Da "Azione nonviolenta", maggio 2007 (disponibile anche nel sito www.nonviolenti.org), col titolo "Il diritto di stare al freddo mentre il pianeta si scalda", pubblicato su Voci e Volti della nonviolenza, n. 70 del 27 giugno 2007.
Da dodici anni Sheila Watt-Cloutier fa qualcosa che suona un pò strano: come dice lei stessa, difende per il proprio popolo, gli Inuit, "il diritto di stare al freddo". Le vite degli Inuit, infatti, sono direttamente minacciate dal surriscaldamento globale. Sheila vive in una remota comunità del circolo polare artico e quest'anno il suo nome è fra i 181 segnalati per il premio Nobel. "È stato un compito duro e difficile portare all'esterno il nostro messaggio. Non siamo che 155.000 e viviamo letteralmente in capo al mondo, per cui molta gente non sapeva neppure che esistiamo".
Ma Sheila, una donna ordinaria e comune, senza alcun aggancio politico, ha saputo usare molto bene ciò di cui è fornita: determinazione e forza d'animo. Ha prodotto e partecipato a documentari, ha rilasciato interviste, presentato appelli, ha narrato la storia del suo popolo davanti al governo canadese e alle Nazioni Unite. "Cos'ho fatto? In realtà tutto quel che ho fatto è stato dare un volto umano alla devastazione provocata dal surriscaldamento del pianeta, agli effetti che essa ha sulle persone reali, sulle loro vite e sul loro ambiente".
Basta ascoltarla, mentre narra di gente inghiottita dal ghiaccio che si assottiglia, del cibo che diventa sempre più scarso, delle strade che si sciolgono, delle case che franano; degli inquinanti che hanno intossicato persino il latte delle donne Inuit, che non possono più nutrire al seno i loro piccoli e della presenza di piante e animali così estranei all'ambiente che la lingua Inuit non ha parole per definirli.
L'organizzazione che Sheila rappresenta (Conferenza Inuit del circolo polare artico, in sigla Icc) ha commissionato studi e ne ha effettuati di propri, provando che la temperatura nell'Artico si sta alzando con velocità doppia rispetto al resto del mondo. "Noi ne sperimentiamo gli effetti su base giornaliera. E perciò siamo i guardiani dell'ambiente, un segnale d'allarme anche per voi. A me basta mettermi alla finestra: da casa mia, a Iqaluit, io posso vedere con i miei stessi occhi la cappa polare che si scioglie, i ghiacci andare alla deriva. Non sto parlando di teorie su ciò che accadrà in futuro, sto parlando di ciò che accade oggi. E neppure è tutto, ciò che si vede in superficie. I ghiacci si sciolgono da sotto, e quello che noi sapevamo su come maneggiarli, tutta la saggezza che trasmettevamo alle giovani generazioni non ha più senso. Molti dei nostri anziani sono completamente sotto shock, per questo fatto".
Sheila è nata nel 1953 nella città di Kuujjuaq (Quebec del nord) e per i primi dieci anni della sua vita l'unico mezzo di trasporto che ha conosciuto è stata la slitta tirata dai cani. Sua madre era una guaritrice ed una guida spirituale molto nota, così Sheila è stata profondamente immersa sin da bambina nella cultura del suo popolo. Dopo essersi laureata all'Università di Montreal ha sempre lavorato nella sanità pubblica, offrendosi come "ponte" grazie alla sua ottima conoscenza di inglese e francese oltre che dell'inuktitut, la sua lingua madre. Sua figlia è rinomata nelle arti Inuit, fra cui il "canto di gola" e la danza al suono del tamburo.
Nel 1995, quando fu eletta presidente dell'Icc, Sheila si gettò a capofitto nella lotta contro il surriscaldamento globale e contribuì alla stesura della Convenzione di Stoccolma, in cui furono messi al bando la produzione e il commercio di un gruppo di sostanze chimiche accertate come inquinanti permanenti, il cui uso agricolo ed industriale aveva causato intossicazioni agli Inuit.
"Sì, anche noi abbiamo linee aree e camion, ma la verità è che il nostro contributo al problema è piccolissimo e che ne siamo sempre più consci.
L'inquinamento ci viene da fuori. Il 26% dei gas che contribuiscono al surriscaldamento li producono gli Usa".
Forse, nel prossimo ottobre, il premio Nobel andrà a qualcun altro, ma la "nomination" di Sheila Watt-Cloutier concentra un pò d'attenzione sul problema di cui lei e la sua gente si stanno occupando. Un'attenzione che dovrebbe essere molto maggiore, se vogliamo che gli Inuit, noi stessi e l'intero pianeta sopravviviamo alla sconsiderata avidità delle azioni umane.
Da dodici anni Sheila Watt-Cloutier fa qualcosa che suona un pò strano: come dice lei stessa, difende per il proprio popolo, gli Inuit, "il diritto di stare al freddo". Le vite degli Inuit, infatti, sono direttamente minacciate dal surriscaldamento globale. Sheila vive in una remota comunità del circolo polare artico e quest'anno il suo nome è fra i 181 segnalati per il premio Nobel. "È stato un compito duro e difficile portare all'esterno il nostro messaggio. Non siamo che 155.000 e viviamo letteralmente in capo al mondo, per cui molta gente non sapeva neppure che esistiamo".
Ma Sheila, una donna ordinaria e comune, senza alcun aggancio politico, ha saputo usare molto bene ciò di cui è fornita: determinazione e forza d'animo. Ha prodotto e partecipato a documentari, ha rilasciato interviste, presentato appelli, ha narrato la storia del suo popolo davanti al governo canadese e alle Nazioni Unite. "Cos'ho fatto? In realtà tutto quel che ho fatto è stato dare un volto umano alla devastazione provocata dal surriscaldamento del pianeta, agli effetti che essa ha sulle persone reali, sulle loro vite e sul loro ambiente".
Basta ascoltarla, mentre narra di gente inghiottita dal ghiaccio che si assottiglia, del cibo che diventa sempre più scarso, delle strade che si sciolgono, delle case che franano; degli inquinanti che hanno intossicato persino il latte delle donne Inuit, che non possono più nutrire al seno i loro piccoli e della presenza di piante e animali così estranei all'ambiente che la lingua Inuit non ha parole per definirli.
L'organizzazione che Sheila rappresenta (Conferenza Inuit del circolo polare artico, in sigla Icc) ha commissionato studi e ne ha effettuati di propri, provando che la temperatura nell'Artico si sta alzando con velocità doppia rispetto al resto del mondo. "Noi ne sperimentiamo gli effetti su base giornaliera. E perciò siamo i guardiani dell'ambiente, un segnale d'allarme anche per voi. A me basta mettermi alla finestra: da casa mia, a Iqaluit, io posso vedere con i miei stessi occhi la cappa polare che si scioglie, i ghiacci andare alla deriva. Non sto parlando di teorie su ciò che accadrà in futuro, sto parlando di ciò che accade oggi. E neppure è tutto, ciò che si vede in superficie. I ghiacci si sciolgono da sotto, e quello che noi sapevamo su come maneggiarli, tutta la saggezza che trasmettevamo alle giovani generazioni non ha più senso. Molti dei nostri anziani sono completamente sotto shock, per questo fatto".
Sheila è nata nel 1953 nella città di Kuujjuaq (Quebec del nord) e per i primi dieci anni della sua vita l'unico mezzo di trasporto che ha conosciuto è stata la slitta tirata dai cani. Sua madre era una guaritrice ed una guida spirituale molto nota, così Sheila è stata profondamente immersa sin da bambina nella cultura del suo popolo. Dopo essersi laureata all'Università di Montreal ha sempre lavorato nella sanità pubblica, offrendosi come "ponte" grazie alla sua ottima conoscenza di inglese e francese oltre che dell'inuktitut, la sua lingua madre. Sua figlia è rinomata nelle arti Inuit, fra cui il "canto di gola" e la danza al suono del tamburo.
Nel 1995, quando fu eletta presidente dell'Icc, Sheila si gettò a capofitto nella lotta contro il surriscaldamento globale e contribuì alla stesura della Convenzione di Stoccolma, in cui furono messi al bando la produzione e il commercio di un gruppo di sostanze chimiche accertate come inquinanti permanenti, il cui uso agricolo ed industriale aveva causato intossicazioni agli Inuit.
"Sì, anche noi abbiamo linee aree e camion, ma la verità è che il nostro contributo al problema è piccolissimo e che ne siamo sempre più consci.
L'inquinamento ci viene da fuori. Il 26% dei gas che contribuiscono al surriscaldamento li producono gli Usa".
Forse, nel prossimo ottobre, il premio Nobel andrà a qualcun altro, ma la "nomination" di Sheila Watt-Cloutier concentra un pò d'attenzione sul problema di cui lei e la sua gente si stanno occupando. Un'attenzione che dovrebbe essere molto maggiore, se vogliamo che gli Inuit, noi stessi e l'intero pianeta sopravviviamo alla sconsiderata avidità delle azioni umane.