Una spina e una talpa. Alcune parole a proposito della marcia Perugia-Assisi che si svolgerà il 9 ottobre

È in corso la "terza guerra mondiale a pezzi" ed ogni giorno dal Medio Oriente al Mediterraneo si susseguono le stragi. Ogni iniziativa che si opponga alla guerra e alle uccisioni è cosa buona e necessaria e urgente. Il primo dovere di ogni persona decente come di ogni umano istituto è fermare la guerra e salvare le vite.

Domenica 9 ottobre svolge di nuovo la marcia per la pace da Perugia ad Assisi, che fu ideata da Aldo Capitini e realizzata per la prima volta nel 1961: è nel nostro paese la più importante, la più partecipata, ed anche la più commovente iniziativa per la pace, il disarmo e la smilitarizzazione.

La marcia Perugia-Assisi convoca ogni persona di volontà buona, ogni associazione civile ed ogni istituzione democratica a ripudiare la guerra (così come vuole la Costituzione della Repubblica italiana), a costruire la pace, a salvare le vite, a scegliere la nonviolenza.

La marcia Perugia-Assisi è profonda un'esperienza di consapevolezza, nitida un'ora di verità e ineludibile un appello alla responsabilità.

La marcia, secondo una bella espressione capitiniana, è una "assemblea itinerante", ed il suo significato primario è proprio nell'esperienza del camminare assieme, ascoltando e parlando. E non vi è speranza di agire per la pace se non si è capaci di camminare assieme, ascoltando e parlando.

Personalmente non attribuisco grande importanza né alle piattaforme di convocazione, né ai più o meno pomposi e fioriti discorsi conclusivi: non è lì la marcia. Né sto a cavillare sulla coerenza, i limiti, le contraddizioni o l'ipocrisia di chi vi prende parte: se non è solo una comparsata ad uso delle telecamere, esserci fa comunque bene a chiunque.

Perché quali che siano i difetti e gli errori e gli orrori e i deliri di chi vi prende parte, la marcia ha la sua ragione e la sua forza. E la sua ragione è l'affermazione del primario diritto di ogni essere umano a non essere ucciso, del primario diritto di ogni essere umano alla vita, alla dignità, alla solidarietà; e quindi del primario dovere di ogni essere umano a non uccidere, del primario dovere di ogni essere umano a soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto. E la sua forza è nell'evidenza del vero e profondo e concreto legame che essa istituisce tra le persone e tra le persone e la natura lungo il cammino che tra la città di Aldo Capitini e quella di Francesco di Bernardone squaderna la bellezza del paesaggio umbro e della storica presenza umana lì testimoniata in colture e monumenti di sublime civiltà, prova provata di autentica convivenza: tu cammini e respiri, e respiri la natura che vive, il vento della storia, la preziosa presenza umana di coloro che furono e di coloro che sono - e il presagio di coloro che saranno, se la guerra non ci spazzerà via tutti -; tu cammini e senti e sai come l'umanità potrebbe essere, come l'umanità dovrebbe essere: lo sai perché in quel camminare ascoltando e parlando, nel silenzio e nelle parole, nei pensieri e nei sentimenti condivisi, tu stesso già sei quell'umanità avvenire finalmente riconciliata, qui ed ora trovandoti e percependoti - con la mente e col cuore - persona umana tra persone umane, nella bellezza del mondo.

L'umanità come potrebbe essere, l'umanità come dovrebbe essere: l'umanità in cammino, fraterna e sororale, di persone libere e responsabili, tutte irriducibilmente diverse e tutte eguali in diritti; l'umanità plurale di ogni diversità ed una nel suo vero essere, nella più intima sua coscienza.

Poi, certo, so bene che già sugli autobus del ritorno tornerà a prevalere l'atmosfera della gita scolastica o della trasferta del tifoso o della missione compiuta del militante. E so anche che molti (che non sanno che dalla televisione parlano sempre e solo gli assassini e i loro complici) delegheranno poi ai mass-media, o ai prominenti che dai mass-media parlano, i pensieri sulla marcia che da sè dovrebbero pensare, poiché la marcia non è altra cosa che le persone che hanno marciato e col loro camminare l'hanno fatta esistere, poiché il cammino è il camminare e non altro (come scrisse Antonio Machado: "Caminante, no hay camino,/ se hace camino al andar"). E so che dal lunedì per molti resterà solo il ricordo della scampagnata, e che addirittura vi sarà chi penserà che fatta la buona azione - una volta all'anno - si è pagato dazio alla civiltà e si può tornare alla quotidiana barbarie.

Ma la marcia è una spina nel fianco e una talpa che scava.

Ma la marcia ti interroga ancora, se vuoi, se sai ascoltarla: e ti chiama al pensiero che si oppone alla menzogna e alla violenza, e ti chiama alla lotta che al male si oppone. Ti chiama a non fermarti più, a voler proseguire il cammino della nonviolenza, che è il cammino della liberazione dell'umanità, che è il cammino della civile convivenza, della compassione e della lotta contro ogni ingiustizia, contro ogni oppressione, contro ogni viltà, contro ogni rassegnazione al male.

Opporsi alla guerra e a tutte le uccisioni.

Opporsi al razzismo e a tutte le persecuzioni.

Opporsi al maschilismo e a tutte le oppressioni.

Difendere i diritti umani di tutti gli esseri umani.

Difendere il mondo vivente casa comune dell'umanità che è una.

Pace, disarmo, smilitarizzazione.

Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Solo la nonviolenza può salvare l'umanità.