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La nonviolenza oggi in Italia. dialogo con Francesco De Notaris, Carla Mariani, Maria Rosaria Baldin, Zenone Sovilla e Maria D'Asaro

Come approfondimento alla nonviolenza, pubblichiamo insieme le interviste, realizzate singolarmente da Paolo Arena e Marco Graziotti, della redazione di "Viterbo oltre il muro a Francesco De Notaris, Carla Mariani, Maria Rosaria Baldin, Zenone Sovilla e Maria D'Asaro.

Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che si svolgono settimanalmente a Viterbo.

Questo ciclo di interviste verrà utilizzato nei momenti formativi realizzati dall'Associazione.

Paolo Arena e Marco Graziotti: Come è avvenuto il suo accostamento alla nonviolenza?

  • Francesco De Notaris: Di formazione cristiana ho sempre pensato che il messaggio evangelico dell’amore esclude la violenza. Altra cosa è l’indignazione per i diritti di Dio e del prossimo (vedi Gesù che scaccia i mercanti dal tempio), come manifestata dallo stesso Gesù Cristo.

    Da ragazzo più volte ascoltai a Napoli Lanza del Vasto, poi mi interessai a Capitini, Gandhi e pensavo all’obiezione di coscienza al servizio militare. Seguii la vicenda di Pietro Pinna.

  • Carla Mariani: Credo sia successo più o meno nel 1991, la cosiddetta prima guerra del Golfo e la tragedia della Jugoslavia hanno avuto dentro di me un effetto dirompente spingendomi a fare qualcosa. Io lavoravo al Comune di Narni, un comune con una amministrazione di sinistra e poi di centro-sinistra, ininterrottamente dal dopoguerra ad oggi, per questo mi dissi che era impensabile che il Comune non si fosse attivato almeno per avere in servizio gli obiettori di coscienza al servizio militare. E così mi misi in movimento, riuscii ad ottenere la convenzione con il Ministero e, intanto, avevo conosciuto Flavio Lotti che mi consigliò di aderire al Coordinamento nazionale enti locali per la pace, dichiarare Narni città per la pace ed aprire un ufficio per la pace ed i diritti umani. Ci sono voluti circa due anni per la dichiarazione e per aprire l’ufficio ma nel 1993 finalmente c’era nel Comune una struttura per lavorare nell’ambito delle politiche della pace e dei diritti umani ed avevamo 3 o 4 obiettori di conoscenza impegnati nel settore della cultura e dei servizi sociali. Abbiamo cominciato a sensibilizzare le scuole, singoli cittadini e associazioni. È nata l’Associazione Narni per la Pace che ha sempre affiancato il lavoro dell’Ufficio per la Pace del Comune ed è stata propositiva in tante occasioni di riflessione. A contatto con questa realta', a cominciare dall’obiezione di coscienza è stato naturale rivolgermi verso la nonviolenza. Nel 1999 ho conosciuto padre Javier Giraldo, gesuita colombiano, difensore dei diritti umani, impegnato nella ricerca di soluzioni alternative alla violenza come contrasto alla guerra e allo sfollamento forzato di intere popolazioni in Colombia. Ho così conosciuto la realtà delle Comunità di Pace e in resistenza civile colombiane e come Comune di Narni - Città per la Pace abbiamo deciso di accompagnare questi processi dando l’avvio ad un nuovo modello di cooperazione, un appoggio più politico che economico, e per questo vi assicura molto più complicato.

  • Maria Rosaria Baldin: Prima leggendo "Rocca" della Cittadella di Assisi. Poi, quando ha iniziato a uscire, mi sono abbonata a "Mosaico di pace" della casa editrice La Meridiana. Attraverso questa rivista ho conosciuto più da vicino il mondo della nonviolenza.

  • Zenone Sovilla: In seguito alla scelta antimilitarista sfociata nell'opzione del servizio civile, all'inizio degli anni '80, che mi spinse a impegnarmi nell'attività della Loc, Lega obiettori di coscienza, impegnata fra l'altro a sviluppare e diffondere le tecniche della nonviolenza, compresi i progetti per l'organizzazione su scala nazionale di un sistema di difesa non armata che avrebbe dovuto coinvolgere l'intera popolazione.

  • Maria D'Asaro: Nella primavera del 1976, al penultimo anno di liceo classico, la preside della mia scuola ha invitato un uomo con splendidi occhi chiari, altissimo, ieratico, vestito con una tunica cucita a mano, la cui figura emanava un grandissimo fascino. Quell’uomo era Lanza del Vasto, discepolo di Gandhi, che lo ribattezzò Shantidas, Servitore di Pace. Lanza del Vasta fu il fondatore in Europa della nonviolenta Comunità dell’Arca. Il mio innamoramento, il mio interesse profondo per la nonviolenza risale a quell’incontro fortunato: quell’incontro giovanile con un profeta nonviolento in carne e ossa è stato determinante per la mia formazione. Ho cominciato a leggere, a riflettere, a informarmi, a pensare. Conoscevo già comunque la splendida figura di Martin Luther King e, da Lanza del Vasto, sono passata alla conoscenza di Gandhi.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali personalità' della nonviolenza hanno contato di più' per lei, e perché'?

  • Francesco De Notaris: Ripeto, il primo impatto fu con Lanza del Vasto. Conobbi poi Antonino Drago del quale conoscevo la storia relativa al rifiuto di giurare in quanto assistente universitario. Poi gli autori di libri e le storie relative vennero dopo.

  • Carla Mariani: Se parliamo di personalità cito quelle che ho avuto modo di conoscere attraverso i libri e la letteratura, Gandhi, Martin Luther King, padre Ernesto Balducci, Aldo Capitini, don Lorenzo Milani, Danilo Dolci. Se parliamo di persone, i miei compagni e compagne palestinesi che resistono in maniera nonviolenta a 43 anni di occupazione e oppressione da parte del Governo israeliano, e di vita nei campi profughi continuando a lavorare con i più giovani nel teatro, nella musica, nella danza; i miei compagni e compagne delle comunità colombiane che quotidianamente, concretamente, mettono in pratica azioni nonviolente in risposta alla guerra e allo sfollamento forzato.

  • Maria Rosaria Baldin: Decisamente Gandhi e Martin Luther King perché non sono stati soltanto dei teorici. Poi Jean e Hildegard Goss, Etty Hillesum, Lennart Parknas (ho fatto anche dei seminari con lui a Bologna), don Tonino Bello, Daniele Novara, Jerome Liss, Pat Patfoort, Augusto Boal (ho fatto anche Teatro dell'Oppresso), Alex Zanotelli, don Andrea Gallo. Tutte queste persone propongono un approccio nuovo, diverso, ai problemi.

  • Zenone Sovilla: Non credo di avere particolari legami sentimentali o intellettuali con i vari "maestri", salvo forse qualche pensatore che più d'altri mi è parso lucido nell'affiancare un certo bagaglio di pensiero anarchico con teorie e prassi nonviolente (Tolstoj, ma anche una serie di esperienze specie anglosassoni di lotte di base ispirate a modelli sociali libertari sintetizzati da studiosi quale il compianto Colin Ward; o altrove, le riflessioni di Ivan Illich e le declinazioni pratiche tentate qua e la').

  • Maria D'Asaro: Intanto alcuni "classici": Teoria e pratica della nonviolenza di Gandhi (il volume a cura di Giuliano Pontara) e Gandhi oggi di Galtung, Che cos’è la nonviolenza di Lanza del Vasto, l’autobiografia di Nelson Mandela Lungo cammino verso la liberta', L’obbedienza non è pì una virtù di don Milani, i discorsi di Martin Luther King. E gli scritti di Aldo Capitini e Danilo Dolci. Mi piacerebbe poi che fosse più conosciuto Franz Jaegerstaetter, magari attraverso il bel volume curato da Giampiero Girardi Scrivo con le mani legate. Tra i testi recenti ho trovato ottimo Conflittualità nonviolenta di Andrea Cozzo.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali libri consiglierebbe di leggere a un giovane che si accostasse oggi alla nonviolenza? E quali libri sarebbe opportuno che a tal fine fossero presenti in ogni biblioteca pubblica e scolastica?

  • Francesco De Notaris: Oggi consiglierei il Vangelo e poi i classici della nonviolenza e le storie contemporanee. Arendt, don Milani, don Bello, King, esiste una galleria di personalita'; esistono numerosi documenti da studiare e suggerire ai ragazzi. Vi sono bibliografie complete sui temi della pace e dell'educazione alla pace. Comunque La forza di amare di King, Antiche come le montagne di Gandhi, Che cosa è la nonviolenza di Lanza del Vasto non possono mancare.

  • Carla Mariani: Per esempio anche Lettera a una professoressa, di don Lorenzo Milani, o meglio degli studenti della scuola di Barbiana, non so perché ma a me sembra un buon testo sulla nonviolenza e penso che non dovrebbe mancare in nessuna scuola o biblioteca. Poi certamente l’esperienza della ricerca di Gandhi. Vorrei però ci fosse anche uno sguardo al presente, per esempio le lotte nonviolente degli indigeni e dei contadini dell’India oggi, farei leggere Arundhati Roy, oppure le lotte che testimoniano l’amore per nostra madre terra.

  • Maria Rosaria Baldin: Gandhi e Martin Luther King, i libri di Daniele Novara sulla gestione nonviolenta del conflitto, "La comunicazione ecologica" di Liss, tutta Pat Patfoort, "Attivi per la pace" di Parknas. Nelle biblioteche, oltre a questi, vedrei bene "Anche i cattivi giocano" della Portman, "Violenza zero in condotta" dell'Associazione Pace e dintorni.

  • Zenone Sovilla: L'elenco sarebbe molto lungo.... Suggerirei almeno "Il potere di tutti" di Aldo Capitini, qualche antologia di padre Ernesto Balducci e di Simone Weil, qualche saggio di Castoriadis (per esempio "La rivoluzione democratica"). E un libretto recende di Francesco Codello: "Nè obbedire nè comandare", molto utile per i giovani lettori che cerchino i nessi fra teorie e prassi di nonviolenze e convivenza umana di esseri "eguali". Non mi dilungo oltre, ma se lo desiderate posso aggiungere numerosi altri autori.

  • Maria D'Asaro: La campagna per l’abolizione della pena di morte in tutti i paesi del mondo e la sensibilizzazione contro la guerra come strumento di soluzione delle controversie internazionali. La guerra deve divenire un tabù per l’umanita': come lo sono l’incesto e la tratta legale degli esseri umani. E poi l’impegno per un nuovo modello di sviluppo, basato sulla decrescita.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali iniziative nonviolente in corso oggi nel mondo e in Italia le sembrano particolarmente significative e degne di essere sostenute con più' impegno?

  • Francesco De Notaris: A me non sembra vi siano iniziative nonviolente in atto. Penso che in Italia si dovrebbe lavorare sul tema dell’immigrazione, nel rifiuto della distruzione del territorio e delle centrali nucleari. Occorrerebbe una cultura della nonviolenza da applicare nelle vertenze in atto. Tale fatto potrebbe accadere se ci fosse un impegno più continuo e complessivo sulla nonviolenza.

  • Carla Mariani: Non conosco molto bene la realtà italiana e soprattutto quella mondiale, posso solo dire che mi affascina la lotta contro le mafie espressa da Libera e da tutta la miriade di associazioni che operano con lei. L’impegno delle giovani cooperative che lavorano le terre confiscate alla mafie non mi sembra dissimile dalle lotte per la conservazione del territorio degli indigeni e dei contadini latinoamericani, indiani ed africani.

    Per quanto riguarda lo sguardo a livello mondiale posso dire che le esperienze che conosco meglio sono quelle sorte in Colombia intorno al 1997 in seguito all’aggravarsi della violenza durante i piani di recupero di alcuni territori da parte del Governo in complicità con i gruppi paramilitari. Stanche della violenza e determinate a trovare una via di uscita politica al conflitto, comunità contadine, afrodiscendenti ed indigene, si sono dichiarate comunità di pace o in resistenza civile cercando di bloccare la spirale violenta con la pratica quotidiana della nonviolenza, motivo per il quale continuano a pagare un alto prezzo tradotto in permanenti minacce, omicidi e persecuzioni. Queste comunità si sono impegnate a non abbandonare il loro territorio, a non portare armi, a non dare informazioni nè aiutare nessuno degli attori armati, a non intervenire direttamente o indirettamente nella guerra, a denunciare tutte le violazioni ai diritti umani subite da qualsiasi parte esse vengano (Stato, parastato/paramilitari e guerriglia), a lottare contro l’impunita'. Si tratta di una resistenza integrale, che va al di là della semplice neutralità rispetto ai vari gruppi armati, e che propone progetti di vita che contemplano innovativi cambiamenti di ordine sociale, politico, economico, culturale ed ambientali, con criteri chiari di sostenibilita'. Non stiamo parlando quindi di una neutralità ingenua, ma di un compromesso con la vita, fondato su conquiste di autonomia e autodeterminazione, dalle quali abbiamo sicuramente tanto da imparare.

    Quello che ho imparato realmente da queste persone stupende è che nessuno ti insegna la nonviolenza, nasce come necessita', come urgenza morale quando ti trovi costretto a vivere dentro la guerra. Loro non hanno mai sentito parlare di Gandhi. Un giorno Jhon Jairo del Cacarica (dipartimento del Choco', Colombia) era stato invitato a partecipare ad un incontro pubblico a Narni per raccontare l’esperienza della sua Comunita'. Qualcuno dopo averlo ascoltato gli disse che mettevano in pratica quotidianamente gli insegnamenti di Gandhi. Jhon Jairo rispose che non avevano mai collaborato con questa ong. All’inizio ci venne da sorridere e poi comprendemmo la grandezza di quella risposta. La nonviolenza non è una assimilazione di una dottrina o di dogmi, ma una posizione esistenziale profonda che rende normale la convinzione che l’impossibile non solo è possibile ma anche reale.

  • Maria Rosaria Baldin: In Italia i "No tav", ed anche i "No Dal Molin"; il lavoro di Libera sulle terre confiscate alla mafia (mentre scrivo noto la grande difficoltà nel trovare un "linguaggio nonviolento" senza cadere nell'errore di parlare di "battaglia, lotta, combattere ecc.": dobbiamo trovare un nostro linguaggio per dire le cose senza utilizzare un linguaggio di guerra); nel mondo purtroppo non riesco a seguire tutto come vorrei e non sono in grado di indicare con precisione degli ambiti specifici.

  • Zenone Sovilla: Le lotte per salvare l'acqua dalle logiche del profitto imprenditoriale; purtroppo non mi vengono in mente molti altri fronti di impegno, il quadro mi pare piuttosto desolante.


Paolo Arena e Marco Graziotti: In quali campi ritiene più' necessario ed urgente un impegno nonviolento?

  • Francesco De Notaris: Dovremmo anzitutto mostrare come i conflitti non vengono risolti con l’uso delle armi. La storia pare non abbia insegnato che le guerre aggravano i mali. Purtroppo gli interessi industriali dei fabbricanti di armi prevalgono e le ragioni diplomatiche, della politica alta, seguono a ruota.

  • Carla Mariani: Senza dubbio nel campo dell’educazione e della formazione: educazione per i giovani, formazione per gli educatori, amministratori pubblici, e verso tutti coloro che svolgono una attività a contatto con la gente.

  • Maria Rosaria Baldin: Rapporti interpersonali; educazione alla nonviolenza di tutti, adulti e bambini; conflitti a livello locale e globale.

  • Zenone Sovilla: La riattivazione di spazi concreti e "immaginari" di partecipazione democratica e di elaborazione politica: siamo una società "ideologicamente" ingessata, senza un'idea diffusamente percepibile di costruzione di un futuro "diverso", più felice e meno violento... Conoscenza, partecipazione, speranze e sogni sembrano svanire nell'atomizzazione generale della società e la nonviolenza non fa eccezione. Si è fin qui persa l'occasione di abbinare alla prassi nonviolenta un processo di liberazione politica, di nuova organizzazione sociale, della produzione e dei consumi... Ognuno sembra andare un pò in ordine sparso e nel frattempo la grande macchina del Mercato si allarga e accresce i suoi devastanti effetti collaterali sugli esseri umani e sull'ambiente naturale.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali centri, organizzazioni, campagne segnalerebbe a un giovane che volesse entrare in contatto con la nonviolenza organizzata oggi in Italia?

  • Francesco De Notaris: Consiglierei tutte le organizzazioni che valorizzano il dialogo, il confronto e che spingono ad esperienze di tutela della natura, della salute, di lotta al degrado, alle camorre e così via. L’esercizio della carità e l’impegno per la giustizia e le associazioni di obiettori sono opportunità da vivere.

  • Carla Mariani: Gli direi soprattutto di mettersi in ascolto, di non rimanere fermo, di non rimanere zitto. Gli consiglierei di entrare in contatto con i movimenti dei contadini e di tutti coloro che difendono il proprio territorio, i beni comuni e sono impegnati nel contrasto alle mafie e nell’individuazione dei comportamenti mafiosi. Certamente segnalerei il Centro di ricerca per la pace di Viterbo, così come il Centro Gandhi di Pisa, così come l’Associazione "Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie". Gli consiglierei di entrare in contatto con i movimenti dei familiari delle vittime di Stato e della mafia, ho avuto modo di partecipare all’ultima edizione degli stati generali dell’antimafia "Contromafie" il 23-25 ottobre 2009 a Roma ed ho seguito i lavori dei testimoni di giustizia, ho conosciuto i giovani di "No Pizzo" e veramente devo dire che ho visto azioni nonviolente applicate alla vita quotidiana: fare percorsi individuali e collettivi che portano a sostituire il sentimento di vendetta con il principio di legalita', l’azione solidale come contrasto all’isolamento che genera il terrore.

  • Maria Rosaria Baldin: Il Centro psicopedagogico per la pace e la gestione del conflitto di Daniele Novara, il Centro di ricerca per la pace di Viterbo che pubblica il notiziario "La nonviolenza è in cammino", Peacelink, Libera, Pbi, Cdsc.

  • Zenone Sovilla: Non frequento da anni le situazioni organizzate, mi viene in mente il Movimento Nonviolento; credo sia una realtà in grado di offrire un percorso profondo a chi intende avvicinarsi a questa visione filosofica e politica; esistono poi altre varie iniziative ed esperienze in ambito nonviolento, anche nella galassia cristiana.

    Mi pare, tuttavia, di poter osservare che in linea generale si tratti di situazioni ancora più marginali di quanto lo fossero venti o trent'anni fa; il che non è molto incoraggiante.

  • Maria D'Asaro: La comunità italiana dell’Arca (fondata da Lanza del Vasto), il Movimento Nonviolento, il Movimento Internazionale della Riconciliazione (Mir), il Centro di ricerca per la pace, l’associazione Beati i costruttori di pace, il Centro Gandhi di Pisa, Amnesty International: queste le organizzazioni che mi vengono in mente per prime.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Come definirebbe la nonviolenza, e quali sono le sue caratteristiche fondamentali?

  • Francesco De Notaris: La nonviolenza è una lotta senza armi per liberare dalle ingiustizie e liberarsi da una cultura che propone sempre la forza della forza come risolutrice di ogni contraddizione.

  • Carla Mariani: Definirei la nonviolenza come l’unica forma di resistenza possibile oggi. La sua caratteristica fondamentale è il rifiuto dell’inazione, è il movimento, la ricerca continua di alternative per dare risposte all’attuale modello dominante di civiltà che porta come conseguenza diretta allo sfruttamento di uomini e donne, bambini e bambine, alla negazione dei diritti umani, alla più efferata forma di terrorismo: la guerra. L’attuale modello di sviluppo, neoliberale capitalistico ed imperialista, riconosce di fatto nell’umanità il suo diretto nemico, come ostacolo alla sua continua, incessante ricerca del maggior profitto. Come dice giustamente Eduardo Galeano: "Nuove fabbriche si installano nei poli privilegiati dello sviluppo [...] ma ogni volta è necessaria meno mano d’opera. Il sistema non ha previsto questo piccolo problema: quello che avanza è la gente.[...]. Dove regnano le macchine il sistema vomita uomini . [...] Il sistema si preoccupa: incapace di moltiplicare i pani fa il possibile per sopprimere i commensali" (Eduardo Galeano, Las venas abiertas de America Latina, Siglo XXI, Madrid 2006, pp. 19-20).

    Ecco, io credo che utilizzare oggi la violenza come risposta alle ingiustizie sociali ed economiche, equivale a fare il gioco del potere costituito che ci invita a utilizzare i suoi stessi strumenti: la violenza è uno strumento del sistema e non è adatta a chi vuole cambiarlo. Mi sembra che chi detiene il potere e lo esercita in maniera violenta rimane disorientato di fronte all’utilizzo della nonviolenza, perché è talmente cieco da non riuscire a vederla e a localizzarla. Insomma è un buon modo, secondo me, per sparigliare le carte e arrivare a un cambio del sistema.

  • Maria Rosaria Baldin: Nonviolenza è un approccio altro, che richiede attenzione prima di tutto nel linguaggio, che dev'essere disarmato. Prendiamo a prestito le parole della guerra e delle armi in tutti i contesti (combattere per la pace, lotta per la pace, ecc.) e questo è il primo ambito da bonificare, trovando un linguaggio "altro", nonviolento, appunto, e che metta in risalto il lavoro positivo che si fa ("in piedi costruttori di pace" diceva don Tonino). Quindi un percorso che vede il dialogo, l'attenzione all'altro e l'ascolto come primo passo. Perché è facile essere in pace con popoli lontani, ma il nostro condomino che protesta ogni giorno per i panni stesi dove lo mettiamo?

    È una continua messa in discussione delle proprie idee e di quella che consideriamo la nostra verita', che non è monolitica ("Non dire Ho trovato la verita', ma Ho trovato una verita'", diceva Gibran Khalil Gibran), ma solo un parziale punto di vista.

  • Zenone Sovilla: La definirei uno strumento e insieme un fine per rifondare o riformare la convivenza nelle società umane ispirandola a criteri spontaneamente non gerarchici, nella quale si assicuri - fra l'altro - pari dignità a ogni persona e si consideri controproducente ogni comportamento che arrechi danno non solo agli umani ma all'ambiente naturale in genere. È l'unica speranza di costruire comunità in cui si sta bene insieme.

  • Maria D'Asaro: Il rispetto assoluto per l’altro/l’altra. La nonviolenza è una forma di lotta capace di mirare, metaforicamente, al cuore dell’avversario per convincerlo della bontà del nostro punto di vista. A fondamento di questa lotta sono: la separazione tra azione che vogliamo combattere e persona che incarna l’azione oggetto della nostra lotta (da rispettare sempre), il superamento della logica secondo cui "il fine giustifica i mezzi" e la conseguente analogia tra mezzi e fini. Il mio amico Enzo Sanfilippo (che appartiene alla comunità dell’Arca siciliana) mi ha fatto conoscere, anni fa, il termine ubuntu, un'espressione in lingua bantu che indica "benevolenza verso il prossimo". È una regola di vita, basata sulla compassione, il rispetto dell'altro. L'ubuntu esorta a sostenersi e aiutarsi reciprocamente, a prendere coscienza non solo dei propri diritti, ma anche dei propri doveri, poichè è una spinta ideale verso l'umanità intera, intesa come una comunità interconnessa, quasi come un unico organismo. Da questa consapevolezza nasce l’importanza della lealtà e della solidarietà tra tutti gli esseri e la necessità di attivarsi per costruire relazioni di pace.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e femminismo?

  • Francesco De Notaris: Se il femminismo portasse ad educare i bambini alla pace... ci sarebbe un nesso!

  • Carla Mariani: Io credo che nel momento storico in cui stiamo vivendo, accostare la pratica della nonviolenza alle lotte di liberazione dei popoli, al pacifismo, all’antimafia, antimilitarismo, disarmo, fino alla psicoterapia, sia l’unica azione praticabile, attraverso la quale intravediamo realmente che la costruzione di un mondo diverso è possibile: semplicemente, vedo in ogni ambito proposto lo stesso rapporto di necessarietà del vincolo, riconosco nella nonviolenza l’unica strada possibile, l’unica veramente rivoluzionaria.

  • Zenone Sovilla: Non molti; nel senso che (purtroppo) non mi pare che siano particolarmente diffuse prassi di resistenza o di lotta nonviolenta organizzata per genere (dalle donne e dai maschi che vi si alleassero); in generale non mi pare di vedere femminismo in giro, oggi; se guardiamo al passato, qualche contatto fra l'azione nonviolenta e l'impegno per la liberazione femminile c'è sicuramente stato, mi vengono in mente i vari cortei in cui le donne (anche in Italia, negli anni '70) venivano pestate dalla polizia.

  • Maria D'Asaro: In qualche modo, le lotte femministe sono state delle lotte collettive di genere, lotte essenzialmente nonviolente.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza ed ecologia?

  • Francesco De Notaris: Ciò che deturpa la natura nasce dalla violenza dell’uomo. Al contrario l’uomo nonviolento ama la propria terra e si comporta di conseguenza.

  • Zenone Sovilla: Credo di aver già risposto, direi che si tratta di due idee largamente sovrapponibili, l'una non prescinde dall'altra...

  • Maria D'Asaro: Percepisco un legame strettissimo e cogente tra nonviolenza ed ecologia. Credo che la nonviolenza sia l’indispensabile chiave di volta per la fondazione di un rinnovato umanesimo, che progetti nuovi modelli di vita e una nuova etica della cittadinanza, basata su un rapporto armonico con la natura e gli altri esseri viventi.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza, impegno antirazzista e lotta per il riconoscimento dei diritti umani di tutti gli esseri umani?

  • Francesco De Notaris: La realizzazione dei diritti dell’uomo passa attraverso l’affermazione della pace che si costruisce attraverso la pace. Essere in pace è diritto di ogni uomo e comunita'. La pace è alla base della convivenza. Vedi Martin Luther King per capire come si debba fare la lotta al razzismo.

  • Zenone Sovilla: Come sopra.

  • Maria D'Asaro: Poichè la nonviolenza postula il rispetto assoluto per l’altro/l’altra, il legame tra essa e l’impegno antirazzista, e il riconoscimento di pari dignità e pari diritti a tutti gli esseri umani, è strettissimo.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotta antimafia?

  • Francesco De Notaris: Anzitutto il mafioso è violento, è rapinatore di vita e speranza. La lotta alla camorra, alla mafia, non può significare semplicemente arrestare il criminale. Resta sempre la violenza in lui. Bisogna trasformare gli uomini educandoli al rispetto di sè e degli altri, che esclude l’atteggiamento e la prassi della sopraffazione.

  • Zenone Sovilla: Qui mi pare che siano eloquenti varie espressioni civili degli ultimi anni, con la mobilitazione sociale in luoghi in cui può essere rischioso anche soltanto uno sguardo...

  • Maria D'Asaro: L’amico già ricordato, Enzo Sanfilippo, ha curato un volume proprio su quest’argomento: Nonviolenza e mafia. Idee ed esperienze per un superamento del sistema mafioso. Intanto, come sottolineava già il giudice Falcone, in Sicilia non si possono dividere con l’accetta l’area della mafia e quella dell’antimafia. Nel suo volume, Sanfilippo evidenzia giustamente come le organizzazioni mafiose conformino l’intera società meridionale; quindi, per combattere la mafia non è sufficiente un approccio solo repressivo, ma trasformativo. Non è sufficiente una cultura della legalita', occorre una cultura della responsabilita'. Qualche anno fa a Palermo è stato organizzato un seminario di studi sull’argomento. Per la lotta antimafia è fondamentale poi uno studio attento della cultura complessiva, anche religioso-sacrale, al cui interno prospera il fenomeno mafioso: vorrei segnalare, a tal proposito, l’ottimo testo del professor Augusto Cavadi, Il Dio dei mafiosi. Non posso infine non ricordare il profondo lavoro sul territorio siciliano che fanno quotidianamente gli studiosi Umberto Santino e Anna Puglisi, che, con i loro studi e le loro iniziative, hanno contribuito in modo determinante a focalizzare i rapporti tra lotta antimafia, ruolo delle donne, lotte contadine e strategie popolari nonviolente.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotte del movimento dei lavoratori e delle classi sociali sfruttate ed oppresse?

  • Francesco De Notaris: Credo che la risposta è simile alla precedente. Non dimentichiamo che la nonviolenza non è acquiescenza. Lottare contro il dittatore e contro un sistema che nega i diritti è un dovere. Il metodo va individuato.

  • Zenone Sovilla: Credo che una più stretta connessione fra l'elaborazione teorica nonviolenta degli ultimi decenni e queste lotte avrebbe forse prodotto qualche risultato apprezzabile; oggi d'altra parte si assiste a lotte spontanee che hanno caratteristiche in parte assimilabili alla nonviolenza...

  • Maria D'Asaro: La nonviolenza postula l’assunto dell’unità del genere umano e considera il conflitto una opportunità evolutiva e nella lotta mira a colpire non il corpo ma la coscienza dell’avversario: essa è dunque un’eccellente prospettiva per tutte le lotte di liberazione.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotte di liberazione dei popoli oppressi?

  • Francesco De Notaris: Si vada alla risposta precedente. Se le popolazioni prendono coscienza di sè già sono liberate.

  • Zenone Sovilla: In diversi casi le prassi spontanee sono di tipo nonviolento.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e pacifismo?

  • Francesco De Notaris: La nonviolenza è attiva. Il pacifismo subisce critiche da chi immagina che sia rifiuto passivo di usare la forza. Il vero pacifismo per me è impegno per la pace, è azione programmata attraverso azioni incalzanti che escludano l’idea dell’uccidere.

  • Zenone Sovilla: Considero il pacifismo una sfera della nonviolenza, relativamente all'uso delle "armi" per affrontare conflitti.

  • Maria D'Asaro: Rispetto al pacifismo, all'antimilitarismo e al disarmo vedo un rapporto sicuramente profondo e dialettico: la nonviolenza, che è rispetto assoluto per l’avversario, consapevolezza dell’intima unità del genere umano e che postula l’armonia tra fini e mezzi, non può che assumere e permeare di sè le prospettive di pace e antimilitariste. Mi piace qui ricordare quella splendida persona che è stata Alex Langer, che distingueva un pacifismo tifoso, un pacifismo dogmatico e un pacifismo concreto. La nonviolenza, contrariamente a quanti molti pensano, potrebbe offrire un contributo fattivo alla realizzazione di una prassi concreta di pace.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quale rapporto tra nonviolenza e antimilitarismo?

  • Francesco De Notaris: Il nonviolento è antimilitarista. Il militare usa le armi per definizione. Il militarismo è credere che con le armi si possano risolvere le questioni.

  • Zenone Sovilla: Una cultura nonviolenta è intrisecamente antimilitarista; una società nonviolenta non necessita di un esercito così come lo conosciamo oggi.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e disarmo?

  • Francesco De Notaris: Disarmo e nonviolenza sono legati. La guerra dovrà essere un tabù ed il disarmo dovrà esserci per scelta razionale non dettata dalla paura dell’altro.

  • Zenone Sovilla: Vedi sopra.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e diritto alla salute e all'assistenza?

  • Francesco De Notaris: l diritto costituzionale alla salute significa non forzare perché tale diritto sia rispettato. Il metodo della nonviolenza impone attenzione all’altro e quindi rispetta per la vita.

  • Zenone Sovilla: Parlando di riorganizzazione sociale mi riferisco anche al diritto di ognuno alla salute; vi sono aree di complicazione, naturalmente, quando i comportamenti individuali possono invadere la libertà altrui e necessitano interventi di tipo coercitivo in mancanza di autoconsapevolezza (per esempio nel caso di rischi di epidemia, con conseguenti azioni coercitive nei riguardi dell'individuo).

  • Maria D'Asaro: La prospettiva nonviolenta vede tutti gli esseri umani portatori di uguali diritti: quindi, indipendentemente dal reddito, ogni uomo/donna dovrebbe avere il diritto alla salute e all’assistenza. La prospettiva nonviolenta è inoltre compatibile, anzi necessaria, con tutte le forme di aiuto: psicologico, psicoterapeutico, filosofico.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e psicoterapie?

  • Francesco De Notaris: Discorso delicato. La casistica è ampia. Chi opera secondo la scienza non potrà mai tradire la fiducia e il rispetto dovuto anche e particolarmente a chi è fragile psichicamente e vive con grande difficolta'.

  • Zenone Sovilla: Il territorio psichiatrico è troppo vasto per essere ridotto a una risposta univoca; esistono prassi decisamente incompatibili con la mia idea di nonviolenza, per esempio l'uso e l'abuso di psicofarmaci; ma si può discutere anche della pretesa psichiatrica di "riportare sulla retta via"...


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e informazione?

  • Francesco De Notaris: Anche qui il giornalista che ha consapevolezza del proprio ruolo è chiamato a vivere informando, senza mai utilizzare le notizie in modo improprio. E poi il giornalista deve usare ciò che sa in modo delicato senza offendere il lettore e gli eventuali protagonisti dei fatti narrati. La nonviolenza diventa un dovere professionale nell’esercizio della propria attivita'.

  • Zenone Sovilla: Tendenzialmente non lo vedo, se non perché la (dis)informazione corrente alimenta a vari livelli una cultura incompatibile con la nonviolenza.

  • Maria D'Asaro: A mio avviso è auspicabile che i giornalisti intanto sappiano che cosa è la nonviolenza. Che ricevano, da una eventuale formazione nonviolenta, la passione per la verità e per la complessita'. E che abbiano il coraggio di essere a servizio della verita': e quindi delle persone e dei loro veri bisogni.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione filosofica?

  • Francesco De Notaris: La nonviolenza motiva il filosofo sulla realtà dell’uomo. Nasce una antropologia fondata sulle vere esigenze dell’uomo ed i sistemi filosofici non subiranno sbandamenti (vedi Nietzsche...).

  • Carla Mariani: Io penso che la nonviolenza sia un processo che ci porta ad affrontare lo studio e la riflessione delle varie discipline attraverso la scomposizione dei segni convenzionali, valido per l’approccio a qualsiasi disciplina o argomento e che ci consente una rilettura e una scrittura della storia nel rispetto dell’umanità e della natura di cui siamo parte integrante.

    La nonviolenza ci aiuta a guardare oltre, ad avere sempre una visione libertaria, di rispetto, di uguaglianza con distinzione (Siamo tutti uguali davanti alla legge, non "senza" ma "con" distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Diceva anni fa Lidia Menapace che rileggere l’art. 3 della nostra Costituzione sostituendo "senza" con la parola "con", sarebbe veramente una rivoluzione democratica).

  • Maria Rosaria Baldin: Mi sembra che la nonviolenza offra a tutte queste situazioni una visione "altra e alta", la possibilità di prestare attenzione al singolo e di ascoltare un punto di vista altro. In rapporto al femminismo credo sia di fondamentale importanza lasciare spazio al pensiero femminile e alla storia delle donne. Mi occupo di autobiografia, di far scrivere alle persone la loro storia di vita. Lasciare spazio alla narrazione di sè è fondamentale per permettere di capire di più e meglio. Se poi leggiamo l'autobiografia delle donne che sono state accanto ai grandi uomini, che tristezza (la moglie di Gandhi, di Raoul Follereau, di Antoine de Saint-Exupery...), vediamo soltanto donne vittime del volere maschile, altro che nonviolenza! La nonviolenza, invece, deve comprendere tutto e non settorializzare (è molto triste, per esempio, vedere talvolta gruppi del commercio equo e solidale che non considerano l'immigrazione; che talvolta chi si occupa del software libero linux non sa che esiste Lillinet, la e-mail etica; che talvolta chi fa i bilanci di giustizia segue solo un aspetto, non prendendo in considerazione, per esempio, il fatto che i pannelli fotovoltaici sono fatti con il coltan e questo provoca un aumento del conflitto in Congo e contemporaneamente un aumento dello sfruttamento dei lavoratori sempre in Congo).

  • Zenone Sovilla: Il superamento di certi dogmi sulla natura umana, la spinta a camminare verso un futuro evolutivo, l'idea di convivere con il resto cercando insieme il bene.

  • Maria D'Asaro: La prospettiva nonviolenta interroga e arricchisce la riflessione filosofica. E, soprattutto, dovrebbe impregnare di sè la filosofia praticata, ricordando che il confronto amichevole tra le varie posizioni è l’anima del dialogo filosofico. La nonviolenza è poi vicinissima alla prospettiva cristiana, specie se depurata dal temporalismo; penso al Discorso della montagna e agli inviti di Cristo: a chi ti percuote porgi l’altra guancia, a chi ti chiede la tunica dai anche il mantello. Non sono un’esperta di tradizioni religiose orientali: ma mi pare che i legami tra nonviolenza e buddismo e induismo siano molto consistenti.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione delle e sulle religioni?

  • Francesco De Notaris: Chi è religioso, chi crede in Dio non può usare violenza.

  • Zenone Sovilla: Non so, dipende dalla religione, dipende da molte cose; tendenzialmente la nonviolenza potrebbe mettere a nudo alcuni paradossi religiosi, a cominciare dal rapporto fra credenti e non credenti.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'educazione?

  • Francesco De Notaris: La nonviolenza apporta all’educazione un forte contenuto.

  • Zenone Sovilla: Suggerisce un'antropologia del dialogo e della consapevolezza egualitaria fra i soggetti in campo.

  • Maria D'Asaro: La necessità di rivedere profondamente metodi e prassi pedagogiche oggi utilizzate. Io sono un’insegnante: è fondamentale che un docente sia formato in modo nonviolento.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'economia?

  • Francesco De Notaris: La nonviolenza non sopporta che in economia il profitto metta da parte l’uomo.

  • Zenone Sovilla: La sconvolge; finora inutilmente.

  • Maria D'Asaro: Potrebbe apportare una rivoluzione a 360 gradi: nell’economia oggi l’uomo è mezzo e non fine. Il sistema capitalistico ha stravolto il rapporto tra la sfera economica e quella etica. Abbiamo urgente bisogno di rivedere in senso nonviolento i nostri paradigmi economici.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sul diritto e le leggi?

  • Francesco De Notaris: È diritto dell’uomo vivere in pace. È diritto di ogni uomo convivere in pace per poi realizzare la comunita'. Le leggi devono rispettare l’istanza della coscienza specialmente per quanto attiene il rifiuto dell’uso delle armi.

  • Zenone Sovilla: Dovrebbe indurre a un ripensamento dell'idea di "pena" (si vedano le teorie riduzioniste e abolizioniste)...

  • Maria D'Asaro: La necessità di introdurre il concetto di disobbedienza civile. La consapevolezza che l’educazione alla legalità possa coesistere, e in alcuni casi essere messa da parte, dall’educazione alla responsabilità e dal primato della coscienza. Rifletto spesso sul nazismo: in fondo la barbarie della Shoah è stata possibile perché pochissimi si sono rifiutati di disobbedire agli ordini.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'etica e sulla bioetica?

  • Francesco De Notaris: Si comprende come la nonviolenza neghi la costruzione di armi, condanni ogni manipolazione sull’uomo, debba far prevalere azioni virtuose e moralita', etc.

  • Zenone Sovilla: Enfatizza un'idea di rispetto nei riguardi degli esseri viventi e aiuta a trovare formule relazionali compatibili.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sulla scienza e la tecnologia?

  • Zenone Sovilla: Può indurre a evitare progetti che avrebbero ricadute tali da rappresentare forme di violenza (come potrebbe essere costruire un Suv o un'autostrada).

  • Maria D'Asaro: La necessità che scienza e tecnologia siano sempre considerate mezzi legati al benessere dell’umanita'.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione storica e alla pratica storiografica?

  • Francesco De Notaris: Se leggessimo la storia in modo corretto vedremo una lunga storia di crimini. Gli eroi, i conquistatori, i grandi generali sono stati anche grandi criminali per aver fatto uso delle armi e per aver ucciso innocenti e derubato a scopo di rapina. Grandi conquiste sono state atti di violenta prevaricazione sulle popolazioni più deboli, alcune delle quali ridotte in schiavitù o annientate. Il potere di tanti Signori poggiava sulla forza e sulla violenza.

  • Zenone Sovilla: Aiuta a illuminare ritardi, vuoti di memorie, impotenze, prevaricazioni intellettuali...


Paolo Arena e Marco Graziotti: Tra le tecniche deliberative nonviolente ha una grande importanza il metodo del consenso: come lo caratterizzerebbe?

  • Francesco De Notaris: Il consenso, si'. Ma come si ottiene? Come si procura? Talvolta il consenso si ottiene con false promesse, che rappresentano forme di violenza. Su quali priorità chiedere il consenso?

  • Carla Mariani: Ecco, siccome sono in cammino verso la nonviolenza, sto cercando di arrivare senza mugugnare al metodo del consenso. La ritengo una ottima tecnica deliberativa, ma a volte implica una mediazione difficile: diciamo che personalmente incontro difficoltà ad applicarla ma che partecipo agli incontri e alle riunioni della mia sfera associativa favorendo e rispettando tale tecnica. Gli riconosco senza dubbio il merito di costringere le persone ad approfondire le questioni, e dà sicuramente l’idea del cammino e della condivisione, che secondo me sono due momenti molto importanti. Posso dire che caratterizzo il metodo del consenso, nel cammino e nella condivisione.

  • Maria Rosaria Baldin: Ho lavorato su questo con Giuliana Martirani. Si deve trovare il punto minimo di accordo, quello che tutti condividono e partire da lì per costruire un lavoro comune.

  • Zenone Sovilla: Come l'unico cui una società civile dovrebbe tendere per costruire condivisione e "simpatia"; decidere insieme è il presupposto per ridurre la conflittualità e accrescere la partecipazione al "bene comune"; invece da anni si naviga in direzione esattamente contraria.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Tra le tecniche operative della nonviolenza nella gestione e risoluzione dei conflitti quali ritiene più' importanti, e perché'?

  • Francesco De Notaris: Alfabetizzazione, prevenzione delle guerre, resistenza civile, continue mobilitazioni, educazione alla pace, e poi chiedere che si costituiscano forze civili di interposizione, etc.

  • Maria Rosaria Baldin: Le proposte di Parknas, di Pat Patfoot e di Daniele Novara. Perché non evitano il conflitto, ma lo utilizzano come risorsa per risolvere i problemi; il conflitto diventa una leva positiva da utilizzare "a nostro favore".

  • Zenone Sovilla: Il dialogo.

  • Maria D'Asaro: Credo sia importante sottolineare il ruolo della disobbedienza civile.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Come caratterizzerebbe la formazione alla nonviolenza?

  • Francesco De Notaris: La nonviolenza è una filosofia di vita. Quindi il discorso deve essere complessivo, non settoriale. Bisognerebbe ai bambini ripresentare la storia, educarli non allo scontro ma al confronto, annientare una pseudocultura maschilista. È compito delle mamme, della famiglia, della scuola. Anche i giochi improntati alla pazienza e non esaltanti la forza andrebbero presentati. E poi musica, video, esperienze formative di gruppo, incontro con gli animali, rispetto della natura, dell’acqua, etc.

  • Maria Rosaria Baldin: Come ho detto sopra: partendo dalle piccole cose, attenzione a sè e poi all'altro; ascolto e cura di se', delle cose, del mondo e degli altri.

  • Zenone Sovilla: Dovrebbe integrarsi nei percorsi pedagogico-educativi, non essere un corpo a parte "istituzionalizzato"...


Paolo Arena e Marco Graziotti: Come caratterizzerebbe l'addestramento all'azione nonviolenta?

  • Francesco De Notaris: Suggerirei microrealizzazioni. Chiederei riflessioni scritte a scuola, commenti sulle conseguenze di episodi in cui la violenza produce morte, letture dei classici, etc

  • Maria Rosaria Baldin: Con attività fortemente esperienziali che permettano di acquisire prima di tutto consapevolezza di sè e della propria importanza e unicità di persona, poi, piano piano, allargando all'esterno con giochi di ruolo che permettano di sentire come si vive una determinata situazione.

  • Zenone Sovilla: Come alla precedente domanda.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali mezzi d'informazione e quali esperienze editoriali le sembra che più' adeguatamente contribuiscano a far conoscere o a promuovere la nonviolenza?

  • Francesco De Notaris: C’è bibliografia e video. Anche videogiochi non violenti andrebbero ideati con l'esclusione di giochi di guerra.

  • Maria Rosaria Baldin: La casa editrice La Meridiana, il Csdc, le Edizioni del Gruppo Abele, Libera.

  • Zenone Sovilla: A livello di nicchia una rivista storica come "Azione nonviolenta", su un piano un pò più esteso le iniziative dei radicali e altre lotte di base nonviolente.

  • Maria D'Asaro: Intanto trovo efficace il giornale telematico "La nonviolenza è in cammino": grazie ad esso la mia cultura nonviolenta è cresciuta e sono stata informata di iniziative nonviolente svoltesi in tutta l’Italia. So che sono validi supporti formativi anche i "Quaderni Satyagraha" e le riviste "Mosaico di pace" ed "Azione nonviolenta".


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali esperienze in ambito scolastico ed universitario le sembra che più' adeguatamente contribuiscano a far conoscere o a promuovere la nonviolenza?

  • Francesco De Notaris: Bisogna collegarsi a tutti i movimenti nonviolenti. Poi si dovrebbero studiare i territori ed individuare ambiti di intervento dopo aver capito le origini di ogni ingiustizia presente.

  • Zenone Sovilla: Non so.

  • Maria D'Asaro: So che c’è a Pisa un corso di laurea in "Scienze per la pace", se i tagli della Gelmini non l’hanno eliminato. Inoltre il professor Andrea Cozzo a Palermo, nella facoltà di Lettere e Filosofia, tiene da anni seminari e laboratori sulla gestione nonviolenta dei conflitti ed è promotore dell'attività didattica e di ricerca su pace e nonviolenza nell'ateneo palermitano.


Paolo Arena e Marco Graziotti: I movimenti nonviolenti presenti in Italia danno sovente un'impressione di marginalità', ininfluenza, inadeguatezza; è cosi'? E perché' accade? E come potrebbero migliorare la qualità', la percezione e l'efficacia della loro azione?

  • Francesco De Notaris: Alcuni movimenti si contentano di un pò di contributi e diventano soprammobili. Non sono più l’"altro" che vorremmo. Hanno perso la forza dell’originaria ispirazione. Non hanno la forza per procurare cambiamento nei componenti e nel territorio. Inoltre c’è un problema relativo all’informazione che non è informata e che non informa. Occorre che questi movimenti inaugurino una vera politica dell’informazione che vada ai grandi temi e non all’episodica iniziativa.

  • Maria Rosaria Baldin: Un pò perché non urlano (e questo è positivo). Un pò perche', forse, non sono molto organizzati e connessi fra loro.

  • Zenone Sovilla: I movimenti nonviolenti e antimilitaristi si sono sgonfiati negli anni '80 ed è sostanzialmente mancata la sintesi con le lotte ecologiste, democratiche e di liberazione "operaia".

  • Maria D'Asaro: Intanto perche', a mio avviso, la presenza di formazioni nonviolente non è vista di buon occhio dal potere, che tende a marginalizzarle. Inoltre talvolta i nonviolenti non riescono a comunicare con le persone comuni, non riescono a far passare il messaggio che le lotte nonviolente sono essenzialmente popolari e necessarie alla comunità umana. Il nonviolento è visto come un marziano perché è scomodo, perché è isolato, perche', talvolta, non sa comunicare con chi nonviolento non e'.


Paolo Arena e Marco Graziotti: I movimenti nonviolenti dovrebbero dotarsi di migliori forme di coordinamento? E se si', come?

  • Francesco De Notaris: Dovrebbero coordinarsi senza perdere specificita'. Dovrebbero conoscere l’uno dell’altro. Nessun movimento dovrebbe pretendere per sè primogeniture!

  • Maria Rosaria Baldin: Coordinamenti leggeri, perché troppe cose non si riesce a seguirle; un posto dove tutti possano fornire le informazioni, dicendo quello che fanno.

  • Zenone Sovilla: Mah... più che altro credo sarebbe socialmente utile lavorare per una sitnesi di un progetto politico di liberazione democratica.


Paolo Arena e Marco Graziotti: I movimenti nonviolenti dovrebbero dotarsi di ulteriori strumenti di comunicazione? E con quali caratteristiche?

  • Francesco De Notaris: Si'. Da studiare. Come dicevo prima.

  • Maria Rosaria Baldin: Internet, soprattutto; un sito per tutti, condiviso.

  • Zenone Sovilla: Non so.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e movimenti sociali: quali rapporti?

  • Francesco De Notaris: Collegamento anche con le forze sindacali. Molte energie restano inutilizzate; altre non si coordinano; altre competono tra loro. Forse in ogni provincia, in ogni comune andrebbero assunte iniziative con scambio di informazione. Un luogo virtuale o no dovrebbe essere comunitariamente scelto come se ci fosse un vecchio “Quadro Avvisi”.

  • Zenone Sovilla: Indissolubili, direi; vedi rapporto mezzi/fini.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e istituzioni: quali rapporti?

  • Francesco De Notaris: Rapporto di chiarezza. I movimenti non rinunzino alla propria identità e non si pieghino a lusinghe avanzate con denaro, promesse, compromessi, cooptazioni.

  • Zenone Sovilla: Vedo margini abbastanza significativi per forzare e orientare le istituzioni tramite l'azione nonviolenta... demilitarizzare la società è uno degli obiettivi perseguibili in questa relazione.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e cultura: quali rapporti?

  • Francesco De Notaris: Grande impegno per l’affermazione di ogni forma di espressione culturale. Se la conoscenza, la cultura, le capacità critiche non vengono coltivate e valorizzate in fondo al viale c’è il fallimento.

  • Zenone Sovilla: La diffusione della conoscenza e della condivisione dei principi e delle prassi si fa anche con gli strumenti della cultura e dell'arte...


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e forze politiche: quali rapporti?

  • Francesco De Notaris: Dalle risposte precedenti si potrebbe capire che il rapporto va instaurato. Vanno incontrati i dirigenti politici ai quali si deve dire quale è il ruolo del movimento, di ogni movimento. Non con tutti si sarà d’accordo. Con tutti confronto. Nessuna omologazione. In Italia sembra che l’idea della nonviolenza sia alternativa alla prassi quotidiana che ispira i provvedimenti governativi basati su ipocrisie, paure, ignoranza di popolazioni che vengono lasciate nel degrado culturale e sociale funzionale alla violenza diffusa.

  • Zenone Sovilla: Anche quelle che hanno la nonviolenza nel programma e nelle prassi politiche, non mi sembrano coerenti, per esempio in fatto di militarismo.

  • Maria D'Asaro: Il pensiero e la prassi nonviolenta dovrebbero assolutamente permeare il sindacato e le forze politiche autenticamente democratiche: non mi pare purtroppo che attualmente ciò avvenga. Bisognerebbe impegnarsi dall’interno per una trasformazione democratica e nonviolenta delle lotte sindacali e dei partiti politici.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e organizzazioni sindacali: quali rapporti?

  • Francesco De Notaris: Con qualche aggiustamento la mia opinione è già espressa nelle risposte precedenti.

  • Zenone Sovilla: Una società nonviolenta corrisponde a un'idea di liberazione degli sfruttati, anche nel lavoro.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e agenzie della socializzazione: quali rapporti?

  • Zenone Sovilla: Il metodo nonviolento (o lo spontaneismo nonviolento) è socializzazione.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e pratiche artistiche: quali rapporti?

  • Francesco De Notaris: Favorire ogni forma di arte. Liberare le coscienze. L’arte avvicina al bello e procura pace.

  • Sul piano pedagogico il percorso artistico affina e sensibilizza e quindi allontana dal desiderio della violenza che è distruzione.

  • Zenone Sovilla: Il discorso mi sembra assai complesso; dipende dalle declinazioni: sappiamo che l'arte ha veicolato anche violenza.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e amicizia: quale relazione? E come concretamente nella sua esperienza essa si è data?

  • Francesco De Notaris: Intorno a progetti nonviolenti si sono cementate grandi amicizie perché si sono valorizzati ideali. Ho scritto la legge sull'obiezione di coscienza poi approvata. I migliori hanno mostrato interesse e desiderio di collaborazione e poi vera partecipazione.

  • Zenone Sovilla: Alla luce di quanto ho vissuto personalmente, reputo fruttuosa sul piano formativo, della maturazione individuale/sociale, la condivisione di alcune premesse valoriali e di esperienze concrete di pratiche solidaristiche - per esempio ai tempi di un servizio civile obbligatorio in sostituzione della leva armata.

  • Maria D'Asaro: Ho fatto esperienza di come sia essenziale e fondante impostare il modo nonviolento le proprie relazioni: la nonviolenza mi ha aiutato a essere una madre un pò migliore. L’approccio nonviolento è stato poi essenziale nel mio lavoro di insegnante e psicopedagogista.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e percezione dell'unità dell'umanità': quale relazione e quali implicazioni?

  • Francesco De Notaris: Forse ho già accennato a risposte. La pace è un desiderio comune a tutti gli uomini. Tutti vorrebbero vivere in pace. Su questa aspirazione e sulla sua realizzazione si costruisce unità e si educano i politici che nei loro programmi parlano poco o niente di cultura e pace.

  • Zenone Sovilla: In questa prospettiva la nonviolenza - intesa nella vastità della sua galassia teorica e pratica, formale e informale - è un piccolo granello di sabbia in un ingranaggio che gira in direzione tendenzialmente opposta, determinato da vari centri di potere autoreferenziali (economico, religioso, ideologico).

  • Maria D'Asaro: Ho già parlato prima dell’ubuntu, l’espressione bantu che significa solidarietà verso il prossimo: la nonviolenza dovrebbe aiutarci a considerare l’umanità come un’unica creatura, come un organismo unico e interconnesso.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e politica: quale relazione?

  • Zenone Sovilla: Quantomeno una contaminazione delle pratiche che ha condotto alla riduzione degli spazi manifestamente violenti dal punto di vista fisico; le porcherie, tuttavia, assumono i contorni di altre forme violente, come la delegittimazione o il massacro sociale a mezzo stampa.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e vita quotidiana: quale relazione?

  • Francesco De Notaris: Immaginate voi se pace e giustizia vi fossero? Sarebbe un altro mondo! Le condizioni economiche contribuiscono a determinare gioie e dolori. Le disgrazie naturali determinano disuguaglianze e gravi danni esistenziali. Se fossimo nonviolenti non avremmo le conseguenze della violenza!

  • Zenone Sovilla: Il rischio di una profonda discrasia fra il microscosmo e la sfera sociale, politica ed economica; si può essere amorevoli con parenti, amici e affini ma delle bestie come dirigenti sul posto di lavoro, per esempio...


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e cura del territorio in cui si vive: quale relazione?

  • Francesco De Notaris: Servono i movimenti nonviolenti perché ogni speculatore attacca il territorio. La nonviolenza esercitata dai cittadini porta allo scoperto ogni corruzione, ogni ferita alla vita e al territorio e diventa resistenza attiva. In Italia vi sono esempi del genere. Vedi l'irrisolta questione dei rifiuti in Campania, il problema degli insediamenti di aeroporti, basi militari, Tav, energia nucleare, etc.

  • Zenone Sovilla: Riprenderei quanto già accennato a proposito dell'ecologia, aggiungendo che a mio avviso un'idea democratica del (con)vivere, del muoversi e dell'abitare è intrinsecamente nonviolenta; dunque è rilevante anche l'idea di un'urbanistica nonviolenta (nei rapporti sociali e nei riguardi dell'ambiente naturale).

  • Maria D'Asaro: A mio avviso il legame tra nonviolenza, cura del territorio, rispetto per tutte le forme di vita (animali e vegetali) e per la nostra madre terra, è strettissimo. Non si può essere nonviolenti e non essere ecologisti convinti. Mi manca tanto il compianto "profeta verde" Alex Langer: chissà quante intuizioni felici avrebbe avuto oggi. Un’iniziativa che mi sentirei di proporre è la giornata di riposo della terra: dovremmo, sempre più spesso, fermare tutte le attività umane commerciali e industriali per far riposare la terra. E per riprenderci il tempo della contemplazione e del ringraziamento.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e cura delle persone con cui si vive: quale relazione?

  • Francesco De Notaris: Io direi che il diritto alla salute dovrebbe essere vissuto in nonviolenza. Non è frutto di violenza il degrado degli ospedali, le cure insufficienti, il costo delle medicine, la solitudine degli anziani, delle ragazze madri, dei bambini orfani? Non è violenza l’abbandono degli anziani anche nelle nostre famiglie?

  • Zenone Sovilla: L'empatia per l'altro è un aspetto della personalità nonviolenta, a mio parere.


Paolo Arena e Marco Graziotti: La nonviolenza dinanzi alla morte: quali riflessioni?

  • Francesco De Notaris: Se vivessimo da nonviolenti la morte avrebbe minori spazi e ci raggiungerebbe un pò più tardi. Ma la morte è inevitabile. Dovremmo trovare tutte le cause di morte e riflettere sulla nonviolenza. E poi come essere nonviolenti verso i morti? Quale rispetto?

  • Zenone Sovilla: La morte, l'idea del limite di questa esistenza, dovrebbe poter catalizzare gli spazi di empatia e mutualismo sociale; a volte, tuttavia, capita esattamente il contrario (egoismo, sopraffazione, mors tua vita mea).


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali le maggiori esperienze storiche della nonviolenza?

  • Francesco De Notaris: Ne parlano tutti i libri, le cronache, la storia. Non fatemele riscrivere.

  • Maria Rosaria Baldin: Indipendenza dell'India, movimento di Martin Luther King, opposizione nonviolenta al nazismo.

  • Zenone Sovilla: Beh, adesso non vorrei ripetere sempre le stesse, ormai arcinote, India, lotte antirazziste americane eccetera; nè i casi di studio per i nonviolenti, come la resistenza civile antinazista in Norvegia; preferisco ricordare l'impegno contemporaneo di una miriade di cittadini che - in genere ignorando le teorie della nonviolenza - mettono in atto battaglie sociali di grande spessore per affermare il loro diritto a un'esistenza dignitosa (vedi varie esperienze di lotte operaie nell'epoca del nuovo imbarbarimento del mercato del lavoro) o a respirare aria e bere acqua non patogene (vedi le le battaglie per la limitazione del traffico motorizzato, per una gestione dei rifiuti senza i mortali inceneritori, per la chiusura e la conversione di produzioni obsolete e dannose per la salute umana e l'ambiente naturale - come nel caso di varie acciaierie).


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quale è lo stato della nonviolenza oggi nel mondo?

  • Francesco De Notaris: Poco diffusa la mentalità nonviolenta. L’amore poi è distorto. Sono pessimista.

  • Maria Rosaria Baldin: Per quanto riguarda lo stato della nonviolenza nel mondo e in Italia quello che manca e', forse, il dialogo, la consapevolezza di essere tanti (ma divisi, nel senso che ognuno non sa che altri fanno le stesse cose e che ci sono altri che la pensano come lui), l'interconnessione per potersi ricaricare ed agire (secondo il metodo di Parknas).

  • Zenone Sovilla: Decisamente in difficolta', specie negli ambiti istituzionali; vive molto di spontaneismo.

  • Maria D'Asaro: All’estero ricordo la resistenza nonviolenta di Aung San Suu Kyi, in Birmania. La mia impressione, comunque, è che la nonviolenza sia troppo ai margini, specie in Italia. Forse anche perché non è incarnata da persone che l’abbiano "sposata" sino in fondo. Forse abbiamo bisogno di persone di alta statura nonviolenta, come Gandhi e Marthin Luther King.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quale è lo stato della nonviolenza oggi in Italia?

  • Francesco De Notaris: In Italia? Cresce la violenza. C’è arretramento!

  • Zenone Sovilla: È alimentata specialmente dalle numerose esperienze di resistenza civile di fronte a un potere politico ed economico devastante che approfitta della cosiddetta crisi e della mutazione (spesso ambigua) delle ideologie popolari per tirare ancora di più la corda a fini egoistici di una minoranza di cittadini che si arricchisce a spese d'altri.


Paolo Arena e Marco Graziotti: È adeguato il rapporto tra movimenti nonviolenti italiani e movimenti di altri paesi? E come migliorarlo?

  • Francesco De Notaris: La domanda è poco chiara. Movimenti italiani operano all’estero. Dovremmo interessarci anche di noi. Il nostro prossimo ci è accanto.

  • Zenone Sovilla: Purtroppo non credo di avere sufficiente conoscenza di questa materia specifica.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quale le sembra che sia la percezione diffusa della nonviolenza oggi in Italia?

  • Francesco De Notaris: Scarsa percezione nonostante sforzi considerevoli. Piccole nobili nicchie. E poi esiste una forma di denigrazione verso il nonviolento e verso chi vuole la pace. Il termine “pacifismo” è dispregiativo. I partiti non hanno uomini che si interessano della pace come generatrice di convivenza giusta e di cittadinanza di qualita'. Si parla a sproposito di pace, inquinandone anche il termine. Le missioni armate le chiamano missioni "di pace”. I giovani sono diseducati.

  • Zenone Sovilla: Non mi pare vi sia una grande percezione diffusa, piuttosto - come per varie pratiche di ispirazione anarchica - un forte spontaneismo politico nonviolento nei fatti.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali iniziative intraprendere perché' vi sia da parte dell'opinione pubblica una percezione corretta e una conoscenza adeguata della nonviolenza?

  • Francesco De Notaris: Occorrerebbe uno strumento di comunicazione o rubriche su reti ad ampia diffusione. Non servono le intervistine sporadiche su tv private! Un diario per gli studenti da vendere in Italia? Ricordate il vecchio diario Vitt? E comunicati sui cellulari? E un concorso a tema sulla nonviolenza? Contattate l’Associazione degli ex parlamentari.

  • Zenone Sovilla: Trovare la forza di ripetere allo sfinimento una serie di semplici concetti da contrapporre all'egoismo imperante; si potrebbe cominciare con "tutte le vite hanno pari valore e dignita'" (la cui declinazione politico-economica potrebbe tradursi in ricette socialdemocratiche redistributive del reddito e certamente sgradite a chi nuota nell'oro e fa pagare agli altri anche le crisi congiunturali).


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e intercultura: quale relazione?

  • Francesco De Notaris: La nonviolenza è patrimonio dell’umanità e frutto di giusta interpretazione del messaggio delle grandi religioni.

  • Zenone Sovilla: Il dialogo e l'incontro sono le fondamenta di una convivenza non (eccessivamente) conflittuale e comunque di una elaborazione costruttiva dei conflitti culturali (che sono inevitabili).


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e conoscenza di se': quale relazione?

  • Francesco De Notaris: Roba da psichiatria! Molto interessante aprire un dialogo con le cattedre di psichiatria in Italia!

  • Zenone Sovilla: In quanto elemento costitutivo della personalità credo che sul piano psicologico profondo la nonviolenza abbia un peso primario nelle dinamiche della vita interiore; in ambito razionale penso che spinga - per esempio - più facilmente a mettersi in discussione.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e scienze umane: quale relazione?

  • Francesco De Notaris: Ci sono cenni nelle risposte a domande precedenti. Una bella pubblicazione con scritti di filosofi, letterati, teologi, antropologi, psicologi, storici, e anche politici, etc. Che ne pensate?

  • Zenone Sovilla: Hmhmhm... questione troppo complessa, ci vorrebbe un trattato a parte; me la cavo con una piccola riflessione: credo che sarebbe utile se lo studioso accantonasse alcuni "dogmi" che talora condizionano il suo operato; per esempio, il lugubre postulato sulla innata "bestialita'" della natura umana (vedi Hobbes, Kant, Freud e altri filantropi...).


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e linguaggio (ed anche: nonviolenza e semiotica): quale relazione?

  • Francesco De Notaris: Chiamate Umberto Eco.

  • Carla Mariani: A questo proposito vorrei dire che il mio/nostro lavoro di accompagnamento dei processi di costruzione di pace dal basso in Colombia ci ha portato a contatto con le autorità governative e militari di quel Paese, un Paese che da oltre 50 anni sta vivendo uno dei conflitti più violenti al mondo e che si presenta invece, a livello internazionale, come una delle democrazie più avanzate dell’America Latina. I difensori dei diritti umani e gli intellettuali colombiani sono certi che quando verranno alla luce tutte le atrocità e le violenze commesse in questi decenni, le cifre dei desaparecidos e dei morti di Cile e Argentina messi insieme saranno molto inferiori alla realtà colombiana. Questo lavoro ci ha portato a capire quanto le parole possano arrivare ad assumere valore di condanna a morte e quanto possano mettere a disagio, di contro, un governo di fatto totalitario.

    All’inizio le autorità colombiane non rispondevano mai alle nostre comunicazioni, chi stava lavorando con la Colombia o chi già ci aveva lavorato ci diceva che mai avrebbero messo nero su bianco, nè dall’Ambasciata colombiana a Roma, nè tantomeno dalle stanze di Palacio de Narino in Bogota'. E invece si sbagliavano. La tenacia e la convinzione, proprie di chi cammina verso la nonviolenza, alla fine ci hanno premiato e sono cominciate ad arrivare le risposte alle nostre precise e circostanziate domande.

    Il linguaggio usato, appropriandosi di termini come sicurezza, legalita', rispetto dei diritti umani, in risposta ad eventi tragici come il massacro del 21 febbraio 2005 nella comunità di pace di San Josè di Apartado', ci hanno fatto tremare le vene e i polsi.

    Così queste lettere sono diventate oggetto di studio, da parte di una ricercatrice, Natalia Biffi Hernandez, investigadora social italo-colombiana, collaboratrice da vari anni della Rete Colombia Vive! Natalia ha fatto di questa corrispondenza oggetto di studio con un progetto di tesi di ricerca, "Practicas y discursos de los derechos humanos en Colombia. Analisis de la correspondencia entre la Red italiana de solidaridad con las Comunidades de paz colombianas y el Gobierno colombiano 2002-2006", alla Universitat Pompeu Fabra di Barcellona, dove è prevista una materia specifica di studio che si chiama Analisi critica del discorso.

    Lo studio parte dalla percezione che l’interpretazione e l’appropriazione del discorso dei diritti umani in Colombia sono un dispositivo che serve per legittimare e sostenere l’uso arbitrario della forza da parte dello Stato contro i settori più emarginati del Paese. Attraverso il discorso ufficiale dei diritti umani in Colombia si giustificano gli arbitrii governative e militari che colpiscono i civili come le azioni relative alla lotta contro il terrorismo. Il lavoro di ricerca sta andando avanti e spero possa tradursi in uno strumento efficace ed universale per applicare l’analisi del discorso in tutti quei casi in cui si sospetta o si verifica un uso violento del linguaggio, o peggio ancora un uso strumentale di alcuni termini che siamo abituati a percepire con una accezione positiva: sicurezza, protezione, difesa dei diritti umani ecc.

    Ho conosciuto inoltre una persona bellissima, un medico colombiano, Emmanuel Rozental, che Vilma Amendra, del popolo Nasa (Nord del Cauca Colombia) descrive così nella sua tesi su "La apropiacion de internet en comunidades indigenas: el caso del tejido de comunicacion y relaciones externas para la verdad y la vita de la Asociacion de cabildos indigenas del norte del Cauca-Acin": "scomodo tessitore di coscienze, gestore della parola che camminiamo, per ribadire dal suo esempio che le parole sono creature libere, senza padroni e destinate a nominare la vita degna che faremo diventare realtà attraverso le nostre azioni". Immagino che questa possa essere la relazione tra linguaggio e nonviolenza.

  • Zenone Sovilla: Qualcuno diceva che le parole sono pietre. Ecco, utilizzare un linguaggio nonviolento significa, per me, saper essere anche caustici e taglienti ma lasciando sempre margini di confronto, insomma non essere - per l'appunto - lapidari nei riguardi dell'interlocutore, sia pure criticandolo severamente se del caso. Certo, mi rendo conto che con un leghista razzista, per esempio, l'esercizio può essere molto faticoso e non necessariamente proficuo e tuttavia evitare il "binario morto" nel dialogo è essenziale, aiuta anche a illuminare eventuali punti deboli del proprio stesso ragionamento. Precondizione, ovviamente, l'onestà intellettuale di ogni soggetto coinvolto (il che per la Lega non è affatto scontato...).

  • Maria D'Asaro: C’è una relazione stretta tra linguaggio, comunicazione e nonviolenza: dovremmo ripensare e purificare le nostre parole alla luce della prospettiva nonviolenta.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e stili di vita: quale relazione?

  • Francesco De Notaris: Il nostro stile di vita è basato sulla competizione... purtroppo.

  • Zenone Sovilla: Senza dilungarmi ripetendo cose che ho già detto, credo che un comportamento nonviolento investa anche le modalità di consumo, implichi cioè una certa sobrietà e un rispetto degli esseri viventi e dell'ambiente naturale (un nonviolento, così come lo penso io, dovrebbe tendere sempre alla minimizzazione del danno, se proprio non lo può evitare: se per esempio deve usare per forza l'automobile, ne riduca l'utilizzo allo stretto indispensabile e in ogni caso eviti i Suv...).

  • Maria D'Asaro: Mi piace ancora ricordare Alex Langer: dovremmo adottare stili di vita ecologicamente orientati: utilizzare i mezzi pubblici, utilizzare meno l’aereo, consumare meno, riciclare, riutilizzare, adottare possibilmente una dieta senza (o con poca) carne... Il problema è che siamo immersi in un sistema di pensiero e in un sistema economico-produttivo che ci dice che dobbiamo produrre sempre di più e consumare sempre di piu'. Il che è assurdo, poichè siamo abitanti di un pianeta finito. Allora lo sforzo creativo dei nonviolenti è progettare nuovi stili di vita e un’economia leggera che coniughi soddisfacimento dei bisogni essenziali (dovremmo tornare a Epicuro: distinguere tra bisogni necessari e non necessari) e cura per la nostra madre terra. In quest’ottica, i nonviolenti dovrebbero seguire con attenzione il pensiero e la prassi della decrescita.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e critica dell'industrialismo: quali implicazioni e conseguenze?

  • Francesco De Notaris: Forse c’è il problema dell’organizzazione del lavoro all’interno delle industrie. E poi quali industrie?

  • Zenone Sovilla: La società in larga parte "immateriale" verso la quale si orienta un certo modello produttivo dovrebbe facilitare un processo di conversione industriale che tenda a minimizzare l'impatto di queste attività sulla vita (non solo umana) senza contraccolpi sociali negativi (esempio banale e schematico: se chiude un'acciaieria inquinante costruita un secolo fa nel centro di una citta', può aprire un'azienda che fabbrica pannelli fotovoltaici e assorbe l'impatto occupazionale). È immaginabile e a mio modo di vedere anche auspicabile che in una società nonviolenta meno legata alla quantità di prodotti materiali e più a beni "immateriali" (o quasi) sia possibile riequilibrare i tempi di vita e i tempi di lavoro, consentendo alle persone di dedicare maggiore spazio alle attività (sociali e individuali, più o meno creative, dall'orto alla scrittura, dall'attività fisica all'arte nelle sue svariate declinazioni) slegate da quello che oggi chiamiamo "lavoro" ma di elevata rilevanza nelle dinamiche collettive, dati gli innumerevoli risvolti che presentano.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e rispetto per i viventi, la biosfera, la "madre terra": quali implicazioni e conseguenze?

  • Francesco De Notaris: Stiamo violentando la terra e gli esseri viventi.

  • Zenone Sovilla: Credo di avere già risposto.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza, compresenza, convivenza, scelte di vita comunitarie: quali implicazioni e conseguenze?

  • Francesco De Notaris: Non so e non posso scrivere un libro su questo tema.

  • Zenone Sovilla: Come dicevo rispondendo a una domanda precedente, la nonviolenza può fungere da catalizzatore di una società "dolce" dove l'essere umano è meno ingabbiato nei riflessi condizionati che conosciamo oggi (scuola-lavoro-disoccupazione-pensione finchè c'e') e potrà più facilmente dedicarsi ad attività anche socialmente rilevanti che rispondano alla sua aspirazione. Questo liberare energie umane dovrebbe favorire la crescita civile di una comunita'; certo, qui va sempre tenuto presente il rovescio della medaglia: che ciò non implichi anche una progressiva "chiusura" del microcosmo sociale verso l'esterno. Una comunità viva e solidale è una comunità aperta, dialogante, forte al punto da dialogare serenamente con l'alterita'.

    Questa è la linea, talvolta apparentemente sottile ma in realtà invalicabile e gigantesca, che separa un'idea - diciamo - anarchica di comunità di liberi ed eguali (e aperti al'esterno) da quella - diciamo - leghista di una comunità chiusa e diffidente che basta a se stessa.

  • Maria D'Asaro: L’opzione nonviolenta ed ecologista predilige scelte di vita comunitarie. In ogni caso mette in discussione l’egocentrismo individualistico. Suggerisco in tal senso la lettura del testo di Maurizio Pallante I monasteri del III millennio, del quale cito qualche passo: "I monasteri del III millennio (...) saranno nicchie... (che permetteranno) di riscoprire l’importanza della produzione di valori d’uso, dello scambio fondato sul dono e sulla reciprocita', di un fare connotato qualitativamente e finalizzato alla contemplazione. I pochi che sceglieranno di viverci useranno il sapere per ridurre al minimo il peso della loro presenza nel mondo. La loro impronta ecologica sarà quella di chi cammina in punta di piedi, utilizzando con la massima efficienza il minimo delle risorse possibili per ricavare i suoi mezzi di sussistenza senza limitazioni e senza sprechi, senza rinunce e senza inutili orpelli, migliorando le proprie condizioni di vita senza danneggiare quelle di altri viventi".


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza, riconoscimento dell'altro, principio responsabilità', scelte di giustizia, misericordia: quali implicazioni e conseguenze?

  • Francesco De Notaris: Se l’etica della responsabilità fosse patrimonio non dico comune ma di numerosi uomini, della classe dirigente e se i principi della nonviolenza fossero maggiormente diffusi le conseguenze si vedrebbero. Si restringerebbero gli spazi dell’ingiustizia. Ognuno avrebbe coscienza di sè e della responsabilità verso il presente e il futuro.

  • Zenone Sovilla: Ci vorrebbe un trattatello, purtroppo il poco tempo a disposizione mi obbliga a essere sbrigativo. Credo che, appunto, l'assunzione di responsabilità individuale (e comunitaria) con l'idea di rispetto che essa sottende, porti con sè un'idea di "giustizia" conseguente. Se ho ben inteso qui la si menziona nel senso di sistema penale nei riguardi di chi mette in atto comportamenti non rispettosi dell'altro, secondo le regole che la comunità si è data. Ecco, credo che una realtà sociale nonviolenta eviterebbe strumenti punitivi come il carcere e investirebbe le proprie energie in altri percorsi per la soluzione dei conflitti o per la reazione ai delitti (confronto dialettico, integrazione sociale dei soggetti in difficolta', misure penali di tipo retributivo che abbiano uno sfondo comunitario e siano vissute come contributo positivo dal soggetto che le subisce e dal resto della popolazione, per esempio attività a favore del proprio quartiere sotto varie forme)

  • Maria D'Asaro: Sottolineo la centralità delle pratiche di mediazione e di giustizia rigenerativa, sulle quali ha molto riflettuto Marinetta Cannito, esperta di Giustizia Rigenerativa di "Witness for Peace" di Washington. A questo proposito non posso non ricordare anche l'esperienza della Commissione per la Verità e la Riconciliazione del Sud Africa post-apartheid, quando aguzzini e perseguitati si trovarono faccia a faccia: i primi a raccontare le violenze commesse, i secondi a esprimere il dolore subito. Più che un processo, una modalità sacra e feconda d’incontro, che coinvolse tutti, vittime e carnefici, ma senza eliminare ruoli e responsabilita'.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e coscienza del limite: quali implicazioni e conseguenze?

  • Francesco De Notaris: La nonviolenza è frutto della scelta degli uomini. La coscienza dei nostri limiti ci porta a pensare che essa è un ideale, non un’illusione. È una entusiasmante utopia che comunque dovrebbe fare i conti con ogni egoismo. La nonviolenza è una filosofia, uno stile di vita che è sacrificio e che deve confrontarsi con gli aspetti negativi della natura umana, con quell'"homo homini lupus" che le condizioni di difficoltà esaltano, purtroppo.

  • Zenone Sovilla: Credo di aver già risposto parlando del rapporto con la natura.

  • Maria D'Asaro: Penso che la nonviolenza ci suggerisca la nostra realtà ontologica di creature finite e limitate, mettendoci al riparo da nefasti deliri d’onnipotenza. A tal proposito vorrei concludere con le parole di Edgar Morin: "Siamo perduti, ma abbiamo un tetto, una casa, una patria; il piccolo pianeta in cui la vita si è creata il proprio giardino, in cui gli esseri umani hanno formato il loro focolare, in cui ormai l’umanità deve riconoscere la propria casa comune (...). Dobbiamo essere fratelli, non perché saremo salvati, ma perché siamo perduti. Dobbiamo essere fratelli per vivere autenticamente la nostra comunità di destino di vita e di morte terreni. Dobbiamo essere fratelli perché siamo solidali gli uni con gli altri nell’avventura ignota".


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza come cammino: in quale direzione?

  • Francesco De Notaris: Percorso difficile. Occorrono uomini dal forte carattere. Gli esempi che abbiamo sono anche esempi di sconfitte e arretramenti. Chi lavora per la guerra non vuole sentire la voce della ragione, nè quella dei poveri, delle vittime della violenza di chi non vuole la pace, perché la morte di tanti è ricchezza per pochi.

  • Zenone Sovilla: nella direzione della minimizzazione della sofferenza umana, animale e dell'ambiente naturale; a ogni incrocio c'è sempre anche questa strada, a volte per imboccarla ci vuole coraggio, ma senza coraggio non c'è nonviolenza.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e internet: quale relazione? e quali possibilità'?

  • Francesco De Notaris: Internet: un mondo. Ma la nonviolenza è esperienza di vita, non roba di computer. Certamente lo scambio delle idee, delle informazioni ed esperienze serve. Ma servono le esperienze di vita e le esperienze comunitarie nelle quali siamo fisicamente coinvolti.

  • Zenone Sovilla: Come per molti ambiti, la rete offre straordinari strumenti di conoscenza, confronto, organizzazione culturale, sociale, politica.


Paolo Arena e Marco Graziotti: Potrebbe presentare la sua stessa persona (dati biografici, esperienze significative, opere e scritti...) a un lettore che non la conoscesse affatto?

  • Francesco De Notaris: Andate su Google e cliccate il nome "Francesco de Notaris" su Wikipedia. C’è qualcosa.

  • Ho dato risposte sintetiche e non approfondite. Mi piace dire che appena eletto senatore mi adoperai per portare in aula una proposta sulla obiezione di coscienza al servizio militare. E poi fu legge. Oggi sembra tutto vanificato. L’idea del rifiuto di usare le armi sembra messa da parte. Le armi vengono presentate come strumenti di pace. Non si parla mai delle vittime innocenti delle guerre. E i soldati muoiono per mano di terroristi e sono sempre eroi innocenti. Si aggiunga la demenziale idea di questi giorni: quella di invitare tutti i giovani a vivere qualche mese di naia! Questi militari continuano a preparare la guerra e a contribuire allo spreco di fondi pubblici, fuori controllo democratico.

  • Carla Mariani: Sono Carla Mariani, ho 58 anni, sono madre e nonna. Sono in pensione dal lavoro retribuito. Penso di essere un'artigiana della pace, così come i miei compagni e compagne che in Colombia stanno costruendo processi di pace e di resistenza civile nonviolenta. Mi sento palestinese, curda, rom, sinta, zingara, indigena, ebrea, musulmana, cristiana, omosessuale, povera, spero che tutti i popoli che stanno lottando per la loro autodeterminazione e per l’affermazione della vita sulla morte mi considerino loro compagna. Sono comunista. Ho cercato di portare il mio contributo alla causa del popolo palestinese e alla lotta di liberazione dei popoli indigeni, contadini e afrodiscendenti della Colombia, ho cercato di conoscere la dimensione dei difensori dei diritti umani attraverso l’esperienza nella Rete Italiana di Solidarietà Colombia Vive! ed il mio lavoro presso l’Ufficio per la pace del Comune di Narni, che ho fortemente voluto. Faccio parte dell’Associazione per l’educazione permanente alla giustizia e alla pace, di Narni per la Pace e della Rete italiana di solidarietà con le comunità di pace e in resistenza civile colombiane Colombia Vive! Onlus. Sono stata due volte in Palestina e due volte in Colombia. Mi sento in cammino verso la nonviolenza. Ho collaborato alla cura del libro Seminando vita e dignita'. La comunità di pace di San Josè de Apartado': dieci anni di resistenza nonviolenta alla guerra, pubblicato dalla casa editrice Gandhi Edizioni di Pisa come n 13 dei "Quaderni Satyagraha", 2007(edizione bilingue spagnolo-italiano); ho interamente curato la pubblicazione Fischia il vento: Narni 8 settembre 1943 - 13 giugno 1944, edito dal Comune di Narni, giugno 2008.

  • Maria Rosaria Baldin: Mi chiamo Maria Rosaria Baldin, sono nata l'8 ottobre 1955 a Sandrigo (VI) dove vivo tuttora. Mi sono sempre interessata agli altri, in particolare alle problematiche legate al sud del mondo. Il mio grande maestro, in questo, è stato Raoul Follereau. L'esperienza con Aifo (che allora si chiamava "Amici dei lebbrosi") è stata fondamentale per me. E poi Fausto Marinetti, Alex Zanotelli. Ho fatto Teatro dell'Oppresso con l'Associazione Giolli di Roberto Mazzini; sono legata alla rete dei Bilanci di giustizia.

    Ho fatto la casalinga per più di venti anni, tenendomi informata e facendo attività di volontariato in comune, parrocchia e scuola (animazione alla lettura, catechismo, classi aperte, distribuzione materiale e sensibilizzazione delle insegnanti). Mi sono poi avvicinata al mondo della migrazione con altra attività di volontariato che dal '98 è diventata il mio lavoro. Ho pubblicato storie di migranti per l'agenzia stampa "Migranews", raccolte in seguito nel libro "Avanti il prossimo" della casa editrice La Meridiana. Sono storie di migranti regolari che ho conosciuto nella mia attività di sportello in provincia di Vicenza. In seguito ho conosciuto la Libera Università dell'autobiografia di Anghiari (Ar) a cui sono tuttora legata e con cui collaboro proponendo laboratori di scrittura di sè in vari ambiti. Sono socia dell'Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione (Asgi) che si occupa di tutelare i diritti di migranti, apolidi, richiedenti asilo, Rom e Sinti.

    Alcune frasi molto significative:

    "Nessuna strada ha mai condotto nessuna carovana fino a raggiungere il suo miraggio, ma solo i miraggi hanno messo in moto le carovane"

    (Henri Desroches)

    "L'utopia è come l'orizzonte: cammino due passi, e si allontana di due passi.

    Cammino dieci passi, e si allontana di dieci passi. L'orizzonte è irraggiungibile.

    E allora, a cosa serve l'utopia?

    A questo serve, per continuare a camminare"

    (Eduardo Galeano)

    "... cerchi che si tendono sempre più ampi

    sopra le cose è la mia vita;

    forse non chiuderò l'ultimo, ma

    voglio tentare. Giro attorno a Dio,

    all'antica torre, giro da millenni,

    e ancora non so se sono un falco,

    una tempesta, o un grande canto..."

    (Rainer Maria Rilke)

    "Quello che accade, accade non tanto perché una minoranza vuole che accada, quanto piuttosto perché la gran parte dei cittadini ha rinunciato alle sue responsabilità e ha lasciato che le cose accadessero"

    (Antonio Gramsci)

  • Zenone Sovilla: Sono nato nella città di Belluno il 13 giugno 1964, ho passato i primi anni di vita in Svizzera dove i miei lavoravano; siamo rientrati alla fine degli anni Sessanta. A Belluno, quando frequentavo i primi anni delle superiori, mi sono avvicinato spontaneamente alle tematiche dell'antimilitarismo e della nonviolenza; credo come reazione alla rilevante presenza delle forze armate (specie degli alpini) in questo angolo militarizzato del nordest italiano al confine con l'Austria. Così già a sedici anni ero in contatto con la Lega obiettori di coscienza (Loc) e con vari ragazzi che svolgevano il servizio civile, scelta che anni dopo avrei fatto anch'io, lavorando venti mesi (i dodici del servizio di leva più gli otto punitivi per i nonviolenti) in un'organizzazione bellunese che si occupa in particolare - ma non solo - di servizi per persone disabili. Fra le realtà aderenti a questa organizzazione c'era anche la Loc, perciò potevo dedicare parte del mio tempo alle attività antimilitariste e per la diffusione della nonviolenza (cosa che continuai a fare nel tempo libero anche per vari anni dopo il servizio civile, per esempio tenendo conferenze nelle scuole superiori).

    Nel frattempo, fra studio, impegno politico e lavoro giornalistico, arrivai a un'assunzione in un quotidiano, il che significò ridurre per motivi di tempo il mio "contributo alla causa". Dalla fine degli anni '80 alla metà del decennio scorso trascorsi circa sei anni in Norvegia, un'esperienza utile anche per conoscere una comunità nazionale intrinsecamente meno violenta della nostra (e con qualche aspetto pratico interessante, per esempio nel sistema penale; sia pure timidamente).

    Nel tempo, grazie a una serie di attività volontaristiche a margine del mio lavoro, al rientro in Italia, ho potuto riprendere più compiutamente il discorso nonviolento (e dintorni), specie con il sito www.nonluoghi.info (nato nel gennaio 2000 e tuttora in funzione) e con la casa editrice omonima (attiva dal 2002 al 2009, poi le forze non bastavano piu'... ma ha dato alle stampe una ventina di libri, alcuni anche su temi affini alla nonviolenza, come il breve saggio di Andrea Caffi "Contro la guerra").

    Anche nel mio lavoro di redattore culturale di un quotidiano, riesco talvolta a riprendere le tematiche nonviolente, per esempio intervistando qualche intellettuale o recensendo qualche libro.

    Sono inoltre in contatto con qualche associazione che si occupa di tutela ambientale e adotta il metodo nonviolento per confrontarsi con la pubblica amministrazione (un caso per tutti: la battaglia contro un inceneritore, nella quale si utilizza anche lo strumento del digiuno a catena).

  • Maria D'Asaro: Vivo a Palermo, dove svolgo la professione di insegnante e psicopedagogista in una scuola secondaria di primo grado. Mi riconosco pienamente nell'affermazione di Terenzio: Homo (donna, nel mio caso!) sum: nihil humani alienum a me puto. Mi interesso, come cittadina e come docente, di scienze umane, politica, letteratura. Amo leggere e scrivere. Collaboro con la rivista mensile "Segno" e con il settimanale regionale siciliano "Centonove". Curo un blog, che dedica una sezione alla nonviolenza: http://maridasolcare.blogspot.com/. Guardo con simpatia alla nonviolenta Comunità dell’Arca, fondata da Lanza del Vasto. Mi impegno, nel mio ambito, perché la prospettiva nonviolenta, ecologicamente orientata, sia orizzonte possibile per gli esseri umani.

    Per chi ha a cuore le tematiche ecologiche e nonviolente, segnalo una mia lettera postuma ad Alexander Langer, pubblicata, oltre che dalla rivista "Segno", anche nel sito della Fondazione Langer: http://www.alexanderlanger.org/cms/index.php?r=1&k=52&id=2215