Donne in Iraq (Natasha Walzer)
- Accademia Apuana della Pace
- Categoria: Conflitti
- Visite: 966
Tratto da "Nonviolenza. Femminile plurale", n. 66 del 1 giugno 2006
(Traduzione di Maria G. Di Rienzo dell'articolo pubblicato su "The Guardian)
Le donne in Iraq stanno vivendo un incubo nascosto all'occidente. Una di esse è diventata regista proprio per aprire a noi una finestra su ciò che le donne sopportano.
Rayya Osseilly, ad esempio, è una medica irachena che si prende cura delle altre donne nell'assediata città di Qaim. Non è sorprendente che la sua testimonianza non sia felice. "Non provo mai la sensazione che l'oggi sia migliore di ieri", dice nel filmato. Guardando ai resti bombardati dell'ospedale in cui lavora, è chiaro contro quali difficoltà stia lottando.
Non è usuale che sia dia uno sguardo più da vicino a cosa accade alle donne in città come Qaim, che ha subito un pesante attacco dalle truppe americane l'anno scorso. L'accesso ai media occidentali è severamente ristretto. Ora, tuttavia, abbiamo uno squarcio di questa realtà grazie ad una donna irachena che ha viaggiato per l'intero paese e ha parlato con vedove e bambine, dottoresse e studentesse, cercando la verità delle vite delle sue connazionali.
(Traduzione di Maria G. Di Rienzo dell'articolo pubblicato su "The Guardian)
Le donne in Iraq stanno vivendo un incubo nascosto all'occidente. Una di esse è diventata regista proprio per aprire a noi una finestra su ciò che le donne sopportano.
Rayya Osseilly, ad esempio, è una medica irachena che si prende cura delle altre donne nell'assediata città di Qaim. Non è sorprendente che la sua testimonianza non sia felice. "Non provo mai la sensazione che l'oggi sia migliore di ieri", dice nel filmato. Guardando ai resti bombardati dell'ospedale in cui lavora, è chiaro contro quali difficoltà stia lottando.
Non è usuale che sia dia uno sguardo più da vicino a cosa accade alle donne in città come Qaim, che ha subito un pesante attacco dalle truppe americane l'anno scorso. L'accesso ai media occidentali è severamente ristretto. Ora, tuttavia, abbiamo uno squarcio di questa realtà grazie ad una donna irachena che ha viaggiato per l'intero paese e ha parlato con vedove e bambine, dottoresse e studentesse, cercando la verità delle vite delle sue connazionali.
Guerre (Rossana Rossanda)
- Accademia Apuana della Pace
- Categoria: Conflitti
- Visite: 1067
Tratto dal n. 1330 del 18 giugno di La nonviolenza è in cammino, pubblicato sul quotidiano "Il manifesto" del 16 giugno 2006.
Il ritiro italiano dall'Iraq era stato promesso da Prodi ed era la logica conseguenza del giudizio dato sulla guerra di Bush: una guerra sbagliata.
Che il ritiro fosse condizionato a tempi tecnici - manifestamente non solo l'allestimento dei camion o degli aerei - era per non somigliare a Zapatero; piccola viltà ma pazienza. Senonché il tempo passa e i "tempi tecnici" si prolungano, col governo iracheno, con gli umori della coalizione e con quelli di Bush. Non irritare Bush, invocano Prodi e D'Alema. Andarsene ma piano e in punta di piedi. Per ora la brigata Sassari è stata sostituita dalla Garibaldi a ranghi ridotti. Il resto si vedrà dopo, in agosto o a ottobre o entro la fine dell'anno. Ma anche Berlusconi prevedeva di andarsene entro l'anno. E, un giorno sì e un altro no, un ritiro lo ventila lo stesso Bush. L'ideale del nostro governo sembra, diciamo la verità, poter andarsene con la sua benedizione, invece che con l'iraconda battuta di Donald Rumsfeld: "E se ne vadano, non cambia niente". Infatti, non siamo mai stati decisivi militarmente, ma qualcuno dei nostri militari ci ha lasciato la vita. E decisivi eravamo per coprire l'unilateralismo degli Usa. Questo è stato grave, e a questo ci si aspetta che il nuovo governo metta fine in modo netto.
Il ritiro italiano dall'Iraq era stato promesso da Prodi ed era la logica conseguenza del giudizio dato sulla guerra di Bush: una guerra sbagliata.
Che il ritiro fosse condizionato a tempi tecnici - manifestamente non solo l'allestimento dei camion o degli aerei - era per non somigliare a Zapatero; piccola viltà ma pazienza. Senonché il tempo passa e i "tempi tecnici" si prolungano, col governo iracheno, con gli umori della coalizione e con quelli di Bush. Non irritare Bush, invocano Prodi e D'Alema. Andarsene ma piano e in punta di piedi. Per ora la brigata Sassari è stata sostituita dalla Garibaldi a ranghi ridotti. Il resto si vedrà dopo, in agosto o a ottobre o entro la fine dell'anno. Ma anche Berlusconi prevedeva di andarsene entro l'anno. E, un giorno sì e un altro no, un ritiro lo ventila lo stesso Bush. L'ideale del nostro governo sembra, diciamo la verità, poter andarsene con la sua benedizione, invece che con l'iraconda battuta di Donald Rumsfeld: "E se ne vadano, non cambia niente". Infatti, non siamo mai stati decisivi militarmente, ma qualcuno dei nostri militari ci ha lasciato la vita. E decisivi eravamo per coprire l'unilateralismo degli Usa. Questo è stato grave, e a questo ci si aspetta che il nuovo governo metta fine in modo netto.
Afghanistan, che fare? (Sergio Baronetto)
- Accademia Apuana della Pace
- Categoria: Conflitti
- Visite: 948
Tratto dal n. 1330 del 18 giugno di La nonviolenza è in cammino
Leggo dell'ipotesi di mandare più soldati in Afghanistan. Secondo il generale Tricarico, capo di stato maggiore dell'aeronautica, sei aerei Amx sono pronti a partire. L'idea mi sembra non solo incoerente con il programma della coalizione politica oggi al governo ma anche del tutto controproducente proprio ai fini della lotta al terrorismo e del ripristino della democrazia.
Leggo dell'ipotesi di mandare più soldati in Afghanistan. Secondo il generale Tricarico, capo di stato maggiore dell'aeronautica, sei aerei Amx sono pronti a partire. L'idea mi sembra non solo incoerente con il programma della coalizione politica oggi al governo ma anche del tutto controproducente proprio ai fini della lotta al terrorismo e del ripristino della democrazia.
Che senso hanno queste guerre che nessuno vincerà mai? (Berardi Bifo)
- Accademia Apuana della Pace
- Categoria: Conflitti
- Visite: 1245
Pubblicato su "Liberazione" e sul sito di ATTAC il giorno 11 luglio 2006 2006 ( Articolo)
Il dibattito che si sta svolgendo in questi giorni sulla questione del rifinanziamento della missione in Afghanistan non può esaurirsi con la decisione parlamentare condizionata dal ricatto politico della destra, né ridursi al problema di ritirare le truppe dallAfghanistan, chiudendo gli occhi davanti alla catastrofe umanitaria che venticinque anni di guerra hanno provocato.
Il problema che oggi si pone con urgenza è quello di comprendere la natura della guerra iniziata dopo l11 settembre del 2001 e di indicare una via duscita se questo è possibile.
Nella guerra afgana come in quella irachena è contenuto un paradigma di devastazione originale rispetto alla storia delle guerre moderne. Le guerre moderne erano decise, provocate e condotte da stati nazionali o da coalizioni di stati che si proponevano di vincere per imporre un nuovo ordine, di espandere il loro territorio e così via. Ora non è più così. Quando il presidente americano dichiarò che la sua guerra aveva carattere preventivo e infinito, intendeva che questa guerra non è combattuta per vincere ma per rendere possibile una devastazione e una rapina illimitata nello spazio e nel tempo.
Il dibattito che si sta svolgendo in questi giorni sulla questione del rifinanziamento della missione in Afghanistan non può esaurirsi con la decisione parlamentare condizionata dal ricatto politico della destra, né ridursi al problema di ritirare le truppe dallAfghanistan, chiudendo gli occhi davanti alla catastrofe umanitaria che venticinque anni di guerra hanno provocato.
Il problema che oggi si pone con urgenza è quello di comprendere la natura della guerra iniziata dopo l11 settembre del 2001 e di indicare una via duscita se questo è possibile.
Nella guerra afgana come in quella irachena è contenuto un paradigma di devastazione originale rispetto alla storia delle guerre moderne. Le guerre moderne erano decise, provocate e condotte da stati nazionali o da coalizioni di stati che si proponevano di vincere per imporre un nuovo ordine, di espandere il loro territorio e così via. Ora non è più così. Quando il presidente americano dichiarò che la sua guerra aveva carattere preventivo e infinito, intendeva che questa guerra non è combattuta per vincere ma per rendere possibile una devastazione e una rapina illimitata nello spazio e nel tempo.
Pagina 4 di 20