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Dietrich Bonhoeffer (1906-1945) pastore evangelico tedesco imprigionato e ucciso dal regime nazista per aver creato, insieme ad altri, un fronte di opposizione e resistenza all’interno della chiesa luterana tedesca: questo fronte si chiamò “Chiesa confessante” (cioè che confessa Gesù Cristo come unico Signore, e non riconosce autorità simile al Fuehrer). La Chiesa confessante si espresse con alcuni Sinodi clandestini di cui il più importante fu quello di Barmen, 1934, in cui si affermò l’autonomia della chiesa dalla dittatura dello Stato (che voleva imporre vescovi nominati dallo Stato e l’applicazione del paragrafo ariano anche all’interno della chiesa). Bonhoeffer fu tra i professori del seminario clandestino della Chiesa confessante, che formava pastori per le chiese che vivevano nella resistenza.
Di lui si è celebrato nel 2006 il centenario dalla nascita.

La sua figura ha costituito un punto di riferimento importante per tutta la teologia, protestante e cattolica, del dopo-guerra. Nei due anni in cui rimase in carcere scrisse infatti delle lettere in cui sviluppava intuizioni su come stavano cambiando la società e la fede (“Resistenza e Resa”. Lettere e scritti dal carcere, ed. Paoline). Le due assemblee ecumeniche europee (Basilea 1989 e Graz 1997) che hanno raccolto per la prima volta da 500 anni le tre confessioni cristiane divise, hanno preso spunto dalla sua proposta di “un grande concilio ecumenico per la pace”, lanciata nel 1934.

(sermone pronunciato nella chiesa battista di Ebenezer, ad Atlanta, il 3 marzo 1968)

Pubblicato su “Voci e volti della nonviolenza”, n. 76 del 6 luglio 2007


Immagino che uno dei grandi tormenti della vita sia che non smettiamo mai di cercare di terminare quel che non può essere terminato. Ci viene imposto di farlo. E così anche noi, come Davide, in tante circostanze della vita dobbiamo arrenderci ai fatti: i nostri sogni non si sono realizzati.
La vita è una serie continua di sogni infranti. Il Mahatma Gandhi si è adoperato per anni e anni per l'indipendenza del suo popolo. Ma Gandhi ha dovuto arrendersi al fatto di essere stato assassinato e di morire con il cuore spezzato, perché il paese che voleva unificare alla fine è stato diviso fra India e Pakistan, in conseguenza del conflitto fra indù e musulmani.
Woodrow Wilson sognava una Lega delle Nazioni, ma è morto prima che la promessa fosse esaudita.

Pubblicato su “Voci e volti della nonviolenza”, n. 76 del 6 luglio 2007
Di Martin Luther King, come di Gandhi, sono note al largo pubblico più che altro le "immaginette" che ne dipingono un profilo a dir poco agiografico.
Non ci dobbiamo stancare di promuovere una conoscenza più autentica di queste persone che hanno cercato nella loro vita e nel loro pensiero la nonviolenza, sperimentando le modalità creative dell'azione nonviolenta.
Un esempio per comprendere quanto Martin Luther King sia assente da una comprensione diffusa lo si può ottenere semplicemente guardando a quanto delle sue opere è mantenuto in circolazione dagli editori nel nostro paese.
Si trova facilmente il celeberrimo La forza di amare, ma, a chi volesse andare un pò oltre, non risulta altrettanto semplice l'impresa di documentarsi: ad esempio riprendendo l'interesse che una parte dell'editoria italiana manifestò alla fine degli anni sessanta mettendo in circolazione altre traduzioni, di opere di sicuro interesse, come Marcia verso la libertà (Andò, Palermo 1968) - che è il resoconto che egli pubblicò agli inizi del 1959 sull'esperienza di lotta a Montgomery -; Lettera dal carcere (La locusta, Vicenza 1968); Il fronte della coscienza (Sei, Torino 1968), Perché non possiamo aspettare (Andò, Palermo 1970), Dove stiamo andando, verso il caos o la comunità? (Sei, Torino 1970).
Negli Stati Uniti centinaia di articoli, libri e dissertazioni continuano ad essere prodotti su King e il movimento per i diritti civili. Da noi non giunge nemmeno l'eco di questo fermento, come che sia. È necessario che anche in Italia giovani studiosi e persone interessate progettino ricerca attorno alla raccolta dei suoi scritti.

Pubblicato su “La domenica della nonviolenza”, n. 120 del 15 luglio 2007 (dal sito Danilo Dolci nell'Accademia del Villaggio Globale - teso disponibile anche nel sito Laboratorio maieutico toscano), riprendiamo il seguente intervento di Lamberto Borghi dal titolo "Un insulto alla coscienza pubblica" del 1956, di solidarieta' con Danilo Dolci.

Danilo Dolci è chiuso nella famigerata prigione palermitana dell'Ucciardone dal 2 febbraio. Vi è chiuso con cinque compagni che presero parte la mattina di quel giorno insieme con alcune centinaia di braccianti di Partinico al tentativo di aggiustare una quasi impraticabile strada di campagna nell'immediata periferia di quel comune. Le autorità di polizia hanno accusato Dolci e i compagni di avere effettuato una "manifestazione sediziosa", di essersi resi colpevoli di "reati di resistenza e di oltraggio alla forza pubblica", di "abusiva conduzione di lavori sul suolo pubblico", di "rifiuto all'ordine di scioglimento", e altre simili gravi infrazioni alla legge.
L'arresto di Dolci è stato un insulto alla coscienza pubblica e ha sollevato in tutto il Paese una vera ondata di indignazione e di protesta.
Ha suscitato la "questione morale" contro i metodi impiegati dal governo per far fronte alla implacabile inquietudine delle classi contadine meridionali causata da una intollerabile situazione di miseria e di abbandono.
Con la sua azione, assecondata involontariamente dalla polizia e dal governo, Danilo Dolci è riuscito a far convergere gli occhi di tutta Italia su Partinico, sulle Spine Sante, sul Vallone di Trappeto.
La sconfitta della polizia e del governo è resa evidente dal fatto di avere voluto fare apparire come un "agitatore" e come un violente Danilo Dolci che, con mezzi nonviolenti, metteva in rilievo la violenza della situazione esistente non soltanto a Partinico, ma in gran parte del Mezzogiorno.