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LA DIVINA PROVVIDENZA

Primavera 1944.
Undici anni, di origine ebraica, ero nascosto alla Casa Alpina di Motta, una specie di collegio, ma non proprio, fondata e gestita da un prete molto in gamba, don Luigi Re, che mi aveva accolto sapendo chi ero, sotto le mentite spoglie del povero Franco Bernardi (detto Franchino, ma anche “crapa pelada” avendola da poco scampata dal tifo). Figuravo nato a Brindisi e i miei genitori erano rimasti tagliati fuori dall'avanzata degli alleati.
Una situazione molto simile a quella presentata da Louis Malle in “Arrivederci ragazzi”. Più semplice perché i miei un paio d'anni prima avevano ritenuto opportuno farmi battezzare e quindi il problema religione non esisteva.

Il Giorno della Memoria è stato istituito nel giorno in cui 69 anni fa i soldati dell'Armata Rossa abbatterono i cancelli del lager di Auschwitz e vi entrarono rivelandone l'orrore. E sacrosanto è stato aver stabilito un giorno in cui ricordare quell'abisso incancellabile. Ma, come per ogni ritualizzazione, quella ferita sanguinante si scontra con il rischio della museificazione da una parte e della falsa coscienza dall'altra.

Poco numerosi, relativamente ben integrati nel tessuto sociale e nelle istituzioni, concentrati nelle città, gli ebrei italiani parlavano la stessa lingua dei loro connazionali e avevano abitudini così simili da riuscire in pratica indistinguibili. Nonostante la tradizione dell'antigiudaismo cristiano e la propaganda del regime, non esisteva un diffuso antiebraismo radicale.

Condividiamo le recensioni di Anna Bravo di "A un passo dalla salvezza. La politica svizzera di respingimento degli ebrei durante le persecuzioni 1933-1945" (di Silvana Calvo) e "La persecuzione antiebraca dal fascismo al dopoguerra" (di Fabio Levi)."


Pubblicato sul n. 60 del foglio "Minime della nonviolenza", del Centro di Ricerca per la Pace.


"Una città" intervista Annette Wieviorka sulla memoria dell'irreparabile

Dalla rivista "Una città", n. 84, marzo 2000 (disponibile anche nel sito: Una città) riprendiamo la seguente intervista lì apparsa col titolo "La memoria dell'irreparabile" e con il seguente sommario: "La convocazione del testimone in quanto "presenza del passato fra di noi" rischia di contribuire alla banalizzazione della Shoah. Tanti superstiti non vollero identificarsi nel sopravvissuto. Il cambiare delle testimonianze nel tempo.