C’è una gabbia che si chiama PAURA
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C’è una gabbia che si chiama PAURA.
Rende l’orizzonte funesto, perché lo costella di minacce.
Forse è questa gabbia deformante che ha indotto il candidato presidente della regione Lombardia della Lega, Attilio Fontana, a paventare un disegno di auto-eliminazione e affermare: «[I migranti] sono molti più di noi e molto più determinati nell'occupare questo territorio. …Dobbiamo decidere se la nostra etnia, se la nostra razza bianca, se la nostra società deve continuare a esistere o se deve essere cancellata».
Papa Francesco diffonde a fine anno 2017 questo cartoncino: Nagasaki, 1945. Un ragazzo con in spalla il fratellino morto nel bombardamento atomico, attende il suo turno per far cremare il corpicino senza vita. Immagine scattata dal fotografo statunitense Joseph Roger O’Donnell dopo il bombardamento. Ieri, 31 dicembre 2017, ho partecipato alla 50a marcia per la pace indetta da Pax Christi, sul tema "Migranti e rifugiati. Uomini e donne in cerca di pace". E' stata un'esperienza intensa e un messaggio forte. Almeno 500 persone, e 8 vescovi, hanno dichiarato, alla società e alla politica, la volontà del popolo cristiano ecumenico e del dialogo interreligoso, di due maggiori obiettivi: accoglienza a migranti e rifugiati ("accogliere, proteggere, promuovere, integrare", dice papa Francesco), e disarmo, a cominciare dalla ratifica italiana del bando Onu delle armi nucleari.
Il tempo continua a scorrere, tranquillo, sempre uguale. Le nostre convenzioni, i nostri 'anni', gli sono assolutamente indifferenti. Nonostante ciò, noi possiamo decidere di dare un senso al tempo che viviamo, inventarci sempre un tempo nuovo, costruire ogni giorno non solo il presente, ma anche il tempo che verrà: possiamo dare un'opportunità al mondo che vogliamo.
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Il frutto della guerra
Riflessione partecipando alla 50ma marcia per la pace indetta da Pax Christi
Costruire ogni giorno non solo il presente, ma anche il tempo che verrà