Aiutiamoli a casa loro…
Ma noi comboniane ci siamo “a casa loro”. Viviamo in Africa da oltre 140 anni: con il nostro corpo e il nostro cuore, e tanta voglia di conoscere e capire.
Ci siamo messe in ascolto, insieme a donne e uomini che amano l’Africa come noi: non le sue risorse da sfruttare, ma i suoi popoli da incontrare.
Tante di noi sono nate là, perché sono africane, e offrono chiavi di lettura che rimangono invisibili a occhi esterni.
Per questo siamo indignate dal persistente silenzio che avvolge l’Africa, vicina di casa dell’Italia, eppure così scandalosamente ignorata dai media,al punto che il fiume di persone riversato sulle coste italiane scandalizza: «Perché vengono tutti qui»?
Perché le rotte iberica e balcanica sono chiuse, e coloro che cercano vita trovano sempre un varco. Devono pagare a caro prezzo i trafficanti, ma non si fermano.
Noi ci siamo dentro, e conosciamo frammenti pesanti della loro sofferenza.
Siamo nei movimenti della società civile che cerca spazi di vita; nelle scuole e negli ospedali, fra i popoli relegati in terre semiaride o in campi di battaglia; e anche nei campi profughi, dove milioni di persone sopravvivono mentre la loro terra, con la connivenza dolosa di politici locali, viene rapinata da governi e imprese di altri Paesi; spesso con la scusa di “promuovere lo sviluppo” del continente.
Il motto «aiutiamoli a casa loro» ci fa sorridere.
Aiutare: come? Abbiamo troppo spesso intravisto gli intrallazzi che alimentano la corruzione anziché liberare la potenzialità di vita delle persone. Abbiamo visto contingenti super equipaggiati incapaci di catturare Joseph Koni e il suo drappello di violenti, che continua a seminare paura in quattro Paesi: Uganda, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana e Repubblica democratica del Congo. A chi interessa lasciarlo ancora libero di “uccidere” e “destabilizzare”?
E la lista di altre milizie brutali che succhiano il sangue della gente sarebbe molto lunga. Chi le mantiene?
Abbiamo anche incontrato contingenti di pace dell’Onu che non hanno protetto la popolazione civile, e talvolta l’hanno sfruttata.
«Aiutiamoli a casa loro…»
Forse, ma senza arroganza unidirezionale dall’alto (noi) al basso (loro).
Migliorare le condizioni di vita è un processo complesso, a lungo termine e inclusivo: riguarda loro e anche noi. Esige dialogo, valutazione condivisa, andando oltre le élite di governo. Servono collaborazioni ampie, che coinvolgano da protagoniste le molteplici e diversificate comunità africane e di altre regioni del mondo.
Forse il primo passo è cercare di capire meglio cosa succede «a casa loro» per evitare scorciatoie controproducenti e dannose.
Per questo condividiamo l’appello di padre Zanotelli ai media italiani «Rompiamo il silenzio sull’Africa», e invitiamo voi e noi a non permettere che notizie miopi e autoreferenziali ci chiudano gli occhi sul mondo.