Retinopera ad Alessano sulle orme di Don Tonino Bello
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Incontro su "Beati gli operatori di Pace" è il tema di un'inziativa organizzata dall'Associazione Retinopera di San Pancrazio Salentino per Domenica 24 Giugno 2007.
Morire per diamanti, rinascere per la pace (Di Rienzo Maria)
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Da "Azione nonviolenta", marzo 2007 (disponibile anche nel sito www.nonviolenti.org), col titolo "Morire per i diamanti, rinascere per la pace", pubblicato su Voci e Volti della nonviolenza, n. 70 del 27 giugno 2007.
Arrendersi alla rabbia e al dolore sarebbe stato facile. Hindolo Pokawa ha visto i membri della sua famiglia massacrati. Ha visto vicini di casa mutilare altri vicini. Era spaventato, minacciato, si sentiva privo di potere e finì per fuggire dal suo paese, la Sierra Leone, nello Zimbabwe.
Aveva 18 anni, ed era convinto che un giorno sarebbe tornato per vendicarsi e predicare la guerra. Invece, sta per tornare a casa con l'intento di costruire percorsi di pace.
Oggi Hindolo Pokawa ha 30 anni, ed è un membro di Nonviolent Peaceforce, il gruppo che sta lavorando da qualche anno alla costruzione di una forza di pace internazionale impegnata nell'intervento nonviolento di "terza parte".
Arrendersi alla rabbia e al dolore sarebbe stato facile. Hindolo Pokawa ha visto i membri della sua famiglia massacrati. Ha visto vicini di casa mutilare altri vicini. Era spaventato, minacciato, si sentiva privo di potere e finì per fuggire dal suo paese, la Sierra Leone, nello Zimbabwe.
Aveva 18 anni, ed era convinto che un giorno sarebbe tornato per vendicarsi e predicare la guerra. Invece, sta per tornare a casa con l'intento di costruire percorsi di pace.
Oggi Hindolo Pokawa ha 30 anni, ed è un membro di Nonviolent Peaceforce, il gruppo che sta lavorando da qualche anno alla costruzione di una forza di pace internazionale impegnata nell'intervento nonviolento di "terza parte".
Appello al Parlamento
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Onorevoli deputate e deputati, onorevoli senatrici e senatori,
questo appello, scritto nell'ora tragica in cui le vittime di guerra italiane dei due teatri di guerra Iraq e Afghanistan tornano in Italia per ricevere i funerali di Stato, cade anche nel momento in cui il nuovo Parlamento della Repubblica inizia i suoi lavori.
Vorremmo che fosse un nuovo inizio o meglio una svolta. Una decisa svolta in politica estera con scelte coraggiose per una vera politica di disarmo, per attuare con scelte concrete l'art. 11 della nostra Costituzione.
Poiche', secondo l'art. 11, non e' possibile usare la guerra come mezzo per risolvere le crisi internazionali, la prima scelta che si impone, che chiediamo al nuovo Parlamento, e' quella di interrompere le missioni militari in teatri di guerra e ritirare le truppe italiane dall'Iraq e dall'Afghanistan.
L'unica verita' della guerra sono le sue vittime.
Purtroppo in tanti ci accorgiamo di questa verita' solo quando le vittime sono i soldati italiani e fatichiamo a realizzare questa stessa verita' quando le vittime non le vediamo, sono "altre", anche se abbiamo saputo in modo indiretto che migliaia di persone sono state trucidate a Falluja, a Ramadi, torturate ad Abu Graib, bombardate nei villaggi afgani o saltate in aria e mutilate dalle clusters bombs sia in Afghanistan che in Iraq.
Ma se e' vero che l'unica verita' della guerra sono le sue vittime, se e' vero che in nome di questa verita' migliaia di persone sono scese in piazza con la bandiera arcobaleno nel nostro paese, reclamando una politica di pace, allora Vi chiediamo, facendo appello alla liberta' di coscienza, ed al rispetto dell'art. 11 della nostra Costituzione, di porre fine alla presenza militare italiana in Iraq e in Afghanistan, decidendo di non rifinanziare queste missioni di guerra.
Le missioni di pace devono tendere alla pacificazione e alla ricostruzione, pertanto dovrebbero essere senza armi, a nostro parere, senza eserciti, fondate sulla cooperazione con gli altri popoli, sulla diplomazia, sul dialogo e la solidarieta'. L'intero sistema di intervento va ripensato all'insegna di una nuova politica estera.
Ma per l'immediato, per salvare vite umane, per interrompere la spirale di morte, per operare una pressione internazionale che provochi la fine delle occupazioni militari, chiediamo che il Parlamento italiano dia un segnale forte di discontinuita', immediatamente e senza ambiguita'.
Il nostro saluto sia con le parole di Gandhi: "Non c'e' una strada che porta alla pace, la pace e' la strada".
*
Primi firmatari: Luigi Ciotti, Tonio Dell'Olio, Gino Strada, Alex Zanotelli.
*
I primi firmatari di questo appello sollecitano l'adesione di tutte le
persone e le associazioni che si sentono impegnate per la pace e la difesa dell'art. 11 della Costituzione per rendere visibile l'ampia unita' del popolo della pace.
Le adesioni si raccolgono inviando una mail a:Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
questo appello, scritto nell'ora tragica in cui le vittime di guerra italiane dei due teatri di guerra Iraq e Afghanistan tornano in Italia per ricevere i funerali di Stato, cade anche nel momento in cui il nuovo Parlamento della Repubblica inizia i suoi lavori.
Vorremmo che fosse un nuovo inizio o meglio una svolta. Una decisa svolta in politica estera con scelte coraggiose per una vera politica di disarmo, per attuare con scelte concrete l'art. 11 della nostra Costituzione.
Poiche', secondo l'art. 11, non e' possibile usare la guerra come mezzo per risolvere le crisi internazionali, la prima scelta che si impone, che chiediamo al nuovo Parlamento, e' quella di interrompere le missioni militari in teatri di guerra e ritirare le truppe italiane dall'Iraq e dall'Afghanistan.
L'unica verita' della guerra sono le sue vittime.
Purtroppo in tanti ci accorgiamo di questa verita' solo quando le vittime sono i soldati italiani e fatichiamo a realizzare questa stessa verita' quando le vittime non le vediamo, sono "altre", anche se abbiamo saputo in modo indiretto che migliaia di persone sono state trucidate a Falluja, a Ramadi, torturate ad Abu Graib, bombardate nei villaggi afgani o saltate in aria e mutilate dalle clusters bombs sia in Afghanistan che in Iraq.
Ma se e' vero che l'unica verita' della guerra sono le sue vittime, se e' vero che in nome di questa verita' migliaia di persone sono scese in piazza con la bandiera arcobaleno nel nostro paese, reclamando una politica di pace, allora Vi chiediamo, facendo appello alla liberta' di coscienza, ed al rispetto dell'art. 11 della nostra Costituzione, di porre fine alla presenza militare italiana in Iraq e in Afghanistan, decidendo di non rifinanziare queste missioni di guerra.
Le missioni di pace devono tendere alla pacificazione e alla ricostruzione, pertanto dovrebbero essere senza armi, a nostro parere, senza eserciti, fondate sulla cooperazione con gli altri popoli, sulla diplomazia, sul dialogo e la solidarieta'. L'intero sistema di intervento va ripensato all'insegna di una nuova politica estera.
Ma per l'immediato, per salvare vite umane, per interrompere la spirale di morte, per operare una pressione internazionale che provochi la fine delle occupazioni militari, chiediamo che il Parlamento italiano dia un segnale forte di discontinuita', immediatamente e senza ambiguita'.
Il nostro saluto sia con le parole di Gandhi: "Non c'e' una strada che porta alla pace, la pace e' la strada".
*
Primi firmatari: Luigi Ciotti, Tonio Dell'Olio, Gino Strada, Alex Zanotelli.
*
I primi firmatari di questo appello sollecitano l'adesione di tutte le
persone e le associazioni che si sentono impegnate per la pace e la difesa dell'art. 11 della Costituzione per rendere visibile l'ampia unita' del popolo della pace.
Le adesioni si raccolgono inviando una mail a:
Una lettera al presidente del consiglio (Mao Valpiana)
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(Fonte: "la nonviolenza è in cammino", n. 1318 del 6 giugno 2006)
Leggo su "il Messaggero" del 4 giugno 2006 un articolo di Fabrizio Rizzi a colloquio con il presidente del Consiglio dopo le polemiche sul 2 giugno.
Nell'articolo trovo scritto: "'Non capisco perché la pace e gli uomini in divisa non debbano andare d'accordo'. Il premier, Romano Prodi, risponde così, in un colloquio con 'Il Messaggero', alle critiche del fronte pacifista seguite alla parata militare del 2 Giugno ai Fori imperiali. Il Professore trascorre un week-end in famiglia, è sereno, ha il tono pacato.
"Questi uomini che hanno sfilato sono quelli che difendono e tutelano la pace. Non c'è alcuna contraddizione sul valore della pace e della libertà di tutti. Questo è quanto pensa il governo che così interpreta in maniera autentica lo spirito dell'articolo 11 della Costituzione. La pace è il fondamento della nostra Carta. Ed è l'obiettivo primario per l'Italia. Sono proprio gli uomini in divisa, che ne sono custodi, a vegliare su di essa in Italia e all'estero".
Leggo su "il Messaggero" del 4 giugno 2006 un articolo di Fabrizio Rizzi a colloquio con il presidente del Consiglio dopo le polemiche sul 2 giugno.
Nell'articolo trovo scritto: "'Non capisco perché la pace e gli uomini in divisa non debbano andare d'accordo'. Il premier, Romano Prodi, risponde così, in un colloquio con 'Il Messaggero', alle critiche del fronte pacifista seguite alla parata militare del 2 Giugno ai Fori imperiali. Il Professore trascorre un week-end in famiglia, è sereno, ha il tono pacato.
"Questi uomini che hanno sfilato sono quelli che difendono e tutelano la pace. Non c'è alcuna contraddizione sul valore della pace e della libertà di tutti. Questo è quanto pensa il governo che così interpreta in maniera autentica lo spirito dell'articolo 11 della Costituzione. La pace è il fondamento della nostra Carta. Ed è l'obiettivo primario per l'Italia. Sono proprio gli uomini in divisa, che ne sono custodi, a vegliare su di essa in Italia e all'estero".
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