Bonhoeffer, il primato della responsabilità

Il 9 aprile di 75 anni fa l'impiccagione in un lager del teologo tedesco che si oppose ad Hitler.

“Solo chi alza la voce in difesa degli Ebrei, può permettersi di cantare in gregoriano”. Queste parole, risalenti al 1935, sono di uno dei maggiori teologi protestanti del novecento, Dietrich Bonhoeffer, impiccato nel lager di Flossenbürg il 9 aprile 1945 con l'accusa di aver partecipato all'attentato del 20 luglio 1944 contro Hitler.

Dietrich Bonhoeffer è il sesto di otto figli di una famiglia che fa parte dell'alta borghesia protestante tedesca. La scelta di dedicarsi agli studi teologici, che avverranno a Tubinga e a Berlino, e divenire nel 1931 pastore protestante, non entusiasma i genitori che immaginavano per lui un grande futuro in ambito scientifico o musicale.

Il 30 gennaio 1933 Adolf Hitler ottiene l'incarico di formare il nuovo governo. Due giorni dopo Bonhoeffer tiene una conferenza radiofonica dal titolo “Il Führer e il singolo”. In questo discorso il giovane teologo denuncia chiaramente il rischio che il Führer, ossia colui che guida un popolo, possa diventare un Verführer, ossia un seduttore, o più precisamente “colui che travia” il popolo.

Il suo intervento viene sospeso durante la trasmissione. Fin da subito dunque la sua opposizione al nazismo è netta.

Quando nell'aprile del 1933 viene approvata una legge statale che contiene il così detto “paragrafo ariano”, che prevede di “purificare” la chiesa da ogni elemento ebraico, Bonhoeffer è sconcertato dal silenzio della sua Chiesa.

A fronte della mancanza di una presa di distanza del mondo protestante dal governo nazista, su iniziativa di Bonhoeffer e di pochi altri nasce una piccola corrente di pastori e di laici decisi a mantenere la propria fede basata su Gesù Cristo, rigettando le teorie razziali: questo gruppo prende il nome di “Chiesa Confessante”. E Bonhoeffer si rende conto che non si può stare alla finestra o limitarsi ad interventi di carattere dottrinali.

La mancata assunzione di una precisa responsabilità diviene sempre più insostenibile.

Insoddisfatto dell'attività della Chiesa Confessante, in perfetta solitudine decide di attivarsi nella resistenza contro Hitler. S'inserisce così nell'organizzazione di cui facevano già parte alcuni familiari, che sta progettando un attentato contro il Führer.

Il teologo – pacifista e obiettore di coscienza – giunge a condividere la legittimità del tirannicidio. Suo compito in particolare è, grazie ai suoi numerosi contatti internazionali, riuscire a convincere gli alleati a sostenere la resistenza in Germania.

Tentativo che non ha successo in quanto gli alleati non vedevano segni visibili di forme di resistenza.

Con il fallimento dell'attentato del 20 luglio 1944 tutti i cospiratori vengono arrestati e trasferiti al lager di Buchenwald. Ai primi di di aprile 1945 Bonhoeffer e altri prigionieri politici sono caricati su un camion e portati nel pressi di Flossenbürg.

Qui, dopo un processo farsa, vi è la condanna a morte di tutti per alto tradimento. Bonhoeffer viene impiccato, con gli altri congiurati, il 9 aprile 1945. I cadaveri vengono bruciati. Non deve restare alcuna traccia di coloro che hanno osato tentare di rovesciare il regime nazista.

Un monumento funebre al teologo e agli altri resistenti verrà eretto nel cimitero di Dorotheen, a Berlino. Sul lato frontale è riportato Matteo 5,10: “Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli”.


Fonte: articolo pubblicato su il Giornale di Brescia del 9 aprile 2020 e inviato all'AAdP da parte dell'autore.

Anselmo Palini è autore del libro “Più forti delle armi. Dietrich Bonhoeffer, Edith Stein, Jerzy Popieluskzo