Abbiamo bisogno che all'estero e anche in Italia ci sia chi denunci i crimini di guerra israeliani
Intervista di Sveva Haertter a Peretz Kidron, refusenik pubblicata su "Il Manifesto" del 15 gennaio 2009
Intervista di Sveva Haertter a Peretz Kidron, refusenik pubblicata su "Il Manifesto" del 15 gennaio 2009
Peretz Kidron è un refusenik israeliano. L'abbiano raggiunto al telefono per chiedergli lo stato del movimento in un momento in cui, a quanto dicono i sondaggi, l'attacco militare contro Gaza gode di un alto indice di approvazione nell'opinione pubblica di Israele.
Cosa si muove in Israele rispetto a quello che sta succedendo nella Striscia di Gaza?
Ci sono manifestazioni praticamente ogni giorno, anche davanti alla base dell'aviazione, in coincidenza con l'orario in cui prendono servizio i piloti. Non sono grandi, ma neanche piccole. L'esercito gode di un vasto sostegno dell'opinione pubblica, ma questo può cambiare da un momento all'altro. Quindi stanno molto attenti a come muoversi e cercano di evitare scontri diretti nelle strade. Anche le mobilitazioni a livello internazionale stanno producendo effetti: i portavoce dell'esercito sono sulla difensiva e cercano di spiegare passo dopo passo quello che succede, anche perché sono preoccupati delle ripercussioni future. In questo influisce anche il prossimo cambio della presidenza Usa. Obama non è Bush.
Sabato scorso a Tel Aviv c'è stata una manifestazione con tutte le varie realtà del movimento pacifista. Mi sembra un fatto rilevante anche per noi in Italia, dove sabato prossimo sono previste due manifestazioni nazionali in contemporanea ...
La manifestazione di cui parli era davanti al ministero della difesa. Non era grande, ma c'erano davvero tutte le realtà e il fatto rilevante è che non erano i «soliti noti», c'erano anche molti giovani. È importante lavorare per superare le divisioni e costruire mobilitazioni più ampie possibili. L'unico modo è quello di lavorare su poche parole d'ordine unificanti e che rimettano al centro il merito di quello che sta succedendo, lasciando fuori le questioni politiche, problema anche nostro ovviamente, ma è molto importante fare il possibile per superarlo.
E sul fronte del rifiuto cosa succede?
Come sempre nelle fasi iniziali di un conflitto, la risposta è debole. Poi c'è anche il fatto che l'esercito tende ad evitare di mettere in prigione quelli che rifiutano di rispondere alla chiamata, perché sa che se li mettono in carcere aumenta la visibilità. Sono molto attenti all'aspetto mediatico, perché vogliono uscire con una vittoria netta, anche per via di quello che è successo in Libano. Vogliono umiliare Hamas, farli capitolare. Di fatto i vertici militari si stanno muovendo come in una guerra per bande, mettono al centro concetti come «dignità», «onore» etc. Dietro i principi enunciati, di fatto lo schema è assolutamente primitivo. Questo peraltro vale anche per Hamas ed in questo quadro è evidente che un intervento esterno è indispensabile.
Voi avete fatto qualche tentativo di sensibilizzare i militari?
Abbiamo provato a pubblicare a pagamento un appello che invitava a non commettere crimini di guerra, ma la stampa lo ha rifiutato. Anche Haaretz. Il problema dell'informazione è gravissimo, a partire dal fatto che nella striscia di Gaza non sono ammessi giornalisti. Quello che sappiamo viene unicamente dai racconti dei palestinesi. Stiamo facendo il possibile per spostare l'attenzione sui crimini di guerra, con l'obiettivo di far intervenire un tribunale internazionale. Interventi del genere, anche in altri paesi, sarebbero molto importanti. L'unico strumento efficace da questo punto di vista è la denuncia delle responsabilità individuali dei singoli ufficiali. Noi ci siamo mossi con i tribunali israeliani per fare pressione sull'esercito, arrivando fino alla Corte suprema, ma non abbiamo ottenuto risultati, mentre ce ne sono stati in altri paesi come la Spagna, l'Inghilterra, il Belgio.
Se la vostra legislazione lo consente, sarebbe importante provarci anche in Italia. La questione di una legislazione internazionale sui diritti umani e contro i crimini di guerra sta guadagnando spazio, è una possibilità che va sfruttata. Per altro in questo schema rientra anche Hamas. Anche loro attaccano civili. Se da voi ci fossero avvocati disposti a muoversi in questo senso, sarebbe un fatto importante e utile, che per altro aiuta anche a rimettere al centro le questioni di merito. I nostri tentativi hanno dimostrato che qui in Israele non ci sono le condizioni per ottenere dei risultati e quindi, dato che il nostro sistema si è rivelato inefficace, è legittimo che si avviino procedimenti in altri paesi. Le eventuali condanne sarebbero un problema reale per l'esercito, perché l'ingresso in quei paesi delle persone condannate, porterebbe all'arresto. È un'area di intervento specifico che può avere molti più effetti di qualche slogan politico. Se in Italia ci fosse qualcuno disposto a muoversi in questo senso, siamo pronti a mettere a disposizione i materiali che abbiamo raccolto.
Ci sono manifestazioni praticamente ogni giorno, anche davanti alla base dell'aviazione, in coincidenza con l'orario in cui prendono servizio i piloti. Non sono grandi, ma neanche piccole. L'esercito gode di un vasto sostegno dell'opinione pubblica, ma questo può cambiare da un momento all'altro. Quindi stanno molto attenti a come muoversi e cercano di evitare scontri diretti nelle strade. Anche le mobilitazioni a livello internazionale stanno producendo effetti: i portavoce dell'esercito sono sulla difensiva e cercano di spiegare passo dopo passo quello che succede, anche perché sono preoccupati delle ripercussioni future. In questo influisce anche il prossimo cambio della presidenza Usa. Obama non è Bush.
Sabato scorso a Tel Aviv c'è stata una manifestazione con tutte le varie realtà del movimento pacifista. Mi sembra un fatto rilevante anche per noi in Italia, dove sabato prossimo sono previste due manifestazioni nazionali in contemporanea ...
La manifestazione di cui parli era davanti al ministero della difesa. Non era grande, ma c'erano davvero tutte le realtà e il fatto rilevante è che non erano i «soliti noti», c'erano anche molti giovani. È importante lavorare per superare le divisioni e costruire mobilitazioni più ampie possibili. L'unico modo è quello di lavorare su poche parole d'ordine unificanti e che rimettano al centro il merito di quello che sta succedendo, lasciando fuori le questioni politiche, problema anche nostro ovviamente, ma è molto importante fare il possibile per superarlo.
E sul fronte del rifiuto cosa succede?
Come sempre nelle fasi iniziali di un conflitto, la risposta è debole. Poi c'è anche il fatto che l'esercito tende ad evitare di mettere in prigione quelli che rifiutano di rispondere alla chiamata, perché sa che se li mettono in carcere aumenta la visibilità. Sono molto attenti all'aspetto mediatico, perché vogliono uscire con una vittoria netta, anche per via di quello che è successo in Libano. Vogliono umiliare Hamas, farli capitolare. Di fatto i vertici militari si stanno muovendo come in una guerra per bande, mettono al centro concetti come «dignità», «onore» etc. Dietro i principi enunciati, di fatto lo schema è assolutamente primitivo. Questo peraltro vale anche per Hamas ed in questo quadro è evidente che un intervento esterno è indispensabile.
Voi avete fatto qualche tentativo di sensibilizzare i militari?
Abbiamo provato a pubblicare a pagamento un appello che invitava a non commettere crimini di guerra, ma la stampa lo ha rifiutato. Anche Haaretz. Il problema dell'informazione è gravissimo, a partire dal fatto che nella striscia di Gaza non sono ammessi giornalisti. Quello che sappiamo viene unicamente dai racconti dei palestinesi. Stiamo facendo il possibile per spostare l'attenzione sui crimini di guerra, con l'obiettivo di far intervenire un tribunale internazionale. Interventi del genere, anche in altri paesi, sarebbero molto importanti. L'unico strumento efficace da questo punto di vista è la denuncia delle responsabilità individuali dei singoli ufficiali. Noi ci siamo mossi con i tribunali israeliani per fare pressione sull'esercito, arrivando fino alla Corte suprema, ma non abbiamo ottenuto risultati, mentre ce ne sono stati in altri paesi come la Spagna, l'Inghilterra, il Belgio.
Se la vostra legislazione lo consente, sarebbe importante provarci anche in Italia. La questione di una legislazione internazionale sui diritti umani e contro i crimini di guerra sta guadagnando spazio, è una possibilità che va sfruttata. Per altro in questo schema rientra anche Hamas. Anche loro attaccano civili. Se da voi ci fossero avvocati disposti a muoversi in questo senso, sarebbe un fatto importante e utile, che per altro aiuta anche a rimettere al centro le questioni di merito. I nostri tentativi hanno dimostrato che qui in Israele non ci sono le condizioni per ottenere dei risultati e quindi, dato che il nostro sistema si è rivelato inefficace, è legittimo che si avviino procedimenti in altri paesi. Le eventuali condanne sarebbero un problema reale per l'esercito, perché l'ingresso in quei paesi delle persone condannate, porterebbe all'arresto. È un'area di intervento specifico che può avere molti più effetti di qualche slogan politico. Se in Italia ci fosse qualcuno disposto a muoversi in questo senso, siamo pronti a mettere a disposizione i materiali che abbiamo raccolto.