ricevuto anche la benedizione di Papa Giovanni Paolo II, in più occasioni Berlusconi prese posizione a favore dell'intervento in Iraq.
Tuttavia, quando, il 16 marzo 2003, Bush riunì nel vertice delle Azzorre i leader dei Paesi favorevoli all'intervento, il premier italiano non c'era. Erano invece presenti Tony Blair e José Maria Aznar, con il portoghese José Manuel Barroso a fare gli onori di casa. Fu in quel vertice che Bush preannunciò l'inizio della guerra. Tre giorni dopo (19 marzo 2003), allarmato dall'interventismo di Berlusconi, Ciampi, come capo delle forze armate, convocò il Consiglio supremo di difesa, per definire la posizione dell'Italia. Nel corso di una lunga

riunione, a cui parteciparono Berlusconi, diversi ministri e i capi militari, Ciampi richiamò il dettato costituzionale, che all'articolo 11 dice: "L'Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali", e ne impose un rigoroso rispetto.
Per evitare sorprese, fidandosi poco delle assicurazioni di Berlusconi, dopo la riunione, contrariamente alla prassi, la presidenza della Repubblica emise un lungo comunicato, in cui si precisava che ogni decisione in merito alla partecipazione di militari italiani, alla fornitura di armamenti e di mezzi militari, nonché l'uso di strutture militari quali basi di attacco, doveva essere approvata dal Parlamento. In pratica, una dichiarazione di non belligeranza, che legava le mani a Berlusconi e al ministro della Difesa, Antonio Martino.
Per questo l'Italia non partecipò alla prima fase della guerra in Iraq (che fu breve, e terminò il primo maggio 2003), e si limitò a inviare missioni militari di peacekeaping e di peacebuilding soltanto dopo l'approvazione della mozione Onu, avvenuta il 23 maggio, a guerra conclusa. In pratica, una vittoria politica di Ciampi su Berlusconi. Così, almeno, sembrò allora. Ma la realtà, come ha poi rivelato un cablo segreto dell'ambasciatore Usa Mei Sembler, postato sul web da Wikileaks, fu ben diversa. In pratica, operando sottobanco e senza informare il Quirinale, Berlusconi si era schierato al fianco di Bush fin dall'inizio, agevolando in ogni modo l'alleato americano. Tanto che Ciampi apprese solo dalla televisione che la 173.ma brigata Usa era decollata dalla base di Vicenza per un'azione offensiva sull'Iraq, in violazione delle disposizioni del Consiglio supremo di difesa.
Ne nacque una crisi, rimasta segreta a lungo, tra il presidente del Consiglio e la presidenza della Repubblica, per venire a capo della quale Berlusconi chiese aiuto agli Usa per gestire "l'enigma Ciampi". Il tutto è confermato dal cablo segreto in cui Sembler scrive: "II governo italiano ha collaborato con noi in tattiche per garantire che Ciampi non mettesse in discussione la costituzionalità del dispiegamento. Abbiamo ottenuto tutto quello che abbiamo chiesto per quanto riguarda l'accesso alle basi, il transito e i sorvoli, assicurando che i soldati potessero attraversare in modo agevole l'Italia per recarsi a combattere". Fu così che dalla base di Sigonella partirono ben 1.300 missioni militari, che è difficile non definire di attacco. Non solo: i porti italiani ospitarono, e talvolta scortarono, 71 vascelli militari Usa, e oltre 8 mila soldati americani furono aviotrasportati in Iraq dal nostro Paese. L'Italia, precisò Sembler, assicurò inoltre "una protezione di prima classe" alle installazioni e al materiale militare della coalizione in transito, ed elogiò " l'astuzia della polizia e del ministero dell'Interno" nello sviare un gruppo di manifestanti, che volevano bloccare il passaggio di equipaggiamenti militari.

In conclusione, Sembler sottolineò che l'Italia, anche senza un coinvolgimento diretto nelle operazioni in Iraq, aveva "fornito un impulso fondamentale per la vittoria". Di più: "L'Italia è un luogo eccellente per portare avanti gli affari politico-militari degli Stati Uniti, a condizione di armarsi di pazienza per superare la sua vituperata burocrazia e le sue procedure arcane e bizantine". Scopriremo presto se l'Ambasciatore Phillips è dello stesso avviso, e se usa gli stessi metodi con Renzi e Sergio Mattarella.

Fonte: Italia Oggi 5 marzo 2016
Segnalato da Tavola della pace e della cooperazione