Intervista a Avi Mograbi, una delle voci critiche più lucide tra gli intellettuali israeliani. Cineasta, scrittore, nei suoi film - l'ultimo, Z 32 (2008) era in concorso alla Mostra di Venezia - racconta dall'interno la società israeliana mostrandone le contraddizioni e la strutturale violenza Cosa sta succedendo in Israele? In che modo l'attacco alla Freedom flotilla viene spiegato ai cittadini?
Direi che come sempre i media e i grandi giornali cercano di giustificare l'operazione. Il pensiero comune più diffuso è che i pacifisti dovevano essere fermati. Dopo le valutazioni del risultato in sé possono essere critiche, si dice che l'operazione militare non è riuscita, che se ne è perduto il controllo. Nessuno però obietta sul fatto che dei soldati attacchino una nave civile, nessuno pensa che una decisione del genere è atroce. Ma in questo paese il senso della morale si è perduto da molto tempo. Ci si confronta con le singole operazioni che fanno parte di questa guerra globale, può essere il secondo conflitto in Libano o il massacro compiuto lo scorso inverno a Gaza dove sono stati commessi crimini di guerra gravissimi. Tutto questo però non sembra interessare il pensiero comune israeliano. Ciò che conta, lo ripeto, è l'operazione in sé. Le sue valutazioni riguardano solo la sua riuscita.
Il mondo intero ha condannato Israele. Questo non fa riflettere gli israeliani, non li spinge a reagire?
Ci sono state manifestazioni, sit-in davanti alla casa del primo ministro ma sono sempre le solite persone (Mograbi parla di 800 manifestanti circa, ndr), potrei fare l'elenco dei nomi uno a uno. La maggioranza degli israeliani li considera, e non positivamente, l'ala di sinistra radical-moralista. Quanto è accaduto è atroce, e evidenzia una totale perdita del controllo da parte dei dirigenti militari e del governo. Ma non mi stupisce considerando l'enorme numero di crimini di guerra che si continuano a sommare in questo paese. È evidente che è stata un'operazione folle come è altrettanto assurda e mostruosa la politica quotidiana di Israele verso i territori occupati e i palestinesi. Ma finchè noi israeliani non arriviamo alla consapevolezza che c'è un problema più complesso dei singoli eventi non ci saranno alternative. Ogni cosa sarà sempre considerata una scelta necessaria all'interno della più vasta operazione militare che è in atto nella regione. E questo impedisce alla nostra società di capire che attaccare la nave dei pacifisti o massacrare i cittadini inermi a Gaza è un crimine a cui si deve rispondere moralmente non un' azione di guerra. Quanto al resto del mondo: si dice traumatizzato ogni volta ma cosa fa di concreto?
In che senso? Pensa che i governi internazionali dovrebbero esercitare una diversa pressione?
Facciamo un esempio: se ho un amico che picchia la moglie i miei rapproti con costui cambieranno. Credo che il resto del mondo dovrebbe dare segnali più forti, manifestare una maggiore intransigenza. Il problema è che Israele è considerato un paese democratico, il solo della regione, e garantisce perciò un equilibrio necessario alla politica mondiale. Ora dicono: certo attaccare una nave turca è stato un errore di calcolo, ci saranno ripercussioni gravissime, i rapporti con la Turchia sono compromessi etc etc. Non sono un esperto di diplomazie mondiali ma ancora una volta il punto non è questo. Il punto è che uno stato attacca una nave fuori dalle sue acque territoriali sapendo che a bordo ci sono persone disarmate e che trasporta cibo e medicinali. Il punto è che attacca un territorio, uccida i civili, commetta una serrie di atti che causerebero reazioni «esemplari» verso qualsiasi altra nazione. C'è una ipocrisia di fondo a livello internazionale molto forte.
Che richiesta lancerebbe oggi ai paesi del mondo?
Gli chiederei di mandare delle navi in via ufficiale. E che su queste navi ci siano gli aiuti per Gaza e molti dolci, caramelle, cioccolata. Lo sa? I dolci sono proibiti a Gaza ma non mi chieda il perché. Forse si preoccupano della loro dieta.
Fonte: Il Manifesto del 2 giugno 2010